« Considerando io Vincenzo Valgrisi libraro la fragilità della humana natura... »

Al di là delle fonti d’archivio che riguardano la sua avventura imprenditoriale (e relative disavventure), poche sono le testimonianze che ci parlano della vita “civile” veneziana di Vincenzo : almeno tre registrazioni come testimone, ma in realtà sempre nell’ambito di procure tra librai per il recupero di crediti, e il testamento autografo, stilato il 10 Aprile 1566167

‘perché ho visto et cotidianamente si vede intravenire grandissime discordie tra parenti, tra fratelli e sorelle dopo la morte del padre loro, overo del principale capo di casa et questo per errore di quelli che sono morti senza disporre di casi loro; et pero voglio io disporre di casi miei per oviare a simili errori.’

E’ proprio quest’ultimo, aperto il 13 novembre 1573, che, oltre a interessanti dati concernenti la suddivisione del suo (cospicuo) patrimonio finanziario e la futura gestione della sua impresa, ci fornisce qualche informazione sulla vita “privata”, o meglio, familiare della numerosa famiglia Valgrisi.

Vincenzo si sposò una volta sola, con la “carissima et diletta consorte, Madonna Eugenia”, figlia, dunque, di Andrea fu Agostino parmense, “carissima et diletta consorte”, che gli diede ben nove figli 

sei figliuoli mascoli legitimi et vivi, et due figliuole vive una maridata, et l’altra donzella e da maritare168

Come abbiamo visto, Diana aveva sposato il “libraro” bresciano Giordano Ziletti, che doveva avere rapporti di fiducia con Vincenzo fin dall’ “avventura” della filiale romana, e aveva dunque già ricevuto la sua dote169. Vincenzo le lascia comunque “in segnio de Amorevolezza”

‘per la valuta de ducati cento corenti in tanti di miei libri per il prezio che ho sempre usato de dare et vendere ali merchadanti che da me sono comperati et non altramente’

L’altra figlia femmina, Felicita, doveva essere ancora in giovane età se Vincenzo specifica, dimostrando un’elasticità piena di buon senso

‘voglio che l’altra mia figliola legittima Felicita sia maritata quando lei sarà pervenuta al etade et tempo de Anni dieciotto Dico anni 18 un anno piu overo manco non importa secondo la ventura per la via del nostro Signor Dio et aborischa la via deli impi’

Tredici anni dopo sposerà il nipote di suo cognato Giordano, Francesco Ziletti, anch’egli libraio, cui porterà la dote prevista da suo padre

‘ducati mile corenti tra roba et danari; acio posa trovare megliore ventura che se potera acio che lei posa vivere honoratamente a honore et gloria del Signor Dio’

e altri “ducati do mille” promessi promessi dai due fratelli Giorgio e Felice, così pagati

‘ducati [...] mille in tanti libri della compagnia di libri di legge [...] al sposar in contanti ducati mille. Item in tanti beni mobili ed ornamenti [...] ducati cinquecento170

E veniamo ai maschi (e alle note dolenti)

‘io me retrovo fra li mei sei figliuoli mascholi dui di loro, li quali mi son stati disobedienti et si sono maridati contro la mia volonta et senza mia saputa, in luoghi li quali io aborischo; voglio che hognun de loro abia delli miei beni come seguita, accio posano vivere piu honoratamente che sara a loro possibile. ’

Di questi due, Pietro, che il padre doveva forse aver cercato di responsabilizzare all’attività di famiglia inviandolo a Francoforte a gestire la bottega che là possedeva, sembra invece non dimostrare grandi qualità imprenditoriali, ma, piuttosto, un bel paio di mani bucate: già “mancipato” tre anni prima con 1.500 fiorini, aveva rilevato dal padre la filiale tedesca - valutata 1.900 fiorini - senza mai corrispondergli la differenza, che gli era stata abbuonata “per amorevolezza paterna” l’anno prima171.

La stessa “amorevolezza” fa aggiungere ancora un centinaio di fiorini...

‘Et prima voglio che Pietro mio legittimo figliolo, il quale io ho mancipato gia tre anni sono [...]habia li fiorini mile et cinque cento li quali gli ho fatto consegnare in Franchforten per la sua parte, et per quello a spesa da mei nella valuta di una bottega, la quale io mi retrovava in detto Franchforten la quala fu inventariata con li suoi prezii corenti per mille nove cento fiorini [...] La qual bottega gli fu consegnata a lui me restava debitore per resto di detta bottega quattro cento fiorini, come di supra é detto; et mille cinquecento fiorini gli restavano per sua mancipacion et per la porzion che detti mei beni aspetava; [...] Alla quale mancipatione delli fiorini mille cinquecento, gli ho aggiunto questo mese de Luglio passato del 1565 quando egli fu qui li predetti quattrocento fiorini, li quali lui me restava debitore per conto della sopradetta bottega: ita che ha avuto da me mille et nove cento fiorini [...] Et questo ho voluto fare per amorevolezza paterna, non volendolo trattare totalmente secondo li suoi meriti. Et per carità et amorevolezza paterna gli laso ancora oltera li supra detti fiorini mille nove cento, alteri cento fiorini, li quali se gli habbiano da defalchare di quello mi é debitore per robe a lui datte et mandatte per diverse volte; si che la summa tutta ascenda alla quantita di due mila fiorini’

