Parte I

Capitolo I : Un français italianisant. Vicende biografiche di Vincenzo Valgrisi (al secolo, Vincent Vaugris)

I. 1. - Vincent e i suoi fratelli: Lione

Vincent Vaugris nacque molto probabilmente a Charly, parrocchia e signoria del Lionese, verso il 1490, cadetto di quattro fratelli. Suo nonno, Jean, era un ricco panettiere, i cui antenati erano probabilmente originari di Vaugris, nel Delfinato.

Una Vaugris, Claudia, zia, o forse sorella di Jean, aveva sposato, in seconde nozze, Jean Schabler, meglio noto con il soprannome di Wattenschnee, stampatore e libraio tedesco, poco dopo il suo arrivo a Lione, verso il 1482/3, e altri legami di parentela sussistevano con un nipote di questi, Conrad Resch, libraire juré a Parigi, poi trasferitosi a Basilea verso il 15267. Del figlio di Jean, padre di Vincent e dei suoi fratelli, invece, non abbiamo altre notizie salvo il nome – Pierre – che si ricava dal “Petri filius” con cui Vincent é definito nei documento veneziani8.

Una vita all’insegna dell’ars artificialiter scribendi quella dei quattro fratelli Vaugris - Jean, Benoît, Bastien e Vincent – che furono tutti, sebbene in diverso grado, implicati nella produzione e nel commercio librario, molto probabilmente indotti, nella scelta della loro professione, proprio dai predetti legami familiari, ma anche dal particolare fermento che conobbe l’industria tipografica lionese negli anni della loro giovinezza.

‘“l’art de l’imprimerie est le plus beau et le plus en cette ville qu’il soit en la chrétienté”’

dichiaravano con fierezza campanilistica nel 1540 gli échevins - i magistrati municipali - di Lione9.

Tuttavia, quando vi fu installato il primo torchio, circa settant’anni prima, Lione non era una grande città e non possedeva certo le attrattive commerciali che offriva Parigi, prima fra tutte la presenza in città di un’università o del Parlamento, generatori di una domanda costante e massiccia di testi a stampa, e non beneficiava neppure di uno statuto politico particolare – come Strasburgo, ad esempio, “libera” città imperiale.

Tuttavia la città possedeva un’élite di giuristi colti, avvocati e notai, che acquistava regolarmente testi necessari alla loro professione, e importanti istituzioni religiose, tra cui lo stesso arcivescovado, che, come i numerosi predicatori che abitavano i conventi della regione, avevano la necessità di essere riforniti di messali e breviari. Ma soprattutto, Lione era un’attivissima piazza commerciale, traendo profitto dalle sue quattro fiere annuali, che facilitavano il credito tra i librai, oltre che la spedizione della merce verso i più lontani mercati di tutta Europa10. L’assenza di corporazioni, inoltre, vi permetteva una vita economica estremamente libera e aperta, che, in un breve arco di anni, attirandovi manodopera qualificata proveniente dai più svariati orizzonti, favorì la moltiplicazione del numero delle tipografie e contribuì ad accentuare il carattere cosmopolita della città : numerosissimi i tedeschi, i fiamminghi, gli svizzeri e naturalmente gli italiani, che, lavorando gomito a gomito con i colleghi francesi, s’integrarono nella vita della città tramite legami matrimoniali ed associazioni commerciali11.

Durante i primi due decenni del secolo la produzione dell’industria tipografica lionese - che conosciamo in maniera, se non completa, certamente soddisfacente grazie al fondamentale censimento bibliografico redatto dal Baudrier12 - raddoppia, seguendo la stessa curva rapidamente ascendente della contemporanea produzione parigina, anch’essa quantificabile con una certa precisione, per il trentennio 1500-153013. Verso il 1520, gli archivi militari e fiscali recensivano per Lione la presenza in città di almeno ottanta stampatori, oltre ai librai, i fonditori di caratteri, i mercanti di carta, i legatori e i fabbricanti d’inchiostro. Si calcola che durante questo primo terzo del secolo, i torchi lionesi abbiano prodotto almeno 2500 edizioni, risultato, e al tempo stesso, arma della conquista, da parte dell’industria della stampa locale, di alcuni settori editoriali già prediletti nel corso del secolo precedente : oltre agl’immancabili messali e ad opere religiose, edizioni popolari in volgare francese, ben presto arricchite d’illustrazioni, testi giuridici e medici, molto spesso ancora composti nel più diffuso carattere gotico. Tuttavia é tra il 1530 e il 1540 che il ritmo produttivo delle stamperie lionesi cresce notevolmente e in maniera assai rapida, culminando in un tasso stabile che si protrae fino al 1555/60, fino alla dispersione della gens du livre e alla chiusura di numerosi atelier in seguito alle guerre di religione.

