Introduzione

‘“Il faudrait examiner le livre en tant que marchandise, en tant que chef-d’oeuvre, en tant que ferment ; il faudrait évidement ne pas négliger les hommes et les métiers du livre, ni la géographie du livre, ni la statistique du livre. Tout ceci fort intéressant et qui composera un livre très alléchant et plein de choses nouvelles”’

H.-J. Martin

‘“He who attemps to study in detail the printing history of Venice throughout the sixteenth century certainly needs an uncommon amount of courage and must be prepared for many perplexing problems, many questions to which there is no apparent answer, and many disappointments too”’

D. E. Rhodes

Dopo essermi interessata ad alcune edizioni illustrate di Gabriele Giolito e ad un primo sondaggio di quelle dell’editore lionese Guillaume Rouillé, rispettivamente per la tesi di specializzazione in Storia dell’Arte moderna (2001) e per il mio mémoire de D.E.A en histoire moderne (2000) é stato pressoché naturale, anche a livello puramente emotivo, personale, scegliere come soggetto del presente studio la produzione figurata di un lionese naturalizzato veneziano : era insomma un soggetto che riuniva due parti della mia esperienza scientifica e, al tempo stesso, umana.

Come spesso succede nelle scelte fatte in preda all’entusiasmo ho sicuramente sottovalutato alcune difficoltà non trascurabili : innanzitutto la vastità del soggetto, che, vista la sua intrinseca interdisciplinarità mi ha costretto ad “addentrarmi in territori non miei” (E. Battisti) e poi, sicuramente, il tempo a disposizione. Ne consegue uno studio che ha necessariamente ombre dense distribuite lungo il suo percorso, provocate dalla difficoltà di gestire, alternativamente, un’enorme quantità di fonti o dei veri e propri “buchi neri” bibliografici.

In mancanza di uno studio monografico sul personaggio, ho dovuto innnanzitutto procedere alla ricostruzione delle vicende biografiche del Valgrisi e soprattutto alla fitta rete di relazioni, anche familiari, che legavano due dei suoi fratelli ad alcuni editori-librai che, dalle botteghe lionese e parigina all’insegna dell’ “Ecu de Bâle”, animavano il commercio internazionale del libro (in particolare di quello “mal sentant”) tra Basilea, Parigi e Lione.

A questo aspetto é dedicato il primo capitolo che ha sostanzialmente come fonti le scarne e assai vaghe - soprattutto per quanto riguarda le fonti archivistiche - informazioni fornite da Baudrier (1967), alcune indicazioni offerte dai preziosi sondaggi negli archivi parigini di A. Charon (1974) e notizie sparse tratte dalla consultazione degli imponenti volumi della Amerbachkorrespondenz (Hartmann 1947), della Correspondance des Réformateurs (Herminjard 1866-1897) e dell’epistolario erasmiano (Allen 1906-52).

Seguire le orme di Jean, Benoît e Vincent Vaugris attraverso l’Europa é stato come rileggere alcune delle migliori pagine di un romanzo come Q di Luther Blisseth, in cui uomini e libri (e le immagini in essi contenute) percorrono in lungo e in largo l’Europa, testimoniando, attraverso le loro vicende (e disavventure), lo sviluppo e le tappe dell’affermazione della Riforma e dei conseguenti tentativi censorei della Chiesa cattolica : il commercio del libro, principale supporto e veicolo dei nuovi fermenti, diventa lo scenario davanti al quale a profonde convinzioni di rinnovamento religioso, si mescolano attraenti possibilità di guadagno.

Seguendone le orme dalla nativa Lione, a Basilea, dove compare per la prima volta in un documento d’archivio, giungiamo infine a Venezia, dove Vincent italianizzerà ben presto il suo nome, integrandosi perfettamente nel prolifico mondo della produzione editoriale cittadina del secondo terzo del secolo, prima come semplice libraio e poi come “produttore in proprio” di questa “mercanzia d’utile e d’onore”.

Ma cosa significa “essere stampatori-librai” in una città come Venezia in questo preciso momento storico ? Ho cercato, districandomi in un profluvio bibliografico che copre almeno tre secoli, di fornire un quadro d’insieme, tanto dell’organizzazione pratica, materiale, di tale attività, quanto della situazione economica e socio-culturale della città in cui la vera e propria “industria” del libro s’innesta.

Ciò mi é sembrato utile per introdurre l’analisi di altre due testimonianze archivistiche riguardanti il Valgrisi, che, seppur già segnalate, non erano mai state interamente pubblicate : l’atto d’acquisto della libreria “alla testa di Erasmo” e il testamento autografo. L’analisi di entrambe i documenti nella loro interezza ha permesso non solo di far luce su alcuni aspetti puramente biografici del personaggio – tra cui quello, legato alla scelta del nome della sua insegna commerciale - di una sua presunta aderenza, o almeno simpatia, alle idee riformate, ma anche di evidenziare importanti caratteristiche della sua organizzazione professionale.