Peggio di Pietro, Giovanni, sulla moralità della cui consorte Vincenzo, in occasione della vergatura delle sue ultime volontà, non sembra voler far calare nemmeno il proverbiale velo pietoso

‘Quanto a Giovanni mio legittimo figliuolo, ma molto male consigliato, et molto desobediente al suo creatore Dio, et alli suoi genitori, cioe a me suo padre et a sua madre, per averse maridatto contra la volonta et saputa nostra una vilissima femina piena de hogni vitio et sporcharia et lontana de la honesta donescha dando cotidianamente il suo corpo a guadagnio a hogni persona, vivendo pubbilaca [sic] meretrise. La quale é stata sempre in loco pubblico et di continuo gli sta: cosa a me di grandissima molestia per l’honore de tutta casa mia, che lui se sia intrigato cosi vilmente in una femina de cosi mala sorta et de dishonesta vitta’

Consigliato dalle alte sfere, Vincenzo accomuna le sorti delle due “pecore nere” e liquida anche la seconda, sperando di non doverne più sentir parlare

‘ma considerando io suo padre al suo poco cervello et alla sua gioventu, me son vottato al Signor Dio mio Creatore, et ho fatto le mie orationi con tutto il cuore, pregando che non voglia mirare Ali mei pecati ma che per la sua bonta et misericordia me voglia inspirare del suo spirito de sapientia accio io possa fare cosa che sia a honore et gloria de sua maesta, et dapoi fato le mie devotte oratione a parso ala bonta sua de inluminareme del suo spirito de sapientia, accio che debo fare a questo povero et male consigliato figliolo mio; et per tanto me a inluminato che io gli debia lasare, tanto quanto al sopra detto mio figliolo Pietro suo fratello; et per tanto laso al supradetto Giovanne mio figliolo doi milea fiorini [...] li quali [...] voglio che gli siano datti a suo bene placido dapoi la mia morte per tanti di mei libri alli prezi corenti [...] Quali fiorini doi milia voglio che siano per tutto e per resto di tutto quelo aspetta da me suo padre, et non posa mai piu domandare cosa alcuna dei mei beni. ’

Ma il buon nome e le speranze della famiglia, avevano comunque altri cavalli su cui puntare.

Con la loro scelta di professione liberale, Marco ed Erasmo172

‘“li quali studiano, et vogliono esere huomini de litere, li quali fin qui a me suo padre, et alla madre sono stati boni et obbedienti figliuoli” ’

assicuravano in certo qual modo una promozione sociale: i fratelli dovevano perciò impegnarsi a mantenerli per tutta la durata dei loro studi, compreso il bienno di “praticantato”, e a liquidar loro ciò che gli spettava se avessero poi deciso di separarsi dalla “fradelanza”

‘a Marco mio figliuolo, il quale é in Bolognia al suo studio, voglio dico che lui sia mantenuto nelli suoi studi tanto quanto gli bastara per insino al suo dottorarsi et dapoi che sara dottorato voglio che sia mantenuto in casa mia doi anni de continui accio possa fare pratica et dapoi li dui anni se a lui venisse voglia di partirese della casa et di non volere stare in fradelanza et in comune tanto del bene quanto del male: [...] che lui debba havere del mio dui milia ducati [...] in questa maniera cioe che di termine et tempo de anni cinque, cioe hogni anno ducati quattro cento che serano li supranominati ducati dui milia et questo per insino all’intero pagamento de detti ducati duoa milia.’

