Un nome, una garanzia ?

La maggior parte dei librai teneva bottega nel centro della città, in una zona compresa tra San Marco, Sant’Angelo, il ponte di Rialto, i Santi Apostoli, San Zanipolo e Santa Maria Formosa: lungo le Mercerie, dalla torre dell’Orologio a campo S. Bartolomeo, e la Frezzeria, da San Moisé a San Fantin, si allineavano le librerie. I negozi e le case dei librai erano concentrati soprattutto nelle parrocchie di San Zulian, San Salvatore, San Bartolomeo, San Moisé, Sant’Angelo e San Canciano, ma case e botteghe erano comunque sparse un po’ dovunque per la città, fino a San Pietro di Castello, e i libri venivano venduti, nuovi e usati, anche all’aperto, sulle bancarelle del ponte di Rialto o soprattutto nel caso di economiche edizioncine di testi devozionali, da ambulanti in Piazza S. Marco152. Nella chiesa di San Zanipolo, invece, si trovava un ampio magazzino del quale, come vedremo, si servivano molti librai ed era anche il luogo d’incontro per i membri dell’Arte153. Gli atelier di produzione, le stamperie, normalmente adiacenti nelle piccole città, erano, a causa del particolare affollamento delle zone cittadine centrali dedicate al commercio, separate fin dalle origini154.

E a San Zulian, nella scuola dei Battuti di Santa Maria della Misericordia, era situata anche la bottega “alla testa di Erasmo”, che Vincenzo acquistò, insieme al suocero, il libraio parmense Andrea del fu Agostino, dal bresciano Pietro di Giacomo, di professione calzolaio

‘“Prudens vir magister Petrus Jacobi brixiensis sutor habitator in confinio sancte Marie Formose Venetiarum per se et heredes ac successores suos dedit vendidit et alienavit discretis viris ser Andree quondam Augustini parmensi et ser Vincentio q. Petri Vaogris de Lugduno eius genero, ambobus librariis ibidem presentibus ementibus et stipulantibus pro se et eorum heredibus ac successoribus, suam appothecam librariam a insigne capitis Erasmi de ratione ipsius magistri Petri venditoris quam dictimet emptores administrabant positam in confinio S. Iuliani in domibus scholle batutorum Sancte Mariae dela Misericordia. Scilicet omnes libros et sive textus ac volumina librorum venales impressos existentes et qui reperiuntur in dicta appotheca iam visos et particultarire apretiatos concorditer inter eos et cum dicto insigni capitis Erasmi et aviamento ac omnibus rebus et fulcimentis suis suis prout reperiunt in presentiarum, et quos omnes libros textus et res ut supra fidem emptores vocaverunt se habere penes se et in eorum potestatem”’

Era il 16 dicembre del 1532, data della prima testimonianza archivistica che attesta la presenza di Vincenzo a Venezia155.

In realtà, al momento dell’acquisto, Vincenzo doveva risiedere a Venezia già da qualche tempo : nell’atto, infatti, si afferma che lui e il suocero, anche se in particolare quest’ultimo tra i due, definiti “librari”, avevano in gestione - “administrabant” - la bottega in questione, e ne acquistavano, oltre i “muri”, anche la merce presente, “omnes libros et sive textus ac volumina librorum venales impressos existentes”, precedentemente inventariata e calutata concordemente, insieme all’“aviamento”, ovvero la notorietà e la evidentemente già consolidata tradizione della bottega, insieme con “omnibus rebus et fulcimentis suis prout reperiunt in presentiarum”, ovvero mobilia e suppellettili.

La somma pattuita per la vendita fu di 400 scudi (ma di 33 la bottega era creditrice presso l’editore romano Jacopo Mazzocchi156), e il pagamento doveva avvenire in rate mensili di 10 scudi, fino ad estinzione della somma (dunque, in poco più di tre anni):

‘“Et hoc nominatim pro pretio et mercato scutorum quadrigentorum auri a sole ad rationem librarum sex et soldorum quindecim parvorum pro singulo scuto computatis etiam in dicta summa scutorum 400 scutis triginta tribus de quibus prefata appotheca reperitur creditrix cuiusdam da Ser Iacobi Mazocho librarii alme urbis habitatoris super quodam eius pignore existente penes prefatos emptores: Quos nomatiis scutos quadrigentos pro amontare dicte appothece ut supra vendite prefate Ser Andreas et Ser Vincentius emptores dare debeant ac promesserunt prefato Magistro Petro venditori ibidem presenti et stipulanti obligando se et quemlibet ipsorum in solidum in partem et in totum ad hos terminos et pagas videlicet scutos decem singulo mensem usque ad completam solutionem dictorum scutorum quadrigentorum absque ulla exceptione”’

tale ampia dilazione era garantita, oltre agl’obblighi generali e comuni ricordati nell’atto, dalla bottega stessa e dai beni in essa contenuti, che pro tempore rimanevano vincolati a favore del creditore fino a completa soddisfazione del debito

