Prefazione

« A cosa serve un libro – si chiese Alice – senza immagini né dialoghi ? » Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie

L’illustrazione libraria ha uno statuto tanto affascinante quanto sfortunato.

Finché essa riguarda il supporto manoscritto, storici del libro e storici dell’arte, quando non sovrintendenze ai beni librari e ai beni artistici, se ne contendono la pertinenza, gli uni difendendo l’intrinseca unità del testo e dell’illustrazione nell’ “oggetto libro”, gli altri facendosi forti dello stretto rapporto tra miniatura ed arte pittorica. Ma passando al libro a stampa la situazione cambia.

Definita quale disciplina “crinale”, materia “di confine”, “di frontiera”, area interdisciplinare - per non dire ibrida - la storia e l’analisi dell’illustrazione contenuta nel libro tipografico antico è stata, salvo rarissime eccezioni (penso ai preziosi interventi di Gianvittorio Dillon o a quei riferimenti insostituibili in materia che sono i cataloghi compilati da Ruth Mortimer per le collezioni di cinquecentine francesi e italiane della biblioteca di Harvard), di fatto snobbata sia dalla storia dell’arte che da quella del libro. O peggio.

Capita infatti molto spesso che rappresentanti di entrambe le discipline chiamate in causa, critichino la sordità e scarsa apertura mentale della fronda opposta, ma si mostrino difficilmente disposti a prendere in considerazione, e tanto meno ad applicare, codici di lettura “altri”, diversi – e dunque scomodi, in quanto estranei - ma in questo campo necessariamente complementari, continuando ad integrare i margini di trattazioni, filologiche e bibliografiche da un lato, attribuzionistiche e puramente estetizzanti dall’altro, con qualche banale quanto sterile notazione pertinente alla disciplina opposta, se non direttamente, con rinvii bibliografici non sempre dei più aggiornati.

Quando qualche impavido ha avuto il coraggio di addentrarsi in questo ginepraio disciplinare, ha sfidato il pericolo di sentirsi etichettare come improvvisato dilettante – dell’una o dell’altra branca, talvolta persino di entrambe, per non scontentare nessuno - o, nei casi migliori, è stato liquidato come un solerte quanto innocuo “storico della cultura” (mai così spesso una definizione così nobile si è prestata ad allusioni mirate a sottolineare la non totale adesione ad una pura disciplina, e quindi una situazione da outsider).

Anche io stessa, nella mia pur modestissima esperienza, ho potuto sperimentare i due idiosincratici poli opposti del “collega” storico dell’arte che, nella necessità di avere qualche informazione su alcune illustrazioni che sembravano potersi attribuire al suo artista “feticcio”, ha concluso la nostra conversazione telefonica comunicandomi – forse nell’intenzione di ringraziarmi - di sentirsi veramente sollevato all’idea aver trovato “qualcuno che s’interessasse di roba così brutta” [sic]; o, al contrario, del brillante storico del libro che, omaggiandomi gentilmente di un suo recente estratto che solo dal titolo promeva difficoltà di lettura, e – temo, ma ammetto di non averlo letto - anche di comprensione, alla mia espressione minimamente perplessa commentava salacemente “non ti preoccupare, dentro c’é anche una delle tue amate figurine”

Fortunatamente - seppur molto timidamente – e forse anche grazie alle sollecitazioni indotte dall’affermarsi delle nuove tecnologie nella trasmissione del sapere e all’attuale messa in discussione dell’oggetto-libro quale veicolo di cultura, il panorama critico sta a poco a poco mutando direzione, e i primi contributi su edizioni illustrate che non siano il famigerato, inflazionato e ormai consunto “caso” Polifilo, cominciano ad apparire anche su pagine che non siano quelle certamente prestigiose ma, come tali, un po’ ghettizzanti de “La Bibliofilia” e di altre riviste strettamente specializzate.