A condizione, però, di scaglionare il pagamento della liquidazione dei due “dottori” nell’arco di dieci anni, onde evitare la “ruina” dei due fratelli che ereditano la ditta

‘a Erasmo mio legitimo figliuolo il quale ancora lui studia, et vole seguitare il suo studio, benche ancora non é uscito fuori di Vinezia: voglio che medesmamente lui sia nel studio tanto quanto bastara a dottorarsi; e dapoi dottorato, che egli sia nel medesmo grado et conditione che ho lassato Marco [...] con questa conditione, cioe che dapoi che sarano stati pagati li dui milia ducati a Marco, debba cominciare a corre a Erasmo li sui cinque anni, et non piu presso per che se si facere altramente sara causa della ruina delli dui altri fratelli li quali hanno da dare et pagare li supra detti danari. ’

“Mercante” fino alla fine, la vera preoccupazione di Vincenzo é che

‘“la merchanzia et arte mia con la quale il Signor Dio a me a datto gratia de vivere con esa honoratamente, et ne ho allevato tutta la mia fameglia et figliuoli resti in piedi et intiera senza esere dismembrata in conto alcuno, et [...] come al presente si rettiona et vada avante dapoi la mia morte a honore et gloria del mio Signor Dio, voglio che tutta la detta merchanzia et arte de libri resti intieramente et intacta con la botega casa et magazeni autramenti et crediti da schoder et ogni altra iuriditione, masarie de casa et soquia altra cosa a me aspetante sia in qualonque maniera esser si voglia niente escuso”’

La ditta é così interamente affidata ai due veri “eredi Valgrisi” - ovvero Giorgio, il primogenito,

‘il quale sempre a portato la fatica di detta arte dapoi che a avvuto linteleto et é uscito de pueritia’

e Felice,

‘mio legitimo et piu picolo figliuolo accio che lui se alliena in detta arte et mercanzia sotto il suo fratello maggiore ’

i soli due veramente interessati al mestiere e seriamente impegnati ad assicurare la continuità dell’azienda familiare173. Indispensabile era tra loro regnasse accordo e collaborazione e che mantenessero gli impegni presi dal padre nei confronti dei loro fratelli e sorelle e dei debitori

‘Et voglio che li prenominati dui mei figliuoli cioe Giorgio et Felice siano insieme et in fraterna, et non si possano devidere ne separare lono dall’altro ma stiano insieme et vivano da boni fratteli; con questa conditione pero che [...] debbano eseguire questo mio testamento, cioe de dare et pagare alle sorelle et fratelli tutto quello ho lasato et ordinato, come di supra si conviene. Et pagato che averanno [...] voglio che tutto quello che resta del mio, et a me aspetta, resti et essere debbia delli supra detti mei figliuoli, cioe de Giorgio et de Felice, niente escludendo: con patto et conditione che [...] siano tenuti et obligati a dare et pagare tutti li mei debiti a qualonque persona io me retrovo esere debitore, senza che li [...] mei altri figliuoli abino cargo alcuno per conto di pagamento overo de predetti mei debiti ’

Conclusa la suddivisione del patrimonio tra la numerosa figliolanza con una frase appropriata ad ogni padre di famiglia che si rispetti

‘Se piu havesso havuto piu haveria lassato ma ho fatto tanto quanto le mie forze si possano distendere, et per quanto ogniuno si quieti’

l’ultimo pensiero é rivolto a colei con cui Vincenzo condivideva il gravoso impegno della gestione di casa e bottega: mentre lui era impegnato gestire fornitori, autori, collaboratori, operai, associati, debitori, creditori, concorrenti e clienti, si può presumibilmente credere, infatti, che, a casa, fosse Madonna Eugenia a tenere le redini, e così avrebbe dovuto continuare ad essere anche in futuro (a patto, naturalmente, di restare vedova, onesta e avveduta)

‘Et per che io desidero che questo mio testamento habia efetto, et sia eseguito in tutto e per tutto, lasso la mia carissima et diletta consorte, Madonna Eugenia madre di tutti li supranominati nostri figliuoli, tutrice, governatrice et patrona, et donna et madona di tutte le supradette cose mettendola in mia persona; et gli lasso quella auttorita sopra tutti li mei beni, che ho io medesmo et voglio che lei habia tanta autorita, quanto se fusse la mia propria persona et che lei governa li suoi et mei figliuoli fin che ali Signor Dio piacera lassarela in vita: con questo patto et condizione perho che lei debba menare et tenere vita honesta, come fin qui ha fatto, et veduando et governando da madre piettosa et prudente li sui et mei figliuoli ’

Ma Vincenzo, da accorto e lungimirante uomo di mondo qual’era, rotto a qualunque imprevisto e rovescio di fortuna, non esclude neanche il caso dell’insubordinazione filiale alla madre, prevedendo nei minimi dettagli anche l’eventuale vitalizio e usufrutto a suo favore (sempre con un occhio, comunque, all’integrità del patrimonio...)