Parallelamente allo stabilizzarsi su terreni conosciuti, la produzione lionese ampia la propria offerta, e grazie anche soprattutto alla presenza in città di Josse Bade, il fondatore dell’edizione erudita parigina, Lione diventò ben presto un centro di produzione del libro umanista, immettendo sul mercato numerose edizioni dei testi classici dell’antichità14. Il testimone di Bade, viene raccolto, oltre che da Sébastien Gryphe, tra l’altro dai numerosissimi editori di origine italiana – i Giunta, i Gabiano, i Portonari - che, avvalendosi dei contatti privilegiati con la madrepatria e associando ai classici la pubblicazione di opere degli umanisti e di autori italiani, contribuirono, insieme ad editori anche non italiani ma in qualche modo legati all’Italia (come Rouillé e De Tournes, che nel nostro paese avevano perfezionato la loro formazione) a fare di Lione un centro di produzione e di diffusione di prodotti culturali italiani - anche in italiano - e un centro d’irradiazione di cultura italiana situato all’esterno della penisola15.

L’estrema correttezza nella curatela e nell’edizione dei manoscritti divenne un vanto locale - non per niente lavorano come correttori e revisori dei testi nientemeno che Rabelais, Etienne Dolet o Miguel Servet – e sempre più numerosi furono gli autori europei che affidavano i loro scritti ai torchi lionesi, confidando nella qualità e nelle potenzialità di “distribuzione” che essi potevano loro garantire, ed sul mercato italiano in particolare.

Su tale facilità di rapporti commerciali abbiamo del resto la testimonianza autorevole ed eloquente dell’Alciati, che scrivendo nel 1531 a Bonifacio Amerbach, gli comunica di aver consegnato il manoscritto di una sua opera proprio al Gryphe, perché vengano stampati rapidamente in una città dove era facile la vendita agli italiani, eventualità molto meno probabile a Basilea:

‘“et eunde mercatores Itali acciperent, qui frequentes Lugdunum conveniunt, Basileam non aeque”16

I protagonisti lionesi dell’arte della stampa, al centro del commercio internazionale del prodotto-libro, erano, dal canto loro, ben attenti a identificare e sfruttare ciò che sembrava funzionare all’estero. Frutto di questa scaltrezza imprenditoriale, fu proprio quella che divenne rapidamente nota come specialità locale : le contraffazioni, soprattutto quelle delle edizioni aldine, richiestissime dagl’intellettuali di tutta Europa, attività straordinariamente redditizia che proseguirà fiorente per tutto il XVII secolo17.

Durante il quinto decennio, apogeo della storia della stampa lionese, “le million de dents noires” stampavano così diverse centinaia di opere all’anno, impiegando verisimilmente, nelle attività legate a questo settore, tra le 500 e le 600 persone. Alla metà del secolo Lione, sebbene per poco tempo, contende a Venezia il titolo di capitale europea della stampa.

Questo successo non fu certo isolato, e dev’essere letto nel quadro della più generale prosperità economica di cui godette la città in questo arco di anni: trampolino di partenza per la conquista d’Italia, vero e proprio miraggio incessante dell’orientamento della politica della monarchia francese dai tempi di Carlo VIII, Lione, per la presenza continua della corte e del governo, diventò ben presto la seconda capitale del regno, ruolo di cui seppe ben presto approfittare per assicurarsi privilegi e “franchises royales” nell’amministrazione, nell’industria e nel commercio. Contemporaneamente, come si é detto, essa si offriva come piazza commerciale di frontiera, carrefour di transito del traffico europeo di merci di ogni genere tra i paesi del Nord, l’Italia e la Spagna, località d’incontro di culture diverse e da dove affluivano capitali da ogni dove - si pensi solo ai banchieri italiani, profughi da Firenze come da altre regioni italiane, vera e propria potenza economica da cui derivarono in larga misura i finanziamenti per la politica italiana e le guerre di Francesco I e di Enrico II18.