Penso innanzitutto alle ricerche sempre stimolanti e magistrali di Lina Bolzoni (a La stanza della memoria (1995) della quale si aggiunge ora (2002) La rete delle immagini), ai due volumi Le livre illustré italien au XVI siècle (1999) e Percorsi tra parole immagini (2000), che raccolgono i contributi presentati durante gl’atti di due convegni organizzati in collaborazione tra istituzioni italiane e francesi, a quello dedicato al rapporto tra illustrazione libraria e decorazione della maiolica Majoliques Européennes reflets de l’estampe lyonnaise 2003, anch’esso frutto di due simposi italo-francesi, che s’inseriva nella traccia dell’a suo modo pionieristico L’istoriato. Libri a stampa e maioliche italiane del Cinquecento, catalogo di una mostra in Vaticano (1993), al recente testo di Tommaso Casini sula rapporto tra collezionismo e biografie illustrate tra Cinque e Seicento (Ritratti parlanti, 2004) e, naturalmente, alla titanica impresa “serliana” di cui é finora apparso il primo volume, Architecture et imprimerie (2004) e il recentissimo The World in Venice. Print, the city, and early modern identity della canadese Brownen Wilson (2005); oltre naturalmente agli articoli spesso dedicati al rapporto testo-immagine apparsi sulle pagine di “Venezia Cinquecento”.

I libri illustrati riescono persino a trovare spazio nei percorsi espositivi e, di conseguenza, nei cataloghi delle - anche grandi – mostre dedicate ad artisti o committenti, sebbene in questo caso ci sia ancora molto da fare, dal momento che, quasi sempre, la redazione delle schede relative ai libri illustrati in qualche rapporto con le opere “maggiori” é affidata a specialisti del contenuto, e non del supporto, del libro in questione: esse forniscono dunque preziose informazioni sulla tradizione testuale o sulla storia letteraria, ma si rivelano decisamente poco loquaci riguardo alle nostre “figurine”1.

Qui, nella ricostruzione di artisti, collezionisti, epoche e milieu, fanno la loro timida comparsa i libri, usciti dalle elitarie ed un po’ tristi vetrine delle sale espositive delle biblioteche per dialogare timidamente con tele, sculture e creazioni delle arti decorative, non solo in quanto prodotti di una cultura “scritta” ma anche “figurata”2. Sebbene il “grande” pubblico li fruisca, come spesso un lettore frettoloso fa con le appendici o le note di un ponderoso saggio (ovvero passando molto spesso oltre, dopo un’occhiata “a volo d’uccello”), essi cercano di affermare la loro esistenza, tentano, con approccio visivo diretto, di superare la “scontata” conoscenza che se ne può avere in quanto testi, materializzazioni di concetti.

Perché, se è universalmente noto che con Gutemberg sia nato il libro stampato con caratteri mobili, resta da vedere quanti, in un epoca di comunicazioni via etere, di “reti” e saperi virtuali (non solo per il contenuto, ma spesso, anche, e purtroppo, per il tasso d’approfondimento), ardirebbero riformulare l’ormai paradigmatico aforisma baconiano secondo cui la stampa è associata alla polvere da sparo e alla bussola:

‘“Rursus, vim et virtutem et consequentias rerum inventarum notare juvat: quae non in aliis manifestius occorrunt, quam in illis tribus quae Antiquis incognitae, et quarumm primordia licet recentia, oscura et in gloria sunt : Artis nimirum imprimendi, Pulveris Tormentarii et Acus Nauticae. Haec enim tria rerum facies et statum in Orbem terrarum mutaverunt, primum in Re Literaria, secundum in Re Bellica, tertium in Navigationibus. Unde innumerarae rerum mutationes sequutae sunt, ut non Imperium aliquod, non secta, non stella majorem efficaciam et quasi influxum super res humanas execuisse videatur, quam ista Mechanica exercuerunt”3.’

Eppure le immagini che emergono dalle pagine sono state, accanto alle incisioni e le stampe su fogli sciolti, il più valido strumento di trasmissione di modelli tra arti maggiori e arti decorative (si pensi alla ceramica ma anche agli arazzi, agli smalti, alle placchette bronzee). Ed é proprio dalle figure “di carta” che i pittori trassero sovente l’ispirazione per i cicli decorativi ispirati a fonti letterarie, aggiungendo colore e sfumature all’intaglio spesso elementare di anonimi maestri4.