‘voglio che la prefata Madona Eugenia mia carissima et legitima consorte sia tratata deli mei et suoi figliuoli come qui seguita, che il Signor Dio per sua pieta non voglia che [...] vengano a questo. Dico che in caso che li [...] figliuoli gli facessero cattiva vita et la tratassero male di sorte che ella non potesse vivere in bona et santa pace con loro in compagnia, in questo caso voglio che lei possa partiresi della compagnia loro, et andare dove a lei piacera per vivere in pace et reposo; et che lei possa portare fora dove gli piacera tutto il fornimento della mia et sua camera si come fin qui lei et mi l’habiamo tenuta fornita, con tutti li sui vestimenti et ogni ornamento donesco, senza esettione di cose alcona; et per il suo vivere voglio et comando che ogni anno gli siano dati et sborsati deli mei beni ducati cento [...] et questo voglio che sia per tutto il tempo che al Signor Dio piacera de lasarela supra la tera in vita mentre che la viva come di supra est detto in vita casta honesta e veduando. Li quali ducati cento voglio che gli siano datti et sborsati ogni anno in questa maniera, cioe che Giorgio et Felice supra detti gli debiano dare et sborsare per la parte loro ducati cinquanta, et Marco et Erasmo altri ducati cinquanta, cioe ducati vinticinque per huomo. Et a questo voglio che tutti li miei beni gli siano hipotecati et obligati con quella magiore streterra et obligatione che fare si pole; ma per che non saria honesto che li supradetti fornimenti de canbera che io gli lasso andasero fora di casa mia voglio che li detti fornimenti et hogni altra cosa che Lei avee portato fora di casa ritorna dapoi la sua morte ali supra detti quatro frateli cioe a Giorgio, Felice, Marco et Erasmo dico a questi quattro soli senza che li dui altri ne sentano benefizio alcono cioe Piero et Joanne et questo é la mia resolutione et ultima volonta et comando in virtu de Dio che cosi sia oservato.’

Con un’attenzione da Mastro Don Gesualdo ante-litteram per la “robba” Vincenzo infine precisa

‘Et per che non saria honesto, che quello che il Signor Dio mi ha donato andasse in man di persone stranie, et fuora del mio sangue, voglio che cosi sia osservato questo mio testamento, cioe che manchando alcuni delli sopradetti mei figliuoli senza legitimi heredi, [...] voglio che la roba la quella io gli o lassato et lasso retornare debia in casa mia dico mancando alconi de loro senza legitimi eredi che la debia retornare ali frateli dico ali mascoli solamente et non ale femine, per aver ese avuto quel che gli previene, ma che avendo li supra prenominati mei figliuoli legitimi eredi vada de eredi in eredi, overo ali piu propinqui del sangue mio.’

Un testamento, quello di Vincenzo, che, al di là dei dettagli sulla composizione - e su alcune dinamiche interne... - della sua famiglia, c’informa certamente più sugli aspetti economici dell’organizzazione aziendale che su quelli umani del nostro protagonista, in particolare sulle sue tendenze religiose.

Come era uso dell’epoca, Vincenzo lascia indicazioni riguardanti le “opere pie” con cui intendeva farsi ricordare dalla società veneziana. Su di un totale di cento ducati, quaranta dovevano essere immediatamente suddivisi tra i poveri degl’ospedali di S. Zanipolo e degl’Incurabili, gli orfani di quello “della presa” e i bisognosi della sua parrocchia, San Giuliano

‘Voglio adonche principalmente, che la prima cosa che abino da fare li miei heredi qui sotto niominati sia che abino a dare et pagare alle cose pie, et per l’amore di Dio ducati cento corenti, che siano sborsati et destribuiti come seguita: ducati quaranta cioe ducati diece alli poveri del ospitale de San Joanni et alli poveri figliuoli orfani dell hospitale dela presa altri diece ducati et ali poveri del hospitale deli Incurabili altri diece ducati, et ali poveri veramente bisognosi dela mia contra de San Juliano altri diece che sono in stato li supra nominati quattro loghi ducati quaranta, li quali voglio siano datti et pagati immediate et subito dapoi la mia morte senza delacio de tempo alcuno’

mentre i restanti sessanta dovevano servire, nello spazio di un anno, a dotare quattro fanciulle bisognose ma di famiglia onesta, scelte, naturalmente, in base alla discrezione insindacabile di Madonna Eugenia

‘li altrii ducati sessanta che restano voglio che ne siano maridate quattro donzele che siano statute de legittimo matrimonio et de bon padre et bona madre, [...] et de queste quattro figliole donzele voglio che siano a elezion dela mia carissima consorte Eugenia et a lei remeto supra la sua consientia de fare la election ’

Anche in questo caso, Vincenzo sembra voler escludere ogni rischio di “risparmio” familiare perpetrato a spese delle sue ultime volontà