Basandosi sull’assunto, formulato da Quondam (1977) che un editore parla soprattutto attraverso il corpo fisico dei suoi libri, e non solo attraverso le scelte dei titoli, ma anche tramite quella dei formati, dei caratteri, dell’impaginazione, e dei discorsi che questi elementi “tecnici” veicolano, il secondo capitolo é dedicato ad un’analisi globale della produzione editoriale del Valgrisi, fondata sui risultati tratti dalla redazione dei suoi annali tipografici, che, non essendo strumento finora disponibile, ho provveduto io stessa a compilare - pur cosciente dell’aleatorietà che deriva dal mio “dilettantismo bibliologico” - descrivendo “libro alla mano” la quasi totalità delle più di 350 edizioni ed estraendone i dati che più sembravano utili ai fini della presente ricerca.

L’analisi statistica che ne é conseguita, permessa dall’utilizzo di una particolare banca-dati informatica concepita per l’occasione, é svolta sulla base del numero degli autori, della media annua delle edizioni prodotte, dei titoli nuovi e delle ristampe, della lingua di redazione delle opere (e dunque sul rapporto tra testi in latino e testi in volgare), dei formati di stampa, e delle eventuali collaborazioni con altri editori e stampatori. Segue una veduta “a volo d’ippogrifo”, come nelle xilografie dell’Orlando furioso valgrisino, sui nove campi disciplinari (Medicina e farmacopea, Letteratura, Trattatistica, Filosofia, Religione, Storia, Diritto, Geografia e Astronomia) in cui é stato classificato l’insieme dei titoli, con qualche notizia più approfondita per i titoli più significativi. A completare il quadro, alcune informazioni sui collaboratori editoriali della “bottega d’Erasmo”.

Il capitolo prosegue con la ricostruzione – seguendo principalmente le orme, chiare e complete, di Grendler (1983) - di alcune delle vicende salienti del complesso rapporto fra la Serenissima e la Chiesa di Roma circa il controllo (o, piuttosto, la censura) in materia di stampe, cui Vincenzo fu protagonista o prese comunque parte: é dai suoi torchi, ad esempio, che uscì - abrogato prima di essere mai applicato - il catalogo dei libri proibiti stilato nel 1549 dal nunzio apostolico Della Casa; il nome del Valgrisi compare poi nella lettera di protesta indirizzata dai librai al Consiglio dei Dieci in seguito alla pubblicazione dell’Indice del 1555 e nei documenti d’archivio relativi al processo che derivò dalla consegna degl’inventari di libri stranieri (molti dei quali chiaramente indetti dal Catalogus) presenti nei magazzini e nelle botteghe dei librai del 1559. E’ il protagonista, infine, del processo intentato ai librai dall’Inquisizione dopo una perquisizione a sorpresa dei magazzini in cerca di titoli all’Indice.

Anche qui il solo orientarsi nella vastità della bibliografia disponibile avrebbe costituito una ricerca a parte: si sono dunque proposte sinteticamente le vicende che coinvolsero (anche) il Valgrisi, senza addentrarsi nell’analisi storiografica dei singoli avvenimenti, rinviando alle indicazioni bibliografiche di saggi e articoli di numerosi specialisti del settore.

Nella profonda convinzione che un oggetto di studio come l’illustrazione editoriale non possa essere disgiunto dalla storia del suo supporto - ovvero il libro – ho aperto il terzo capitolo, quello più propriamente dedicato alle questioni storico-artistiche, con la descrizione dell’evoluzione che gli aspetti materiali di questo affascinante oggetto polisemico hanno conosciuto durante il secondo terzo del Cinquecento, dedicando particolare attenzione alle componenti della decorazione e dell’illustrazione. Segue un paragrafo sul “nuovo stile” xilografico, ovvero sulle innovazioni tecniche che l’incisione su legno veneziana, stimolata dagli straordinari risultati cui la fecero pervenire i maestri tedeschi - Dürer in primis – conosce a partire dal primo decennio del Cinquecento.