Il problema non sta solo nel rapporto fra storia dell’illustrazione del libro e storia dell’arte, ma, più generalmente tra storia (o meglio, tra le diverse discipline storiche) e storia del libro.

‘“Lungi dall’essere integrati in altre opere, gli studi relativi alla storia della stampa sono isolati e separati artificiosamente dal resto della letteratura storica. In teoria questi studi si incentrano su un tema che sconfina in molti altri campi. In pratica raramente vengono consultati da studiosi che lavorano in qualche altro campo, forse perché la loro attinenza con altri campi non è ancora chiara”5

Nel quadro specifico della ricerca storico-artistica, bisogna ammettere che uno dei principali ostacoli posti alla riformulazione storica e critica di questa disciplina sembra essere stata l’influenza nociva esercitata proprio dalla storia dell’arte di scuola purovisibilista ed estetizzante, ed in particolar modo della storia dell’incisione. Quest’ultima, fondata da lungo tempo sull’anacronistico concetto dei “grandi maestri”, assorbita dalle questioni poste dalle diverse tecniche e dai più svariati procedimenti e dal rompicapo delle sequenze cronologiche degli stati, ossessionata dai problemi di attribuzione, di datazione, di influenza, ha spesso trascinato lo specialista del libro illustrato su sentieri che non sono, o almeno, non sono più - e fortunatamente - quelli dello storico. Questo atteggiamento ha fatto sprecare tempo ed energia in inutili polemiche per arrivare ad attribuire in questa o in quell’edizione, quel legno piuttosto che un altro – si pensi solo alla diatriba ormai secolare sull’autore delle tavole del Polifilo - una certa parte di un lastra, un ritocco, o per distinguere ed identificare una determinata scuola, un atelier o addirittura una certa mano.

Sono tutti problemi che, in generale, oggi dovrebbero riguardare molto più da vicino il collezionista e l’antiquario, che non lo storico.

Soprattutto in un campo come questo, infatti, lo storico dell’arte non può, e non deve, assumere il ruolo di critico: i problemi di attribuzione finiscono per nascondere e far dimenticare le vere questioni da risolvere. Non è la qualità delle creazioni (molto spesso palesemente scarsa, e non ci vuole certo un occhio allenato o una particolare confidenza con raffinati parametri estetici per accorgersene), ma il cercare di comprendere se esse riflettono o meno il gusto, la mentalità, la cultura, lo scrupolo pedagogico o le tensioni estetiche non solo degli uomini che le hanno prodotte, ma anche e soprattutto, della loro epoca, del loro paese e del loro ambiente; di ripercorrere le modalità tramite cui queste immagini siano state recepite, fruite, apprezzate, imitate, deformate - magari anche rifiutate - dal pubblico (e dal lettore) per il cui sguardo sono state concepite.

La conseguenza più grave di un atteggiamento critico avulso dalla considerazione di queste problematiche è stato quello di ridurre lo studio del libro “figurato” a quello del libro “di lusso”, meglio se miniato, a discapito della produzione “corrente”, frequentemente e sdegnosamente qualificata con un termine che non significa niente: “popolare”. E’ così che si è arrivati a sostituire alla storia delle illustrazioni quella degli illustratori, sin dalla fine del secolo scorso accuratamente selezionati – molto spesso tramite sibilline e misteriose associazioni a monogrammi che si sono sciolti nei modi più fantasiosi e pirotecnici - e presentati contornati da un aura quasi agiografica.

