Abbiamo lasciato Vincenzo novello proprietario, insieme al suocero, della bottega “alla testa di Erasmo” che dovevano gestire insieme già da qualche tempo. Per il periodo di tempo che separa il 1532, anno dell’acquisto della libreria, dal 1539, data che figura sulla prima edizione nota a recare la sua paternità editoriale, non abbiamo alcuna informazione. Si può supporre che l’esperienza e gli estesissimi contatti acquistati in qualità di libraio itinerante in almeno tre paesi europei abbiano permesso a Vincenzo di accumulare una discreta fortuna, che, insieme forse alla dote della moglie e all’ “aviamento” fornito dall’associazione con il suocero, che abbia avuto ad un certo punto intenzione d’investire nell’avventura editoriale vera e propria, aprendo una ragione sociale come stampatore, senza mai tuttavia rinunciare ad esercitare la sua già rodata professionalità di libraio, di mercante.
Nonostante quest’investimento e “avanzamento” professionale, Vincenzo sembra puntare durante tutta la sua carriera (e la sua vita) proprio sulla totale liquidità del suo patrimonio, piuttosto che sull’accumulo di capitale: attivo tanto a lungo in città, non ne possediamo dichiarazioni di redecima, e, come si é visto, nel suo testamento, a parte l’azienda in se stessa e poca mobilia, suddivide e distribuisce solamente capitali mobili: libri e soldi. E fu proprio questa liquidità che dovette permettergli la gestione di una rete commerciale così ampia quale Vincenzo si era saputo costruire, con botteghe e magazzini a Lione, Francoforte, Lanciano (allora sede di un’importante fiera libraria), Foligno, Recanati, Macerata, Bologna e Padova183.
“Mercante” - sebbene “d’utile come d’honore” - fino alla fine, é proprio la sua “merchantia et arte” che affida ai figli nelle sue ultime volontà, perché
‘“vada avanti [...] a honore et gloria del [...] Sior Dio che” gli aveva “datto gratia de vivere honoratamente con esa”.’L’attività editoriale di Vincenzo Valgrisi é dunque attestata a Venezia dal 1539 al 1572 e contemporaneamente a Roma dal 1549 al 1551184.
Fino al 1559 la ragione sociale recita alternativamente “Ex / In officina Erasmiana (apud Vincentius Valgrisius prope horologi Divi Marci)”, “Al segno d’Erasmo (In Merceria presso l’horologio di San Marco”. Come si vedrà, in seguito alle pressioni operate dall’Inquisizione, ogni allusione ad Erasmo scompare dall’insegna e dall’indirizzo di stampa a partire dal 1560, che da quel momento in avanti recita più semplicemente “Ex / In officina Valgrisiana”185.
Sulla base degli annali che si é provveduto a stilare, in mancanza di bibliografia precedente, il numero delle edizioni prodotte raggiunge un totale di 353, di cui 229 i titoli originali e 124 le ristampe (cifra quest’ultima, che comprende ristampe vere e proprie e semplici rinfrescature). Nel computo sono naturalmente compresi i titoli prodotti a Roma, che ammontano a nove.
La media annua delle edizioni prodotte si aggira intorno a dieci, totale raggiunto nel 1544 e conservato in media fino all’ultimo anno di attività, con alcuni picchi produttivi in cui si superano le 15 edizioni (18 nel 1545 e nel 1551, 16 nel 1549, nel 1557 e nel 1562, 23 nel 1558 e 17 nel 1560). Ad esclusione del 1542 e nel 1547, in cui Vincenzo non sembra aver stampato alcunché, dopo il 1544, il totale dei titoli per anno non scende comunque mai al di sotto di quota 5. Un certo calo produttivo si registra tuttavia a partire dal 1565, in concomitanza della crisi generale del mercato, ma anche, si può pensare, all’età avanzata del proprietario, che aveva ormai raggiunto i settant’anni186.
La carriera di Vincenzo come stampatore comincia piuttosto in sordina, un solo titolo nell’anno del debutto, il 1539, quattro l’anno seguente, cinque nel 1541, anno in cui lo si ritrova associato a Giovanni de’ Franceschi187.
In questi primi anni d’attività, il Valgrisi si affida probabilmente ai torchi di altre aziende: in alcuni colophon del 1540 e 1541, compare infatti la responsabilità tipografica di Comin da Trino, e non dispone ancora di una marca da apporre sui suoi frontespizi. Essa – un serpente sul Tau, con ai lati le due sillabe del nome “Vin – cent” – declinata già in due formati diversi, comparirà invece sui titoli stampati a partire dal 1543188.