‘“Et praesertim predictam appothecam et sive res ac bona ut supra per eos empta et tam presentia quam etiam que pro tempore in ipsa appotheca reperirentur que appotheca et sive que res presentes et futures ut supra per pactum expressum remaneant specialiter obligate et hypothecate eidem magistro Petro venditori et creditori ultra generalem obligationem suprascriptam usque ad integram satisfactionem et observatiam premissorum”’

L’atto, naturalmente, liberava l’ex-datore di lavoro da ogni residuo debito in fatto di salario nei confronti dei suoi ex-dipendenti

‘“Ceterum salvis premissis quia prefati emptores adhuc administraverunt sive prefatus Ser Andreas administravit predictam appothecam pro computo prefati magistri Petri. Ideo predictus magister Petrus ex una et prefati Ser Andreas et Ser Vincentius et altera partibus fecerunt et faciunt ac rogaverunt et rogant se ad invicem et vicissim plenam et irrevocabilem securitatem et quietationem de et super omnibus et singulis rationibus et causis habitis quoquomodo insimul ad agendum usque in presentem diem tam circa administrationem dicte appothece factam per dictos emptores quoniam circa eorum mercedem sive salarium aut utilitatem vel lucrum quas vel quod alter ab altero petere poterat vel potuisset ac aliter quomodocumque et qualitercumque” ’

L’estinzione del debito avvenne in cinque anni : la quietanza definitiva, leggibile a margine dell’atto, é infatti datata 16 gennaio 1538

‘“Ser Vincentium ibidem presentem et stipulantem pro se et nomine predicti Andree absentis cum eorum bonis heredibus et successoribus in perpetuum absque ulla exceptione sub obligatione omnium bonorum suorum presentium et futurorum. Actum Veneti in confinibus Bartholomei de Rialto in appotheca chartis ad insigne S. Alovisii”’

Di fatto però gli affari dovettero andare bene, dal momento che Vincenzo (nulla più sappiamo del suocero Andrea), proprio da quella bottega, e utilizzandone l’insegna come marchio, pose le basi per una fortunata carriera editoriale e un’altrettanto prospera attività commerciale.

E proprio a proposito dell’insegna, sembra doversi chiarire - sebbene a malincuore - un equivoco storicamente creatosi intorno alla volontà di Vincenzo di legare la sua attività editoriale al nome – anzi, alla testa ! - di Erasmo da Rotterdam:

‘“[Il Valgrisi] impiantò subito una propria bottega, che chiamò “officina Erasmiana”, certamente in ricordo degli anni di Basilea e probabilmente anche in cauto proclama di fede riformata: nella Venezia del 1540 tutto era ancora possibile”157 ’ ‘“Di origine francese, Vincent Vaugris si insedia a Venezia nel 1531 e vi apre una libreria, che a partire dal 1540 circa si fregia come insegna della testa di Erasmo. Il nome dell’umanista olandese contrassegna anche i libri dei quali il Valgrisi finanzia la stampa”158

Dal documento sembrerebbe invece evincersi che tale firma commerciale non fosse frutto di una scelta per così dire ideologica, ma molto più semplicemente e tradizionalmente l’insegna di una bottega già ben avviata, che Andrea, ancora prima di Vincenzo, aveva avuto in gestione, di proprietà, tra l’altro, di un artigiano – il Pietro “sutor” - di un settore ben lontano da quello editoriale, e che ben difficilmente avrebbe intitolato il suo spazio commerciale alla figura di un grande letterato.

Insomma, sembrerebbe proprio che questa “testa” non abbia mai avuto a che fare con quella dell’umanista olandese, ma sia piuttosto una delle tante intestazioni utilizzate per le insegne commerciali dell’epoca, con il riferimento ad un nome, forse quello del santo, che a Venezia doveva suonare persino familiare159.

Eppure le coincidenze sembrano troppo numerose, per liquidare così in fretta la questione.

Nella vita di Vincenzo, Erasmo non doveva limitarsi ad essere un intellettuale famoso e, al massimo, una figura di rifererimento per nuovi sentimenti di riforma spirituale: nonostante non si abbiano testimonianze in proposito, é molto probabile che i due si siano persino conosciuti di persona a Basilea, mentre quel che é certo, come abbiamo visto, é che suo fratello Benoît con Erasmo intratteneva rapporti addirittura familiari160.