Indagare perché si è illustrato un libro, un determinato libro, quale sia la funzione delle pagine illustrate rispetto al testo, quali possano definirsi le espressioni originali e quali invece dipendano, e perché, da tradizioni, scuole, imitazioni, scambi; approfondire dunque i rapporti tra nazioni, regioni, ambienti culturali, tra libro e libro; individuare la fisionomia propria dell’illustrazione del libro all’interno delle arti figurative; interrogarsi sulla proporzione dei “figurati” rispetto all’intera produzione editoriale di un determinato periodo. E’ su queste basi che si potrebbe allora formulare un giudizio storico e critico, motivato e documentato, che tenga conto di rapporti e confronti, problematiche ed interrogativi cui spesso non si può che tentare di dare risposta, non retorico né generico, ma che si concreti sulla coscienza di essere di fronte ad un codice che ha avuto genesi, sviluppi, fortune alterne, che possiede necessità stilistiche proprie (e allora sì allo studio delle tecniche), che offre possibilità emotive uniche, intrinseche, che bisogna “saper vedere” all’interno del più vasto panorama di elementi contingenti e estrinseci di natura più propriamente storica. Perché una cooperazione fruttuosa fra lo storico e lo storico dell’arte può basarsi solo sul pieno riconoscimento delle necessarie differenze tra i due approcci e non – diversamente da quanto di solito avviene – sulla pretesa che tali approcci siano fondalmentalmente simili6”.

Ma il libro figurato è prima di tutto un libro antico, e, come d’altronde ogni altro oggetto, ha necessità sue proprie per essere classificato e descritto. E’ qui, di solito, che si incontrano i maggiori problemi, scontrandosi i parametri di discipline dalle finalità, come si è visto, ancora poco permeabili: nonostante non sia necessario perdersi in dibattiti di filologia o di bibliografia materiale, è certo che il libro illustrato deve essere sottoposto alle regole bibliografiche e catalografiche che sono soprattutto di stetta pertinenza bibliologica. Problema spinoso, pratico e teorico insieme, che impone la conoscenza di norme e procedure specifiche (che, con l’aiuto anche delle nuove tecnologie e dei cataloghi informatici disponibili in rete, si spera verranno sempre più uniformate e rese omogenee), la consultazione e l’uso razionale di determinati repertori, l’applicazione di particolari metodi onde provvedere all’identificazione, descrizione (tenendo sempre a mente l’importanza vitale della netta distinzione, nel campo del libro antico, dell’analisi dell’esemplare da quello dell’edizione) e, in ultimo grado ma certamente fondamentale, alla buona conservazione materiale dell’oggetto stesso.

Ruolo dell’autore, eventuale filtraggio stilistico dell’artista, mode estetiche, tecniche esecutive e tradizioni iconografiche, necessità e interessi economici dello stampatore e del libraio, attese e gusti del pubblico, sono tutte componenti che si fondono ed interagiscono in maniera assai complessa nella genesi dell’illustrazione editoriale. Disciplina “sirena”, questa, dal busto umano della Storia (del libro, della sua produzione ed economia, della lettura ma anche della cultura scritta, della sua diffusione e ricezione) e dalla cangiante coda ittica dell’Arte (e della sua storia propria, delle sue tecniche, dei suoi modelli, dei suoi stili e dei suoi codici), il cui canto ammaliante destina al naufragio chi si convince di poterlo affrontare armato delle categorizzazioni e delimitazioni dei saperi costituiti, e invece riserva piaceri e soddisfazioni inauditi a un ulissiaco navigatore saldamente legato – e quindi, paradossalmente, libero di coglierne i significati più pregnanti - alla convinzione della necessità di un approccio pluri e interdisciplinare.

Pluridisciplinarietà e interdicliplinarietà, fili d’Arianna che accompagnano lo studioso nel tentativo di decifrare il labirinto della fittissima rete di connessioni e rimandi che le immagini intrecciano con la vita e la storia del loro supporto, di rilevare i sommovimenti e le variazioni che provocano nelle culture che le hanno prodotte e d’identificare le scie che lasciano in quelle con cui vengono a contatto lungo i loro percorsi spazio-temporali. Senza dimenticare né la loro natura di “riproduzioni” di un manufatto, costantemente legata all’evoluzione dei progressi tecnologici – con conseguente sempre maggiore capacità, anche quantitativa, di penetrazione e diffusione – né quella di componenti di una merce e quindi sottoposta alle leggi di un mercato e alle sue oscillazioni.