Nonostante sia lecito supporre che, a partire da questa data, Vincenzo possedesse materiale tipografico proprio, non sono infrequenti edizioni prodotte in associazioni puntuali (anche con Paolo Manuzio, i cui rapporti, professionali e d’amicizia, con Vincenzo sono attestati dall’epistolario) o fatte stampare per suo conto da altri tipografi (ad esempio l’edizione del Decameron del 1552, per i tipi di Giovanni Griffio)189. A provarlo é proprio la diversità dei corredi di iniziali figurate ed ornamenti tipografici che si ritrovano all’interno di edizioni che pur recano sul frontespizio la marca del Tau. Naturalmente avviene anche il contrario, ovvero che Vincenzo rivesta solamente il ruolo di proprietario dei torchi e del materiale tipografico utilizzato per stampare libri del catalogo di altri editori190.
A Venezia, forse più che in ogni altro centro tipografico europeo contemporaneo, le condivisioni, i prestiti, le cessioni e gli affitti di matriale tipografico fra le varie officine di editori e stampatori erano all’ordine del giorno: iniziali figurate usate da Francesco Marcolini o Giovanni Griffio si ritrovano nelle pagine di libri recanti sul frontespizio la provenienza “ex typographia erasmiana”, e il caso inverso – nella fattispecie la presenza delle stesse rotture in capilettera uguali a quelli di Vincenzo - ha permesso a Denis E. Rhodes di attribuire al Valgrisi una trentina di edizioni anonime datate tra il 1553 e il 1558, tra cui compaiono molte opere di Ruzzante e di Andrea Calmo, che, solo talvolta, recano il nome del libraio che le commerciava, Stefano Alessi191.
Ciò testimonia quanto un tentativo di ricostruzione del catalogo e degli annali di un tipografo ed editore del Cinquecento, e in particolare veneziano, sia per sua natura viziato da un certo tasso di arbitrarietà, di frammentarietà e persino d’azzardo, basandosi su risultati alterati dalla deperibilità dell’oggetto stesso, da processi censorei, come da un organizzazione produttiva che, se non aveva certamente nulla d’improvvisato, si basava su accordi fra le parti stipulati sulla parola, che, al limite, potevano lasciare traccia ufficiale soltanto nel caso di successivi contenziosi.
Cio é tanto più vero, se si pensa al ruolo che la bottega, anzi, le botteghe, di Vincenzo dovevano avere nell’ambito del commercio editoriale: ai testi prodotti in loco dai torchi suoi (e altrui) esse affiancavano i libri (venduti pubblicamente o, se necessario, di contrabbando) provenienti dal mercato internazionale.
Vere e proprie società, confermate dalla compresenza delle due firme sui frontespizi, furono invece formate da Vincenzo con Baldassarre Costantini e, una volta defunto lui, con i suoi eredi (17 edizioni tra 1557 e 1558) ed Enea Vico (una, ma più probabilmente due edizioni nello stesso biennio)192. Alla fine della sua vita, Vincenzo entrò a far parte della “Grande Compagnia di stampar libri di leggi”, conosciuta anche come la “Compagnia dell’Aquila”193.
Durante il periodo d’attività a Roma, il Valgrisi sembra appoggiarsi ai torchi di Antonio Blado, come proverebbe il materiale tipografico impiegato nelle edizioni (il famoso corsivo e alcune iniziali figurate); la filiale, inoltre, fu molto probabilmente gestita dal futuro genero, Giovanbattista Ziletti, che firma gran parte delle dediche194.
Sui 232 titoli originali, 141 sono in latino, i restanti in italiano. Due sole le edizioni in lingua straniera : le traduzioni in ceco e tedesco dell’opera del Mattioli, in realtà stampate a Praga, sebbene per conto del Valgrisi. Tra le ristampe, il rapporto s’inverte, 65 sono in volgare contro 58 in latino, ma bisogna tener presente le dodici riedizioni del solo Furioso, e, anche qui, del Dioscoride del Mattioli, ristampato con continui aggiornamento ben dieci volte.