Questa larga connessione, di uomini, di capitali, come d’idee, si configurò anche, in maniera più consapevole, come una realtà culturale, una “forma mentis”, quanto meno, contrassegnata in ugual misura dalla lontananza dalla Sorbona - e dalla sua censura – da un lato, e dall’apertura verso tutto quanto viene maturando e manifestandosi in Europa dall’altro. E’, in sostanza, ad una duplice disponibilità che bisogna fare riferimento per spiegare il fatto che in una piccola città come Lione – molto meno popolosa, in quel tempo, di una città quale Milano – si sia sviluppata, nel Cinquecento, un’industria editoriale di livello europeo (qualcosa di simile non accadde a Roma, tanto per fornire un termine di riferimento): la vocazione commerciale della città e una certa apertura “spirituale”, una disposizione al dialogo e all’integrazione, al melting-pot, se non al sincretismo. Un ambiente mediamente libero e molto curioso, non mortificato da provincialismi né da preclusioni troppo rigide, di natura dottrinale o altro19.

Nel corso della prima metà del secolo, inoltre, i mercati stranieri del libro lionese si estesero e divennero più stabili e sicuri: Francoforte, Anversa, Basilea, Ginevra, Venezia, Firenze e Pisa, e poi la Spagna, terreno fertile, dal momento che la produzione locale era ancora balbettante, per il quale le vendite avvenivano alle fiere di Lione e Medina del Campo. Balle di libri lasciavano le sponde del Rodano per giungere persino in Inghilterra. Contemporaneamente, anche le reti commerciali interne diventavano più complesse: i libri non venivano più solamente spediti verso centri importanti come Parigi, Bordeaux e Tolosa, ma anche verso Aix-en-Provence, Cahors, Saintes o Nantes: i librai percorrevano la lunga e faticosa strada che scendeva dal Massiccio Centrale per rifornirsi alle fiere di una città sempre più sentita come porta verso il mondo del Sud, e dell’Italia in particolare..

Infine, sotto gli effetti congiunti del patrocinio municipale e di quello privato, degli sforzi dell’élite laica a favore della diffusione dell’educazione, della forte presenza d’italiani interessati alle più moderne forme letterarie ed artistiche e dell’apparizione dei nuovi fermenti religiosi, lo stesso commercio cittadino era in pieno sviluppo. Questo rigoglio dell’offerta, finì per avere conseguenze non trascurabili sulla domanda: l’industria della stampa, con la sua stessa presenza, moltiplicò in città il numero dei lettori e dei curiosi verso i nuovi prodotti al tempo stesso commerciali e culturali, i ricchi mercanti e negozianti, sempre più protagonisti del governo cittadino.

Nella rue Mercière e nelle strade vicine, dunque, nel cuore stesso della città, sulla rive droite della Saona, sono attive, riepiendo l’aria del ritmo incessante dei loro torchi, dalle 75 alle 100 officine tipografiche, di cui un quinto é gestito da maîtres-imprimeurs – stampatori - indipendenti, che lavorano per i marchands libraires, ovvero gli editori, i librai20.

A dominare il mercato sono infatti sempre più alcune grandi “case editrici” i cui proprietari si ritrovano allo stesso rango dei governatori cittadini e molto spesso partecipano all’amministrazione della vita pubblica accanto ad altri membri dell’aristocrazia : sono i Gabiano, i de La Porte, i Giunta, i Vincent o i Senneton, rappresentanti di grandi dinastie mercantili già attive in città, convertitesi in un secondo tempo alla stampa. Il libro, a sua volta, permette loro di diversificare gl’investimenti - nel commercio della seta, di tessuti o del vino – incrementando i loro già per altro ingenti patrimoni che si ha modo di misurare sulla base delle doti che lasciano alle figlie o dall’acquisto delle loro case di campagna.

Fin dall’inizio del secolo, poi, erano frequenti le “compagnie”, ovvero le associazioni tra librai allo scopo di condividere le spese di stampa di edizioni particolarmente onerose, come ad esempio quelle giuridiche, il Corpus juris civilis e il Corpus juris canonici, spesso pesanti in-folio in più tomi il cui trasporto era costoso e la vendita lenta. La Grande Compagnie des libraires, creata nel 1520, finì per diventare una sorta di associazione protezionistica cui aderivano i più importanti professionisti cittadini del settore e in vent’anni il suo capitale, condiviso fra gli associati che ne facevano parte, aveva raggiunto il rango delle insegne più importanti21.