Insomma, l’analisi del libro illustrato, e soprattutto del “figurato” antico si presenta come un ottimo banco di prova per dimostrare la necessità di una maggiore e reale disponibilità all’approccio interdisciplinare e di quanto un po’ più di curiosità (se non di umiltà) scientifica, permetterebbe di scoprire, comprendere e far comprendere l’affascinante incontro, in un oggetto ancor oggi da considerare “rivoluzionario”, tra quelli che restano, ancora e soprattutto oggi, i due principali mezzi di comunicazione: l’Immagine e la Parola.

Mi assumo, naturalmente, ogni responsabilità per gli errori e le inesattezze che, necessariamente, viziano la presente ricerca. Mi é invece doveroso spartirne quei risultati che appariranno di qualche interesse con tutti coloro che in vario modo vi hanno generosamente collaborato, mettendomi in mano, a vario titolo e in diversissime modalità, un libro: “comunicato”, prestato, consigliato, fotocopiato, regalato e magari dedicato.

Primi fra tutti i molti bibliotecari e addetti alla distribuzione che si sono dovuti scontrare con la massa numerica delle mie richieste di consultazioni giornaliere: penso che la notizia dell’avvenuta discussione di questa tesi sarà per loro regalo più bello. Tra loro ricordo con particolare gratitudine, da nord a sud, Piero Falchetta della Biblioteca Nazionale Marciana, Oriana Cartaregia e il personale della Biblioteca Universitaria di Genova, Laura Malfatto e Emanuela Ferro della Civica Berio di Genova, il personale tutto del fondo antico dell’Ariostea di Ferrara, Marina Venier e Simonetta Buttò della Nazionale Centrale di Roma e le loro colleghe capitoline delle biblioteche Angelica e Casanatense.

Vengono poi professori e studiosi delle provenienze e discipline più svariate che ho avuto l’occasione d’incontrare e conoscere durante i miei anni di attività presso l’Enssib di Lione: oltre a dispensarmi preziosi consigli e suggerimenti, mi hanno fornito - la maggior parte di loro in positivo, pochi, ma anch’essi assai utili nel loro esempio, in negativo - modelli di comportamento scientifico e umano.

Questo per quanto riguarda i ringraziamenti di rito, sebbene non per questo meno sinceri.

Riservo queste ultime righe per ringraziare i miei relatori, Sylvie Deswarte-Rosa a Lione e Augusto Gentili a Venezia per la curiosità e l’entusiasmo scientifico che mi hanno saputo trasmettere e, soprattutto, per la loro infinita pazienza; le mie amiche e amici, molti dei quali passati da poco o da molto sotto lo stesso “giogo”, che, sebbene lontani si sono fatti trovare anche nei periodi più bui, Antonella per prima: a loro non va solo la mia gratitudine e il mio affetto ma anche la promessa di saper fare altrettanto, qualora sia necessario; i miei genitori, che volenti o nolenti, hanno creduto nell’utilità dell’impresa e una piccola creatura dal lucido pelo nero e dagli occhi gialli che risponde (quando ne ha voglia) al nome di Tilù, fedele compagna di giornate piovose e veglie forzate.

Un pensiero, infine, a tutti coloro, incontrati in biblioteca, in treno, in libreria, davanti ad una fotocopiatrice, che come me finora, hanno sofferto della condizione di “gerundi”: laureandi, specializzandi, dottorandi. Coraggio, prima o poi si finisce.

Notes
1.