Per quanto riguarda i formati, netta é la prevalenza dell’in-8, in cui é stampata quasi la metà delle edizioni originali totali, con un’equa ripartizione tra titoli in latino e titoli in italiano, fatto che conferma un’alta presenza di edizioni latine di medicina in formato maneggevole. Segue un 20% circa di edizioni in-4, anch’esse ripartite equamente tra titoli latini e italiani, e su tutti i generi disciplinari. Non stupisce invece che la percentuale degli in-folio - il 10% - sia formata per la massima parte di testi giuridici, dottrinali o di medicina in latino. I soli due testi in italiano proposti in-folio sono l’edizione del Dioscoride del Mattioli e il dizionario del Calepino. Completano la gamma otto edizioni in-16, tra cui tre titoli di Cicerone, l’opera omnia di Virgilio e le Commedie di Terenzio in latino e l’Imitatione di Christo in volgare. L’in-24 é riservato a due edizioni “bijoux” dell’Orlando furioso e delle Rime del Petrarca.
Un’ultima rilevazione quantitativa relativa alle dimensioni d’insieme dell’attività editoriale del Valgrisi: il rapporto fra i titoli nuovi e le ristampe. Esso rimane sempre a vantaggio dei primi sulle seconde fino al 1551 (fatto salvo il 1549, quando raggiungono quota 10 su 16 edizioni totali) per poi stabilizzarsi su un equilibrio, che seppur ondeggiante, é sempre lievemente a vantaggio degli originali, salvo alcuni picchi di netto predominio nel 1561, 1563, 1564 e ancora nel 1571.
Gli autori pubblicati sono 157, tre le raccolte, altrettanti i testi anonimi.
Per la maggior parte si tratta di autori con un titolo o due, mai ristampati, o al massimo una volta; una decina gli autori con più di un titolo in catalogo, solo sei quelli che raggiungono o superano quota quattro, tra cui Cicerone, Antonio de Guevara e due medici contemporanei, Benedetto Vittori e Giovan Battista Da Monte. Il massimo - otto titoli - é raggiunto solo da altri due medici, l’“Autore” valgrisino per eccellenza, il medico e botanico Pietro Andrea Mattioli, affiancato da un collega francese, Jacques Dubois.
All’infuori di Cicerone, gli stessi detentori della top-ten del più alto numero di titoli, presenziano anche nella classifica degli autori con titoli ristampati più di due volte (ma solo il Mattioli raggiunge le vette delle 10 ristampe della versione italiana e di 7 di quella latina dei suoi commenti a Dioscoride), cui si affiancano altri medici - uno antico e uno moderno: Galeno e Amatus Lusitanus - e l’immancabile triade Petrarca (3 ristampe) - Boccaccio (altrettante) - e Ariosto (ben 12 ristampe in tre formati diversi), seguita delle Lettere di Bernardo Tasso (3 ristampe).
‘“Varie sono le discipline et industrie de gli huomini, che ogni dì sono a beneficio, et commodità del mondo adoperate : ma non credo io che altra si trovi così importante giamai, come quella de le Stampe : nè ciò dico perche mi sia sempre di tal arte dilettato, come nel vero mi sono, ma perche ne veggio verissimi argumenti, che a questo creder necessariamente m’induceno. Quanti Poeti, quanti Historici, quanti Filosofi, et finalmente quanti eccellentissimi scrittori in qual si voglia sorte di professione crediamo per lo adietro essersi insieme con le etadi consumati et perduti : ove se a tempi loro stata fosse in uso questa divinissima inventione de le Stampe non sariano adesso in vano desiderati dal mondo. Possiamo dunque giustamente affermare, che si mantenga per quelle il modo di reggere i populi con giustitia, poi che de le leggi ci fanno copia ; per quelle sana si mantenga la vita nostra mortale, poi che la medicina ci fanno palese ; et per quelle i costumi, le scienze, et le arti siano al mondo scoperte, poi che la Filosofia non solamente ci insegnano, la Cosmografia, l’Astrologia, et tutte l’altre scienze ci dimostrano, ma i buoni Poeti anchora ci conservano, da quali con piaceri non finti apprender possiamo la vera et lodata vita, ce se ne sta sotto i loro figmenti nascosta. Et nel vero io per me affaticato sempre mi sono di imprimer varie maniere di libri”195.’Nessuna presentazione del catalogo valgrisino potrebbe essere migliore delle parole del suo stesso creatore: é un’offerta ampia e diversificata, che ben testimonia l’entusiasmo e delle fierezza di un professionista stimato e ricco d’esperienza.