Dal 1539 al 1544, il virulento sciopero degli operai stampatori in rivolta contro i padroni che, a causa dell’aumento generale dei prezzi, pretendevano una maggiore produttività, senza naturalmente aver l’intenzione di ritoccare i salari, tagliò il fiato allo slancio dell’industria tipografica lionese22. Quando la situazione si ristabilì, alla metà del quarto decennio, una nuova generazione di editori occupa la scena dell’age d’or del libro lionese, vantando a catalogo migliaia di edizioni, come i loro più famosi colleghi veneziani o parigini. Ma di loro, i colleghi transalpini di Vincent, ormai diventato Vincenzo, stampatore e libraio veneziano alla “testa di Erasmo”, e i protagonisti del libro illustrato lionese della metà del secolo, ci occuperemo in seguito23.

Torniamo ora ai fratelli Vaugris.

Sébastien – Bastien - Vaugris, era nato verso il 1490, e a Lione sembra aver esercitato il mestiere di stampatore. Dal suo primo matrimonio con una donna il cui nome é ignoto, ebbe una figlia, Munda Vaugris (o Valgris), che compare in numerosi atti notarili dal 1576 al 1584; si unì in seconde nozze con Catherine Vollard, da cui non ebbe figli. Quest’ultima testimonia il 12 aprile 1562, domandando di essere inumata nella chiesa di Saint Georges nella tomba di Sébastien Vaugris, suo marito, di cui s’ignora la data del decesso24. Non ne abbiamo altre tracce.

Benoît Vaugris, di qualche anno più anziano - doveva essere nato verso il 1484 – fu anch’egli stampatore a Lione dove compare nei registri delle tasse dal 1518 al 1523. Nel 1523, dopo aver aperto una bottega a Costanza, raggiunse suo fratello Jean a Basilea, dove, pur dichiarando di voler mantenere la sua nazionalità, prestò giuramento il 5 novembre, avendo per garanti il parente Jean Schabler - nel frattempo trasferitosi stabilmente nella città svizzera, dal momento che nel documento vie é citato come libraio residente - e, appunto, suo fratello Jean. Da quel momento la sua attività é soprattutto incentrata sul commercio editoriale, in particolare tra Venezia e Colonia. A Basilea meritatò gli onori della cronaca giudiziaria locale - in cui é definito Buchführer - per aver gravemente ferito un altro uomo: fu lo stesso Schlaber a pagare la cauzione per tirarlo fuori di prigione, ma persino Erasmo, con cui doveva avere una certa familiarità e confidenza dal momento che l’umanista gli affidava spesso la sua corrispondenza, si sente obbligato a scrivere una lettera in suo favore al concilio cittadino25.

Doveva già essere morto nel giugno del 1527, dal momento che non compare nella controversia sorta per il recupero dei libri del deposito parigino di suo fratello Jean, circostanza grazie alla quale ci é giunta la prima testimonianza documentaria relativa a Vincent 26.

Notes
7.

Per entrambe, cfr. infra.

8.

Le notizie sulla famiglia Vaugris sono attinte da Baudrier 1964, X, pp. 457-64. Baudrier fornisce anche l’albero genealogico della famiglia, che risulta però falsato dal fatto che ignora l’esistenza di Pierre. Vincenzo é citato con il patronimico in un documento del 5 aprile 1559 : “Vincenctius Valgrisius quondam Petri bibliopola ad insigne officinae Valgrisianae”, é teste di Diana, vedova di Baldassarre Costantini, con cui Vincenzo produsse alcune edizioni in associazione dal 1557 al 1559 (A.S.V. Notarile, Atti, De Benedictis, 426, c. 97r.; cfr. cap. 2.1). Anche in un documento del 12 ottobre 1527, relativo a Jean, il fratello di Vincent, Pierre é citato come loro padre, cfr. Baudrier 1964, X, p. 462, cfr. Appendice 1, doc. n. 1.

9.

Citato in Zemon Davis 1983a, p. 255.

10.