Studiare un’immagine - o una serie d’immagini - all’interno delle pagine di un libro non può certamente prescidere dall’interrogarsi sullo statuto e la funzione che tale figurazione intrattiene rispetto al testo, soprattutto quando ci si accinge ad analizzare un catalogo editoriale come quello del Valgrisi, in cui compaiono molte delle numerose tipologie del “figurato” cinquecentesco. Ho reputato dunque utile esaminare le varie possibilità d’uso dell’immagine editoriale, fornendo a supporto del discorso esempi tratti da testi contemporanei : strumento didattico e gnoseologico dal ruolo sempre più positivo man mano che ci si addentra nel corso del Cinquecento, quando la stampa conquista forme e strutture proprie ; suscitatrice d’emozioni e quindi strumento fondamentale dell’ars memorandi, a sua volta base della tecnica imitativa propria della creazione tanto letteraria quanto artistica del XVI secolo ; chiamata a rivestire un ruolo “illustrativo” nel suo significato più propriamente etimologico, ovvero di documentazione e descrizione di realtà difficilmente coglibili attraverso la descrizione testuale, come nel caso delle tavole destinate ad accompagnare trattati scientifici o tecnici. Comoda ed economica fonte d’ispirazione, infine, per artisti ed artigiani attivi negli ambiti più svariati nell’ambito della decorazione : dalla maiolica al vetro e allo smalto, dalla boisierie agli arazzi, il libro illustrato diventa, insomma, manuale di modelli.

Polo al tempo stesso centripeto e centrifugo della produzione editoriale europea, Venezia produceva e diffondeva pagine illustrate che diventarono il punto di riferimento per gli xilografi di tutt’Europa; nel contempo, importando e redistribuendo edizioni prodotte dai torchi di almeno altri tre diversi paesi europei (Germania, Svizzera e Francia), i suoi artisti venivano continuamente a contatto con i prodotti delle scuole incisorie e delle correnti stilistiche più aggiornate, e da questi, naturalmente, traevano quegli elementi che più sentivano simpatetici al modo di concepire la loro arte.

Il quarto capitolo consiste dunque nell’analisi dell’illustrazione editoriale veneziana della seconda metà del Cinquecento, uno dei primi “vuoti” storografici di cui si diceva: a parte autorevoli ma puntuali contributi sulle “grandi firme” della xilografia veneziana del Cinquecento, Tiziano per primo (Muraro-Rosand 1976), o sugl’episodi - altissimi quanto hapax - dei “libri d’artista” usciti dall’officina del Marcolini, non si dispone né di uno studio globale né tanto meno di un repertorio che copra il baratro che segue alla fatidica scadenza del 1530, data limite della “genuinità” dell’ispirazione xilografica veneziana imposta dalla peraltro preziosissima e insuparata opera dell’ Essling. Avevamo scelto Valgrisi per unire Venezia e Lione: il sesto decennio del secolo vede l’infittirsi dei rapporti, commerciali quanto figurativi, tra le due città e lo scopo che la ricerca si prefigge era appunto enuclearne modalità e caratteristiche, in una congiuntura particolare come quella di questi anni, in cui comincia a formarsi quel linguaggio manierista – di cui così poco é stato scritto riguardo alla sua presenza nelle pagine dei libri, compresi quelli lionesi - che, se veramente sovranazionale, mantiene tuttavia, e nonostante gli evidenti aggiornamenti, in un humus artistico fortemente connotato come quello di Venezia, caratteristiche sue proprie.

La produzione “figurata” valgrisina può essere presa a modello, come si diceva, per le varie declinazioni che l’illustrazione editoriale conosce durante l’arco del Cinquecento: tavole botaniche, geografiche, testi di antiquaria o trattatistica, orazioni in funere...Non potendo procedere ad una schedatura approfondita di tutte le edizioni corredate d’illustrazioni, mi sono limitata, nella speranza di poter aver presto occasione di completare il catalogo, ad offrirne una panoramica globale, approfondendo anche qui i casi più significativi e distinguendo tra le edizioni che possono ricondursi ad un’iniziativa editoriale di Vincenzo e quelle che sembrano piuttosto risultare “lavori su commissione”.

Seguono quattro schede, dedicate rispettivamente al manuale di chirurgia del Tagault (1544), ai Simolachri et Figure della Morte, al Decamerone e all’Orlando furioso, che ci danno modo di approfondire la circolazione delle immagini non solo in uno scambio est-ovest, ma in una vera e propria triangolazione Nord-Lione-Venezia. Sono praticamente quattro saggi indipendenti, in cui, partendo dal presupposto che le edizioni illustrate circolavano ed erano costantemente sotto gli occhi degli editori e degli stampatori delle edizioni in fieri (che sepsso le commerciavano anche...), come, d’altronde, anche degli stessi illustratori chiamati a interpretare nuovamente il testo tramite le immagini, ho cercato di ricostruire la tradizione iconografica dei quattro testi in esame e il ruolo in essa ricoperto dall’edizione valgrisina.

Tra le Appendici, infine, la seconda é dedicata all’analisi iconografica della marca “del serpente sul Tau”, imago agens di cui ho tentato di stabilire le fonti e i possibili significati di cui essa poteva farsi foriera in quella particolare congiuntura storico-religiosa.