Pur con tutte le difficoltà che presenta il tentativo d’inserire in una netta suddivisione in generi alcuni prodotti editoriali nuovi, tipici dell’epoca - in primis la trattatistica sul comportamento e l’informazione pseudoscientifica o storica – la produzione della officina Erasmiana può essere ripartita in otto campi disciplinari, Medicina e Farmacopea; Letteratura; Trattatistica; Filosofia; Storia; Religione; Diritto; Geografia e Astronomia196. Pur in questa notevole varietà d’indirizzi, é da notare che la somma del totale delle edizioni relative alle prime due discipline - la Medicina insieme alla sua appendice farmaceutica e la Letteratura - rappresenta più del 50% dell’intera produzione.
I titoli dedicati alla medicina e alla farmacopea sono in totale 120 (68 originali, di cui 58 in latino, e 52 ristampe), prodotti da 38 autori197. Due ricettari farmaceutici sono uno, anonimo, l’altro, una redazione collettiva ad opera dell’Arte dei Medici di Firenze. La maggior parte degli autori presenta un solo titolo, e in generale, le opere ristampate lo sono una volta sola. Fanno eccezione i quattro autori già citati in precedenza - Jacques Dubois, Pietro Andrea Mattioli, Bernardo Vittori e Giovan Battista Da Monte - che oltre al maggior numero di titoli, hanno anche il primato del maggior numero di ristampe. Chiaramente, vista la disciplina scientifica, non stupisce che la maggior parte dei titoli sia in latino (58 rispetto ai 10 in italiano).
Il panorama spazia dalle ultime novità in campo medico di autori italiani (come Ippolito Brilli, l’autore della prima edizione del catalogo valgrisino – un modesto exploit, a dire il vero, un Opusculum de vermibus in corpore humano genitis di 46 pagine...) e prime edizioni italiane di importanti e recentissime novità parigine – come le traduzioni di tre testi di botanica e agricoltura di Charles Estienne - di cui, grazie ai suoi contatti, era chiaramente aggiornatissimo e che occupano la gran parte dell’attività editoriale dei suoi primi anni di carriera; ad esse si aggiungevano i commenti dei grandi classici, Galeno e Ippocrate (di cui pubblica nel 1546 un’edizione-plagio di quella basileese di Froben, nella traduzione di Janus Cornarius, uscita solo qualche mese prima), ad opera dei più noti professionisti del settore198.
In effetti Vincenzo fu il primo a Venezia ad accorgersi che le discussioni erudite e pratiche sulla materia medica e la nuova botanica stavano diventando una nuova moda culturale e potevano dare alimento ad un nuovo filone editoriale, proprio come stava avvenendo in Germania.
Per il suo catalogo, ben presto ricco di titoli di grande rilievo scientifico e di attualità talora coraggiosa – si pensi solo alla Ratio di Miguel Servet, continuazione della sua difesa di Symphorien Champier, e unica opera stampata in Italia dal martire di Ginevra199 – la grande impresa editoriale dei Discorsi sull’opera del Dioscoride del Mattioli rappresentò l’occasione di legare la propria ragione commerciale ad un titolo inedito ed originale, un’edizione di prestigio e di successo in grado, non solo di stare alla pari con gli equivalenti del Ruel, del Brunfels e del Fuchs, tanto diffusi ed apprezzati in Italia, ma anche di consacrare le scelte di Vincenzo e di imprimere ad una azienda promettente la sua definitiva espansione. Vincenzo ristampò il “suo” titolo, che ormai godeva di fama e successo straordinari persino in Oriente (e innumerevoli traduzioni prontamente realizzate da colleghi stranieri, persino in ebreo) fino alla fine della sua vita e i suoi eredi ne produssero ancora un’edizione nel 1585200.
Dal 1554 in poi, pur senza rinunciare ai profitti di classici e volgarizzamenti, il Valgrisi fece dell’editoria medico-botanica il suo interesse prevalente. Ritentò le sorti del Dioscoride con nuovi titoli come la traduzione di Oribasio di Giovanni Battista Rasario (1558) e il Mesue di Andrea Marini (1562) e con tre inediti: la Methodus cognoscendorum simplicium del venosino Bartolomeo Maranta (1559), i Semplici di Luigi Anguillara, primo prefetto dell’orto botanico di Padova (1561) e il Viaggio di Monte Baldo di Francesco Calzolari (1566), resoconto di uno studio nel Veronese. Nessuno di questi libri, pur apprezzati dagli studiosi, icontrò però la curiosità del pubblico, nemmeno l’opera dell’Anguillara, che pure descriveva per osservazione diretta oltre 1500 specie. Ebbero invece maggior esito, se non altro per l’utilità pratica, il Ricettario fiorentino (1556), cioé la vecchia farmacopea compilata dal Collegio medico di Firenze, che richiese una ristampa nel 1560, la prima edizione del Dispensatorium, hoc est pharmacorum conficiendorum ratio di Valerio Cordo (1556) e il suo aggiornamento Novum dispensatorium (1563) e La fabrica de gli spetiali di Prospero Borgarucci (1566) ristampato già l’anno seguente.