Nel Cinquecento, le fiere lionesi avevano ritrovato tutta la serie dei privilegi accordatigli da Luigi XI a partire dal 1494 e dall’editto d’Auxonne promulgato da Carlo VIII. Esse avevano luogo quattro volte all’anno - ai Santi, all’Epifania, a Pasqua e metà agosto - attirando in città una folla di mercanti, tanto disparati quanto le balle delle loro mercanzie. Vi si commerciava principalmente spezie e tessuti, e Lione infatti godeva l’esclusiva dell’importazione di tutte le spezie, droghe e prodotti coloniali, sui quali esercitava un diritto di controllo e di tassazione detto “de Garbeau”. Un diritto analogo le era stato concesso sull’importazione di tutte le sete grezze o lavorate: tutte prerogative importanti, che trasformavano la città in un enorme magazzino europeo. Le altre merci in vendita, cuoi, pellami eccetera, godevano persino della totale franchigia durante l’intero periodo di ogni fiera, vale a dire quindici giorni quattro volte l’anno. Nessuna tassa d’entrata né d’uscita, nessuna gabella o percentuale sulle vendite diminuiva dunque il guadagno dei mercanti, né alcuna interferenza, le loro transazioni. A questa periodica tregua fiscale e totale libertà s’aggiungano i privilegi giuridici del tribunale della Conservation des foires, e tutte le facilitazioni assicurate dalle banche locali in materia di trasmissione di valuta e di pagamenti le cui scadenze erano ritmate dal calendario fieristico. Lione poté mantenere i privilegi – e il successo assicurato - delle sue fiere nonostante le guerre, i disordini locali e persino le epidemie, ma il fatto che queste preziose franchigie ebbero bisogno di essere confermate e stabilite almeno sette volte tra il 1495 e il 1555 – tra cui due volte da Francesco I e quattro da Enrico II – ben dimostra come su di esse pendessero ripetute minacce: la grande circolazione di merci che esse stimolavano offriva infatti una fonte di guadagno estremamente appetitosa per il fisco reale, e la tentazione crebbe nella misura in cui il bisogno di denaro, durante il regno di Francesco I, si fece sempre più pressante. Cfr. Gascon 1971.

11.

Cfr. A. Vingtrinier, Histoire de l’imprimerie à Lyon, de l’origine jusqu’à nos jours, Lyon, 1894 ; Romier 1949; Joly 1958 ; Martin 1972 ; Imprimeurs et ecrivains 1981 ; Balmas 1988; Dureau 1994 ; Zemon Davis 1983a.

12.

Baudrier 1964. Jules Baudrier pubblicò la prima edizione della sua monumentale Bibliographie lyonnaise in 12 volumi tra il 1895 e il 1921. La ristampa, con l’aggiunta e l’aggiornamento delle tavole compilate e pubblicate da George Tricou nel 1950, risale al 1964 (Paris, De Nobele).

13.

Per Parigi, cfr. Dureau 1994, p. 44. ; H.-J. Martin-J. M. Dureau, Années de transition : 1500-1530, in Histoire de l’édition française, I, pp. 217-225. Il fatto che l’industria editoriale delle due città seguisse in certo modo i medesimi ritmi di crescita é testimoniato dal fatto che fu lo stesso malessere, a far brutalmente precipitare il tasso produttivo nelle due città all’unisono di altri indicatori della situazione economica, nel 1524 : questa crisi é dunque certamente imputabile alle sconfitte militari che condussero alla prigionia del re.

14.

Cfr. P. Renouard, Bibliographie des impression et des oeuvres de Josse Bade Ascensius, imprimeur et humaniste, 1462-1535, Paris, 1909, 3 voll. ; Febvre-Martin 1958, pp. 215-18 ; A. Labarre, in Imprimeurs et libraires parisiens, II (1969), pp. 6-298.

15.

Cfr. Balmas 1988; Boucher 1994,. Per Gryphe, cfr. Rozzo 1988; per i Giunta, Pettas 1997; per i Gabiano, Marciani 1972 e, rispettivamente Baudrier 1964, VIII; per i Portonari, Ibidem, V.Per le edizioni dei classici italiani di Rouillé e De Tournes, i massimi esponenti dell’editoria lionese in italiano degli anni centrali del secolo, cfr. cap. III. 3

16.