‘et quello voglio sia fato et eseguito in termine de un anno dapoi la mia morte senza intervalo de tempo alcuno sotto pena a li miei eredi de pagare il dopio hogni volta che contrafaranno a questo mio voler et ordine quale voglio che cosi sia cioe per hogniuna figliola gli siano datti et esborsati ducati quindice per ogni una di loro et non altramente ’

Nulla, né nella formula iniziale, né tantomeno in quella finale dell’atto autografo - se non al limite il superlativo “preziosissima” per la Passione di Cristo – lascia adito a fraintendimenti

‘Ma perche noi miseri mortali non facciamo come da noi cosa che sia bona se prima non recoriamo al Signor nostro Creatore, dal quale procedeno tutte le gratie, et tutti li beni per tanto recoro al Signor nostro Dio padre et figliolo et spirito santo, pregandolo che per la sua gran bontà et misericordia et per li meriti della preziosissima passione del suo figliuolo et Signor nostro Jesus Christo, et per Amore de tutta la sua Corte Celestiale mi voglia indirizzare a fare cosa che sia a honore et gloria sua, et alla salute dell’anima mia et de tutti li miei: et prego il mio Signor et Creatore, che di me voglia haver pieta et misericordia, et non voglia guardare alli miei pecati, ma voglia per la sua pieta et misericordia mirare nel spechio del suo unico figliolo Signor nostro Jesu Christo et lavare me di tutte le mie iniquità, et voglia dismenticarese di tutti li miei errori et pecati comesi dopo il mio nasimento, et voglia ricever l’anima mia nella gloria sua.’ ‘Et questo é la mia ultima volontà a honore et gloria del Signor Dio mio Creatore et de la Corte Celestiale; la qual volonta io Vincenzo Valgrisi libraro ho fatto et schritta di mia mano propria, et voglio che sia valida et autentica tanto quanto se fusse fatta et celebrata per mano di notaro publico et meglio, perche l’ho ben esaminata et considerata et fatta con la bona gratia del Signore Dio mio creatore et factore, alquale io asicomando il mio spirito da Lui creato alla imagine et similitudine sua, ma il corpo il quale é venuto de tera et di senere a di retronare in terra et senere i dove é venuto, ma il mio spirito il quale é venuto da Dio a da retornare a Dio et froire la gloria sempiterna, mediante la sua graditissima misericordia, et per li meriti dela preziosissima passione et resurecione del Nostro Signore Jesu Christo, alquale reccomando l’anima et lo spirito mio. ’

Al di là di tutte le ipotesi che, sulla base della sua politica editoriale, delle sue frequentazioni professionali e, soprattutto, della sua attività nel contrabbando dei libri proibiti, possono essere avanzate, se non sulla sua presunta eterodossia, almeno sulla sua simpatia per le idee riformate, alcunché di “sospetto” trapela dalle epistole al lettore o dalle dediche firmate da Vincenzo nelle edizioni da lui promosse, neanche in quella in cui era lecito sperare di cogliere qualche indizio rivelatore, ovvero la dedica ad Antonio Calergi del volumetto Simolachri, historie, e figure de la morte, che tanta parte avrà nel processo intentatogli nel 1570 dall’Inquisizione per detenzione di libri proibiti174.

Proprio in questo frangente, anzi, Vincenzo non sembra aver avuto particolari difficoltà nel convincere il piovano della parrocchia di San Zulian a farsi prudurre - in data 24 ottobre 1570 (Sant’Honesto !) - una testimonianza del fatto che, non solo

‘“messer Vicenzio Valgrisio, libraro, habitante nella parocchia, nostra con tutta la sua fameglia, ha sempre vivesto et al presente vivie christianamente, confessandosi et comunicandosi”’

ma che ha anche

‘“essercitato in diverse opere pie per la parochia, per beneficio di poveri et nel governo della fraternita del Sacratissimo Corpo de Christo, havendo fatto molti ornamenti nel tempo del suo guardianato nella capella del Sanctissimo Sacramento, per altre luadabil opere”’

come d’altronde lui stesso aveva già affermato durante l’interrogatorio175. Ugualmente sono disposti a fare lo scrivano e i compagni della Scuola del SS. Sacramento, di cui Vincenzo era “gastaldo”176.

Al di là della limpidezza dei suoi traffici, poi, i padri inquisitori non sembrano nutrire particolari sospetti su di lui come protestante, tanto che, in seguito alla sua supplica, in cui invocava

‘“pietà alla sua povertà, et disgratie infinite, che in breve tempo ha havute” ’

gli viene persino applicato uno sconto sulla pena pecuniaria associata alla purgazione canonica177.