Nel settore più propriamente medico lasciò via via da parte le riedizioni o prime edizioni italiane di autori francesi e tedeschi – soprattutto il Dubois e il Fuchs medico –per accogliere autori nuovi, soprattutto della grande produzione anatomica e clinica padovana e straniera: tra il 1554 e il 1557 pubblicò l’intero corpus delle Consultationes medicinales di Giovanni Battista Da Monte, nel 1556 i Commentaria in Hippocratis Aphorismos di Benedetto Vittori e nel 1562 la sua Practica magna postuma, nel 1559 il De re anatomica di Realdo Colombo (che dovette in realtà essere un’iniziativa del Bevilacqua, dal momento che il frontespizio reca il suo indirizzo di stampa), nel 1560 le Curationum medicinalium [...] centuriae duae di Amato Lusitano e la In artem medicam isaggae di Crato von Krafftheim. Non disdegnò neanche autori più discutibili come Leonardo Fioravanti, di cui pubblicò il fortunato Compendio de i secreti rationali (1564) e Prospero Borgarucci, che agl’inizi della sua deludente carriera padovana gli rifilò il Della contemplatione anatomica sopra tutte le parti del corpo humano libri cinque (1564), in realtà uno scadente manualetto divulgativo.
Accanto a tali novità, e ad altre di minor rilievo come i Decem problemata de peste di Vittorio Bonagente (1556) o i Problemata ex omnibus prope scientiis di Francesco Ponti (1559), curò ancora edizioni di autori antichi – i Prognostica di Ippocrate in versi latini nel 1560, gli Opera di Galeno (1562-1563)201 e di Avicenna (1564) – e di grandi testi della medicina quattrocentesca: la Practica e l’In Avicenna quarti Canonis fen primam [...] explicatio di Giovanni Arcolano, stampate nel 1560 in concorrenza con i Giunti, e la Practica di Michele Savonarola (1560 ristampato nel 1561).
Attento a tutte le espressioni della letteratura medica, fino a novità in odore di cerretanesimo, il suo catalogo confermava l’intelligenza editoriale di cui il Mattioli era stato il risultato più cospicuo. Ma a nessun altro testo né botanico né medico il Valgrisi riservò le cure e l’azzardo riservati a quel libro, su nessuno puntò più i suoi voti di successo. Sui nuovi titoli di botanica pesò certo il controllo del Mattioli, mai benevolo con colleghi ed epigoni: se la Methodus del Maranta e Il viaggio del Calzolari, suoi devoti corrispondenti, furono stampati senza difficoltà, i Semplici dell’Anguillara, che gli era quanto mai inviso, poterono uscire solo nel nel 1561, e per merito del medico veneziano Giovanni Marinelli, allora consulente editoriale del Valgrisi202. A quest’edizione fu riservata una veste editoriale sciatta con due sole ridicole illustrazioni. Anche gl’altri pochi testi medici illustrati – Galeno, le Practicae dell’Arcolani e il Giovanni Da Vigo – si tennero ben lontani dall’originalità e dall’impiego di mezzi del Dioscoride.
Segue la letteratura, rappresentata da 77 titoli (39 originali e 38 ristampe, 24 titoli in volgare contro 15 in latino) dovuti a 28 autori cui si aggiungono due raccolte poetiche e un romanzo anonimo, la popolare Historia dei nobili fratelli Valentino e Orsone.
Anche qui la maggior parte degli autori é responsabile di un solo titolo (quattro Cicerone, ma tutti appartenenti alla produzione epistolare - e le Familiari sono proposte in versione originale e in traduzione - due il Guevara non ancora “religioso”, il Marco Aurelio e le Lettere, due Ovidio, le Metamorfosi in ottava rima dell’Anguillara e le Heroidum latine, due infine le traduzioni di Erasmo, i Ragionamenti e gli Apoftemmi in italiano). Due ristampe le meritano solamente le poesie di Orazio, le Comoediae sex di Terenzio e il Marco Aurelio del Guevara, che ne accampa tre per le Lettere. Altrettante per il Decameron con i paratesti del Ruscelli, il Petrarca secondo il Vellutello e le Lettere di Bernardo Tasso203. Unico a distanziare il gruppo, come si é già visto, l’Ariosto con 12 ristampe distribuite sui tre formati in-4 (sette), in-8 (due) e in-24 (tre)204.