Un caso anche che negli annali dell’“officina al segno di Erasmo” facciano spicco le due sole edizioni dei Colloquia in traduzione italiana che siano state pubblicate a sud delle Alpi fino quasi ai giorni nostri, e un’edizione degli Apophthegmata, sempre in traduzione italiana ?161

Che il letterato al quale Vincenzo affidò l’incarico delle traduzioni di questi testi, il maestro modenese Pietro Lauro, fosse, come altri traduttori italiani dell’umanista, un aderente alle nuove idee religiose e legato ad una rete clandestina evangelico-riformata ?162

E che anche altri simpatizzanti delle nuove idee religiose, tra cui il Postel, trovassero impiego presso il Valgrisi, sicché l’ “officina erasmiana” appariva, nel decennio fra il 1540 e il 1550 come un centro di discussioni su temi religiosi controversi, come per esempio sul principio della “misericordia de Christo” ?163

Fin da questi anni il Santo Uffizio teneva d’occhio questo libraio al segno d’Erasmo, e dovette convocarlo più di una volta quando in città si verificava qualche caso particolarmente clamorosi di stampa ereticale. Le vere e proprie ingerenze nella sua attività cominciano solo nel 1559, quando,

‘del mese de gennaro over febraro al tempo che me feste levar la insegna de Erasmo164

come ricorda Vincenzo ai padri inquisitori in occasione del processo per possesso di libri proibiti dall’Indice, svoltosi nell’agosto successivo, senza peraltro appellarsi al fatto che il nome della bottega l’aveva trovato così com’era.

La sua attività imprenditoriale, che aveva conosciuto il successo ed era stata contrassegnata per molti anni dalla famigerata “testa” si svolgerà d’ora in poi all’insegna del Tau, l’immagine che, con il serpente, compariva sulla marca tipografica vera e propria165.

Ma – un’ultima coincidenza ? – più difficile sarebbe stato far cambiare nome all’Erasmo in carne ed ossa, il più piccolo di casa Valgrisi, che – forse lui si – in onore del suo illustre omonimo e con il compiacimento paterno - si era dedicato agli studi166.

Alla luce degli eventi successivi anche al cambio d’insegna, si potrebbe ipotizzare – nonostante tutto la tentazione é forte... - che, una volta affiancato il suocero nella gestione della bottega (diventata una libreria per sua iniziativa ?), magari proprio Vincenzo avesse potuto suggerire tale nome, nel ricordo della gloriosa attività degli “Ecus de Bâle” e per diversificare sin dal “brand”, le specialità della casa...

Notes
152.

Grendler 1983 p. 23. Sul commercio del libro usato, cfr. Nuovo 1998, pp. 168-174.

153.

Per cui cfr. infra, cap. 2.5. In Venezia, Museo Correr, Ms. Cicogna 3044, Parte, cc. 35v ss. riporta l’accordo fra l’Arte e i padri di SS. Giovanni e Paolo per fare del convento sede delle riunioni.

154.

Cfr. Nuovo 1998, pp. 55-60.

155.

ASV, Notarile, Atti, Notaio Bartolomeo Soliani, b. 11863, cc. 76v-78r. Il documento é stato parzialmente pubblicato e analizzato in Nuovo 1998, pp. 190-92. E’ riportato per intero in Appendice I.2

156.

Per Jacopo Mazzocchi, “libraio all’Accademia romana” ed editore delle Illustrium Imagines di Andrea Fulvio (1517), cfr. F. Ascarelli, Annali tipografici di Giaacomo Mazzocchi, Firenze, 1961.

157.

Così Pesenti 1985, pp. 73-4. L’autrice non é a conoscenza del documento, quindi il “subito” si riferisce al 1540, anno in cui fa risalire la prima edizione del Valgrisi (che in realtà data al 1539).

158.

Seidel Menchi 1987, p. 344.

159.

A Sant’Erasmo, infatti, era intitolata una delle isole della Laguna, su cui sorgeva l’antichissima chiesa dei SS. Erme ed Erasmo. Per le insegne librarie, cfr. Moro 1989

160.

Cfr. supra, nota 19

161.

Colloqui famigliari di Erasmo Roterodamo ad ogni qualità di parlare […] Tradotti di latino in italiano, per m. Pietro Lauro modenese, 1545 ; I ragionamenti, overo colloqui famigliari di Desiderio Erasmo Roterodamo, 1549 ; Apoftemmi cioè motti sententiosi scelti da diversi autori greci, e latini, e posti iniseme et isposti da Erasmo in otto libri, 1546. Cfr. cap. II. 1 e Annali, per annum.

162.

Cfr. Seidel Menchi 1987, p. 141 ; 179 e 344. Fra i clienti del Lauro vi erano famiglie del patriziato veneziano e membri della colonia tedesca, il cui reclutamento era facilitato al maestro dalla sua adesione alla Riforma. Cfr. anche cap. II. 1

163.

Cfr. Seidel Menchi 1987, p. 345 e nota 21, p. 463. Per il Postel, che fu a Venezia nel 1537 e poi vi dimorò dal 1547 al 1549, cfr. Bietenholz 1971, p. 139 ; Cfr. A. Stella, Esperienze e influssi di Guillaume Postel fra i movimenti eterodossi padovani e veneziani, in Guillaume Postel, Venezia e il suo mondo, atti del convegno (Venezia, 1982), Atlanta, 1985.

164.

ASV, Sant’Uffizio, b. 14, Processi 1547-1570, Vincenzo Valgrisi et alii, 9 agosto 1559, c. 7, pubblicato in Sforza 1935, p. 175-76.

165.

Anch’essa, d’altronde, forse dal significato non del tutto neutro. Cfr. Appendice.

166.

Cfr. infra.