Se é dunque sicuramente vero che, almeno dalla fine degli anni ’50 e nei decenni successivi, i legami tra librai ed eretici locali e forestieri e la diffusione e commercializzazione di testi proibiti dall’Indice, suggeriscono il subentrare di una solidarietà di credo tra venditori e acquirenti di una merce diventata sempre più pericolosa, i documenti che riguardano gli aspetti più privati della vita di Vincenzo non permettono di valutarne l’intensità dell’impegno religioso, almeno a livello più intimo e personale.

Ben altrimenti accadrà per i suoi figli, e per Giorgio in particolare, accusato d’eresia nell’agosto 1587 da un prete che, nonostante fosse suo vecchio amico, lo riteneva ormai perduto: si faceva beffe di indulgenze, devozioni, processioni e miracoli, si permetteva di censurare la messa, affermando che i protestanti avevano scritto a sufficienza degli errori del sacrificio dell’altare; ritornato dalla Germania, infine, dove pareva avesse soggiornato a lungo (nuovamente a Basilea ?), andava tessendo le lodi dei riformatori dell’Europa del Nord; il medico bresciano Girolamo Donzellini e Claudio Textor, giustiziati entrambi nella primavera del 1587 con l’accusa di eresia, poi, erano stati buoni amici di Giorgio, e il primo in particolare aveva frequentato la libreria del Serpente; ultima accusa a carico del Valgrisi era d’aver mangiato assieme ad un ugonotto, e di averlo poi accompagnato, ingiuriosamente, a visitare la basilica di San Marco178. Il Sant’Uffizio cominciò immediatamente con gl’interrogatori dei vicini di casa di Giorgio, ma li sospese subito, probabilmente per discutere il caso di Pietro Longo, trafficante di libri tra la Germania e Venezia e corrispondente del Perna, che arrestato su delazione alla fine dello stesso mese di agosto, fu poi giustiziato per annegamento il 19 febbraio 1588179. Ripresili proprio poco dopo l’esecuzione di quest’ultimo, i vicino confermarono una certa tendenza ai discorsi provocatorî, le dubbie frequentazioni e i soggiorni in Germania, ma sostennero anche che Giorgio in fondo era una brava persona, che qualche volta andava persino in chiesa e partecipava ai sacramenti, fatto peraltro smentito dal parroco di San Zulian: il sacerdote, che lo conosceva da venticinque anni – e dunque doveva essere lo stesso che aveva testimoniato in favore di Vincenzo – sosteneva invece che se ne teneva lontano perché aveva una relazione che non poteva – o voleva – regolarizzare con il matrimonio180.

Ben lungi dall’aver solo destato sospetti di tal genere, Vincenzo ci lascia invece l’impressione di un professionista rispettato ed integrato nella vita della città. Ricco d’esperienza, iniziativa, fiuto e scaltrezza imprenditoriale, fu certamente ben attento a cogliere tutte le occasioni propizie di guadagno - come quella del “libro picolo et di poco pretio et de gran domanda”181 - e, di conseguenza, a correre qualche rischio, ma lo fece sempre evitando accuratamente di attirare su di se troppa attenzione, cosciente, forse, di essere da lungo tempo tenuto sott’occhio, un po’ per alcune frequentazioni della sua bottega, un po’ per la sua attività di traffico internazionale “de Franza e Alemagna”.

Se già in occasione della consegna degli inventari dei libri proibiti del 1559, infatti, Vincenzo accettò di sottomettersi alla richiesta delle autorità, al prezzo di inimicarsi il fronte della “resistenza” dei colleghi, anche nello sfortunato accidente dell’agosto 1570 si dimostrò il più possibile disposto a collaborare, a convincere di aver il più possibile agito allo scopo di “fuggir scandoli” – cosa di cui, già all’epoca non sembravano curarsi i suoi “fioli”, che cercavano ogni occasione buona per recuperar “danari per far pazzie” – a fornire prove, insomma, della sua buona condotta, tanto di libraio e stampatore, tanto di buon cattolico, benemerito, anzi, per devozione e carità.

Certo, davanti all’Inquisizione la strategia difensiva non prevedeva certo molte altre modalità, ma nella realtà possiamo comunque immaginare Vincenzo come un uomo prudente e riservato, la cui qualche simpatia per le idee riformate, dovette comunque rimanere nell’ambito di un nicodemismo neanche troppo lacerato, frutto della libertà e ampiezza di vedute che dovevano provenirgli dal suo essere “uomo di mondo”, un mondo, poi, quello dei libri, che, se a crearli, da carta e inchiostro, e a diffonderli, tra genti di lingue e usanze diverse, doveva, per forza, rendere curiosi e stimolare nuovi interrogativi, insegnava altresì quanto fosse preziosa la discrezione e importante il rispetto (almeno esteriore) delle leggi e delle credenze in vigore nel paese in cui si operava, paese che, nel suo caso lo aveva così ben accolto e gli aveva permesso di mettere a frutto le sue non comuni doti imprenditoriali182.