Cfr. Rozzo 1988, p. 168 ; L. Barni, Le lettere di Andrea Alciato giureconsulto, Firenze, 1953, p. 121. La lettera é datata 5/I/1531 e l’opera in questione sono i Commentarii ad rescripta principum. Tutto ciò pur tenendo conto che in quegl’anni l’Alciato risiede a Bourges e quindi i torchi lionesi sono per lui a portata di mano ; situazione ben diversa da quelli di numerosi altri intellettuali italiani che, rimasti in patria, dove per latro sono attivissime e fiorenti le tipografie, decidono tuttavia di pubblicare le loro opere a Lione.

17.

Cfr. W. Kemp, Conterfeit Aldines and Italic-letter editions printed in Lyons 1502-1510 : early diffusion in Italy and France, “Papers of the Bibliographical Society of Canada” 35/1 (1997), pp. 75-100.

18.

Incentrato particolarmente sulla committenza architettonica e artistica dei banchieri fiorentini a Firenze, cfr. Iacono–Furone 1999

19.

Cfr. Balmas 1988, pp. 66-7.

20.

Parlare di editori per il Cinquecento dà luogo a qualche difficoltà di definizione. L’espressione é certamente corrente e l’adopera, per esempio, Robert Estienne (lo stampatore editore-parigino) nel suo Dictionarium, seu latinae linguae Thesaurus (Paris, Robert Estienne, 1543, c. 527v.), ma in senso molto stretto significa solo colui che prepara un testo – antico o recente, ma più generalmente antico – greco o latino – che ha avuto bisogno di essere sottoposto ad una coscienziosa operazione filologica prima di essere consegnato nelle mani dello stampatore : dunque, in questo senso, editore é il filologo distinto dallo stampatore. Eccezionalmente le due figure possono coincidere e avremo i casi eccellenti di Aldo Manuzio il Vecchio, Josse Bade, Robert e Henri Estienne. Ma l’editore poteva essere lo stesso autore, come nel caso di Erasmo e Hieronymus Froben o Aldo Manuzio. Poteva presentarsi anche la figura che aggiungeva alle funzioni di editore-stampatore quella di mercante di libri, di libraio, appunto. E’ il caso del parigino Josse Bade – editore-stampatore - che aveva nella sua tipografia la sede del negozio di vendita. Cfr. Perini 2002, pp. 113-14 ; S. Rizzo, Il lessico filologico degli umanisti, Roma, 1973, pp. 303-323.

21.

Cfr. Baudrier 1964, VII, pp. 33-34; 75-76; J.-M. Dureau, Recherches sur les grandes compagnies de libraires lyonnais au XVI siècle, in Nouvelles études lyonnaises, Genève, 1969, pp. 5-63; Pettas 1997, pp. 169-192.

22.

Cfr. M. Audin, Les grèves dans l’imprimerie à Lyon, au seizième siècle, “Gutenberg-Jahrbuch” (1935), pp. 172-4; N. Zemon-Davis, Stikes and Salvation at Lyons, in Society and Culture in Early Modern France, Stanford, 1965, pp. 1-16 (ed. ital. Le culture del popolo, Torino, 1980, pp. 3-22)

23.

Cfr. cap. III. 2

24.

Cfr. Baudrier 1964, X, pp. 458-59.

25.

Benoît aveva spesso recapitato lettere e manoscritti provenienti da Venezia – e talvolta dall’ambasciatore francese nella Serenissima, Lazare de Baïf - alla residenza di Erasmo a Friburgo. Cfr. Bietenholz 1971, p. 198. Per Colonia, cfr. G. Chaix, Communautés religieuses et production imprimée à Cologne au XVIe siècle, in Le livre dans l’Europe 1988, pp. 93-105.

26.

Cfr. Baudrier 1964, X, p. 458 ; Bietenholz 1971, p. 32. Benoît é citato nella corrispondenza degli Amerbach ancora nel 1526 : cfr. Hartmann 1953, vol. III, nn. 1103, p. 139; 1132 ; 1157, pp. 215-16 ; 1165, pp. 222-23 (tutte lettere datate 1526). Benoît aveva fatto spesso da tramite per l’invio di lettere e manoscritti fra Erasmo, allora a Friburgo, e i suoi corrispondenti e fornitori veneziani, cfr. Allen 1906-52, vol. 9.179.