Un’occasione mancata, in questo senso, può certamente ritenersi la grande mostra Venezia e il Nord (Venezia, Palazzo Grassi, 1999) che nella sua sfarzosa ed opulenta offerta di opere più svariate, registrava l’assenza completa del libro, fatto salvo il Breviario Grimani che di certo non può essere considerato un buon esempio della presenza in Laguna del prodotto tipografico seriale nordico...La mostra dedicata a Carlo V (Gand 1999-2000; Vienna, 2000), invece, dedicava gran parte del suo percorso espositivo alle edizioni a stampa, veicolo non solo culturale, ma anche artistico della committenza degli Asburgo; una sezione particolare della mostra romana L’Idea del Bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori (Roma, allestita al complesso dei Dioscuri, era dedicata alla biblioteca del trattatista seicentesco. Il percorso espositivo di un altro evento romano, Botticelli illustratore della “Divina Commedia” (Roma, Scuderie Papali al Quirinale, 2000) oltre a mostrare gli splendidi disegni e le opere del maestro fiorentino, ricostruiva la vicenda iconografica del poema dantesco non solo attraverso i manoscritti ma anche con alcuni incunaboli. Qualche interrogativo suscita infine l’aleatorietà dell’allestimento, soprattutto per quanto riguarda la produzione editoriale, della recentissima mostra romana di palazzo Venezia (2001), dedicata ad Athanasius Kircher: le didascalie non riportavano né i luoghi di stampa né gli editori delle edizioni delle opere del gesuita tedesco, azzerando la possibilità di avere qualche ragguaglio sul peraltro fondamentale rapporto che questo personaggio intratteneva con la stampa. Il modello da seguire é sicuramente quello del catalogo Immagini degli dei (catalogo della mostra di Lecce, 1997) e di Francesco Salviati (Roma-Parigi, 1998), piuttosto che quello recentissimo di Nicolò dell’Abate (Modena, 2005), in cui le schede, filologicamente ineccepibili, lo sono già molto meno a livello storico artistico.

2.

Un discorso (e lungo) a parte meriterebbero le mostre “bibliografiche” di solito ispirate da anniversari o celebrazioni diverse, o finalizzate alla valorizzazione di un determinato fondo. Il libro in sé é una formidabile macchina creatrice di sogni ed evocatrice di universi lontani nel tempo e nello spazio, la cui potenza é meravigliosamente raccontata nel saggio Come un romanzo, di Daniel Pennac. Ma la magia funziona unicamente attraverso la lettura e metterne la lampada magica sotto vetro equivale, anziché a conservarla, a renderla sterile, ad ucciderne il genio. In generale, l’oggetto libro é molto più difficile da esporre di una qualsiasi altra opera d’arte. Troppo spesso si ripete stupidamente che i libri parlano da soli, ma la triste verità é che essi restano muti finché non vengano letti, o, almeno sfogliati. Ora, nelle mostre, davanti al libro esposto all’interno di una teca, il visitatore non solo non può leggere, ma non può nemmeno esercitare i suoi diritti primari di lettore, che ovviamente lederebbero a loro volta i doveri e le necessità di conservazione di oggetti diventati rari e prezioni: non si può toccare o maneggiare la copertina, sfogliare le pagine, e, nel caso che più c’interessa, guardare le figure...I libri in mostra, pur splendidi, senza un’idea museografica forte che ne giustifichi l’esposizione, ridotti alla bidimensionalità di due pagine aperte, non hanno uno status molto diverso dagli animali in formalina...Fortunatamente sono sempre più numerose le mostre, organizzate dalle grandi e piccole biblioteche che predeiligono l’impianto storico-iconografico (come quella su Seneca alla Nazionale di Roma, 1999 o sull’iconografia dei santi senesi attraverso le opere a stampa della civica di Siena, 2000) o prendono spunto da una biblioteca per poi allargare l’orizzonte (La Vita nei libri, sulle strepitose collezioni della Fondazione Cini (2003) o Saperi e meraviglie, sulla “libraria” del medico genovese Demetrio Canevari (2004).

3.

F. Bacone, Novum Organum, I, aforisma CXXIX, in Opera omnia, Frankfurt am Main, Schonwetter, 1665, col. 324. Trad. it. Opere, Torino, 1975 Cfr. Quondam 1983; Eisenstein 1995.

4.

Su questo aspetto, cfr. Cap. III.

5.

Eisenstein, 1995, pag. 18.

6.

Cfr. F. Haskell 1997, p. 9.