Notes
167.

Il 5 aprile 1559 Vincenzo Valgrisi fu Pietro, “ad insigne officinae Valgrisianae”, é teste di Diana, vedova di Baldassarre Costantini, suo socio tra il 1557 e il 1558 (ASV, Notalile, Atti, Notaio De Benedictis, 426, c. 97); il 2 agosto del 1561 “bibliopola ad insigne Tau” é teste a Venezia per un atto di procura a Cremona (ASV, Notarile, Atti, Notaio De Benedictis, 428, c. 206); il 13 ottobre 1564, infine, libraio a Venezia “ad insigne Serpentis”, é teste all’atto di procura dato da Carlo Pesnot “mercator Lugduni” a Pietro Tommaso De Maria (ASV, Notalile, Atti, Notaio De Benedictis, 431, 302). Cfr. Marciani 1968, pp. 508-9. Il testamento é in ASV, Notarile, Testamenti, Notaio Zilioli, b. 1261, n. 895, cui accenna Pesenti 1985, p. 100, nota 152; Di Filippo Bareggi 1994, pp. 622-24. Della stesura autografa sono testimoni Giovan Battista Ziletti – il curatore dell’edizione dei Consilia del giureconsulto ferrarese Giacomo Emiliani, che Vincenzo aveva pubblicato l’anno prima e futuro compilatore dei Consiliorum matrimonialium del 1572, non sappiamo in che grado di parentela con la famiglia di librai - Giovan Antonio Cheluzzi e Giovan Battista Bastiani, “mandolaro al segno della rota” che controfirmano in basso tutte le carte del documento in data 22 aprile 1566.

168.

Un’altra figlia, Leonora, era morta tre anni prima (ASV, Notarile, Testamenti, 210.336, 4 maggio 1563).

169.

Vincenzo fu attivo come editore a Roma fra il 1549 e il 1551, appoggiandosi molto probabilmente ai torchi del Blado. La gestione delle attività romane sembra essere stata affidata completamente allo Ziletti, che infatti firma molte delle dediche e delle epistole al lettore dei libri con Roma come indirizzo di stampa. Giordano non si stabilì definitivamente a Venezia che nel 1556, quando intraprese l’attività editoriale all’insegna della Stella, continuando a tener bottega a Roma fino a quella data. Per alcuni decenni intrattenne rapporti con eretici italiani e stranieri (s’era incontrato a Francoforte con il Perna ed era in contatto con il pure bresciano Girolamo Donzellini) e fu, insieme al nipote Francesco ai suoi cognati Felice e Giorgio Valgrisi, il protagonista di un’organizazzione clandestina per il contrabbando dei libri proibiti che, negli anni ’70 e ’80 del secolo, rinnovava quella messa in piedi dal Perna. Cfr. Grendler 1983, pp. 265-270 ; Ascarelli-Menato 1989. e cap. II.1

170.

ASV, Notarile, Atti, Notaio De Benedictis, b. 447, c. 311r (9 ottobre 1579). Entrato nell’editoria nel 1569, l’anno dopo era proprietario della bottega che era stata di Andrea Arrivabene. Nel 1578 stampava anch’egli all’insegna della Stella, probabilmente in società con lo zio, e come lui ebbe rapporti con il Donzellini e ruolo attivo nel commercio di libri all’Indice. Cfr. Grendler 1983, pp. 267 ; Ascarelli-Menato 1989 e cap. II.1

171.

Nel 1557, Pietro aveva stampato a Venezia in società con lo sfuggente Pietro Ostaus un volumetto intitolato Contemplatio totius vitae et passionis Domini Nostri Iesu Christi sul cui frontespizio compariva la sottoscrizione “In officina Erasmiana venundantur”che farebbe logicamente presupporre che, per la sola opera che produsse, la società Ostaus-Valgrisi (Pietro), avesse utilizzato non solo i torchi, ma anche i canali di vendita di Vincenzo. Pietro dovette tentare anche di aprire bottega a Lipsia, insieme al fratello Giovanni, ma pare senza successo. Cfr. cap. III

172.

Da notare che Erasmo sembra fosse attivo nell’arte almeno dal 1549 e Marco avrebbe comunque potuto ricoprire qualche mansione nella bottega che Vincenzo possedeva a Bologna fin dal 1559 e che aveva affidato a Giovanni Alessi. Cfr. Brown 1891, p. 419 ; Nuovo-Coppens 2005, p. 150

173.

Giorgio e Felice restarono associati nella ragione “Eredi di Vincenzo Valgrisi” e pubblicarono una ventina di titoli tra il 1573 e il 1581, servendosi anche dei torchi dei Nicolini da Sabio, del Deuchino e dei Bindoni; poi sembra che Giorgio si sia occupato soprattutto della gestione della libreria “in Merceria al segno del serpente”, mentre Felice abbia continuato l’attività editoriale: il suo nome compare su edizioni datate dal 1583 al 1591. Come si é detto, fecero parte, insieme ai cognati, di un’attiva rete di commercio di libri ereticali e dovevano senz’altro essere legati ad ambienti protestanti. Giorgio, tra l’altro, doveva aver rinsaldato i vecchi legami dei Valgrisi con Basilea, dove risulta iscritto all’Università per l’anno accademico 1557-58. Cfr. Grendler 1983; Ascarelli-menato 1989; nota 29.

174.

Si tratta della ristampa della serie delle Figure della Morte di Holbein accompagnata dalla Medicina dell’anima di Urbanus Rhegius e da altri testi d’ispirazione protestante, pubblicata in versione italiana nel 1545 e di nuovo nel 1551 e in latino nel 1546. Antonio Calergi, eminente senatore, aveva raccolto una biblioteca di 800 volumi, tra cui numerosi erano i quelli di autori filoriformati. Cfr. scheda 2 e cap. II.5.

175.

Nella chiesa di San Giuliano, di antica fondazione, ma rifabbricata a metà del Cinquecento da Jacopo Sansovino a spese dell’eccentrico medico e bibliofilo ravennate Tommaso Rangone, la cappella del Sacramento é la prima a sinistra della cappella Maggiore, di cui é architetto, come dell’altare, Giovan Antonio Rusconi. Molti i dipinti, ma la maggior parte dei quali data alla fine del secolo.

176.

ASV, Sant’Uffizio, b. 14, Processi 1547-1570, Vincentius Valgrisius in defensione eius causa, 5 novembre 1570. Cfr. Appendice 1

177.

Di venti scudi sui cinquanta previsti inizialmente. ASV, Sant’Uffizio, b. 153, cc. 144v-145r, Relatio nuncii citationis D. Vincii Valgrisii ad se purgandum,18 ottobre 1570, cfr. cap. II. 5 e Appendice 1.

178.

ASV, SU, b. 59, Giorgio Valgrisi, cc. 1r-2v, testimonianza di padre Alvise Ferro del 27 agosto 1587. Una volta, riferiva sempre il prete denunziante, il medico e il libraio s’erano messi a discutere di libri proibiti : il Donzellini s’era vantato che i suoi continuava a tenerseli, in barba al Sant’Uffizio, mentre Giorgio tentava di zittirlo. Il prete, entrato in bottega non appena il Donzellini se n’era andato, aveva fatto notare al Valgrisi che il suo interlocutore parlava “molto licenziosamente”. Giorgio si era mostrato d’accordo: aveva cercato, diceva, di far capire al Donzellini che uno doveva uniformarsi alle credenze e al modo di vivere di un paese, altrimenti andarsene altrove. Dopo l’esecuzione del medico eretico il Valgrisi si sarebbe rammaricato che i suoi avvertimenti fossero caduti nel vuoto; quanto ai rapporti con il Textori, il denunziante sapeva solo che Giorgio aveva tacciato d’ignoranti i giudici che l’avevano messo a morte. Cfr. Grendler 1983, pp. 268-69. Per l’esecuzione del Donzellini e del Textor, cfr. Bongi 1890-97, p. 351 e Stella 1967, cap. II,§ 3.

179.

Il Longo aveva anche vissuto per un certo periodo a Basilea, in casa del Perna, e, per conto dell’editore basileese, aveva diretto una libreria nella protestante Strasburgo. Non pare tuttavia che avessa mai gestito una bottega a Bologna. Cfr. Grendler 1983, pp. 263-65 ; per il Perna, cfr. Perini 2002 con bibliografia precedente.

180.

ASV, SU, b. 59, Giorgio Valgrisi, cc. 1r-2v, testimonianze di Mariano Torre del 10 settebre 1587, cc. 5r-8v, di due bottegai e del parroco di San Zulian del 6 febbraio 1588. Apparentemente al Sant’Uffizio bastò sapere che Giorgio non fosse apertamente protestante e abbandonò qui le indagini, senza neanche interrogare il diretto interessato. Probabilmente fu il governo a fermarlo e ad esortarlo ad accontentarsi della condanna capitale del Longo, che, pur senza incidere granché sul commercio librario, doveva aver suscitato notevole impressione. Cfr. Grendler 1983, p. 269.

181.

Così definisce lui stesso i Simolachri durante il processo del 1570.

182.

Per il nicodemismo, cfr. Ginzburg 1970.