Dieci gli autori classici, per la maggior parte volgarizzati (a parte un titolo di Ovidio, due di Cicerone - ma le Familiares compaiono come si é detto anche in edizione italiana, Orazio, Persio, le commedie di Terenzio – anch’esse proposte però in traduzione - e infine le tragedie di Eschilo, con il testo in greco a fronte).
Tra gli autori moderni, nella cui definizione si includono anche Petrarca e Boccaccio, considerati assolutamente quali “contemporanei” dalla società culturale cinquecentesca, oltre all’ovvia presenza dell’Orlando furioso (con le Annotationi, gli Avertimenti et le Dichiarationi del Ruscelli e una dovizia di altri paratesti), molti i titoli di poesia: due raccolte di poeti latini vari, le Rime di Vittoria Colonna, i Cento sonetti di Alessandro Piccolomini e tre novità in versi – normalmente raccolte in un unico volume nonostante i tre frontespizi differenti - del carneade vicentino Antonio Oliviero: si tratta in effetti di altrettanti panegirici in lode di Carlo V, di cui uno in particolare, il poema eroico l’Alamanna, di poderose dimensioni205.
Forte la presenza dell’oratoria contemporanea in latino (solo le Due Orationi del Camillo sono in volgare), riflesso di una produzione locale e d’occasione (due orazioni sono “in funere”).
Una nota, infine, sul nome di Erasmo. E’ proprio nel catalogo editoriale dall’ “officina al segno di Erasmo” che fanno spicco le due sole edizioni dei Colloquia in traduzione italiana che siano state pubblicate a sud delle Alpi fino quasi ai giorni nostri, e quella, sempre in traduzione italiana, degli Apophthegmata. Dalle richieste di privilegi, inoltre, sappiamo che il Valgrisi intendeva pubblicare altre opere dell’umanista olandese nel nome del quale – intenzionalmente o meno – aveva tentato, e vinto, la sua scommessa imprenditoriale206.
Il letterato al quale il Valgrisi affidò l’incarico di tradurre i Colloquia, e che comparirà come collaboratore editoriale della “bottega erasmiana” anche in qualità di traduttore dal francese e dallo spagnolo, era Pietro Lauro, un aderente al movimento riformatore, legato a una rete cladestina evangelico-riformata che partecipava attivamente, come altri traduttori italiani dell’umanista, alla diffusione delle nuove idee religiose207. Il Lauro teneva scuola a Venezia: fra i suoi clienti vi erano famiglie del patriziato veneziano e membri della colonia tedesca, il cui reclutamento era facilitato al maestro dalla sua adesione alla Riforma. L’insegnamento di Pietro Lauro riservava cero un posto privilegio a quei Colloquia, dai quali, come egli aveva scritto
‘“gli animi inclinati alla vera pietà possono trarre construtto non mediocre” – con l’aiuto dei quali – “ogni età, ogni sesso, ogni condition de persone può imparar il modo et la regola di governarsi prudentemente in tutte le sue attioni”, il tutto “con assai piacere et diletto dell’animo”208.’Egli dedicava la sua traduzione alla “illustrissima et virtuosissima Principessa Madamma Renee di Francia, duchessa di Ferrara”, spiegandole
‘“La più parte di essi colloqui (ci si dice tra l’altro) discorrono sopra cose appartenenti alla nostra Christiana religione: onde gli animi inchinati alla vera pietà possono trarne costrutto non mediocre. Tutti poi sono pieni di notabilissimi ammaestramenti et utilissimi avvertimenti, donde quasi tutta la vita dell’uomosi può formare ed erudire in una perfetta moralità et politia: et donde ogni età, ogni sesso, ogni conditione di persona, può, secondo il grado suo, imperar il modo et la regola di governarsi prudentemente in tutte le sue attioni: e ciò con assai piacere et diletto d’animo, per l’historie, favole et altre gioconde piacevolezze, che vi sono sparse per dentro”.’Segue la trattatistica, il gruppo più eterogeneamente connotato, che comprende testi che spaziano dai dizionari alle cose turchesche, dai manuali di comportamento all’agronomia, dall’ippologia alla numismatica.
I titoli sono 54, 42 originali e 12 ristampe, ripartiti su 31 autori, che anche qui producono al massimo due titoli a testa e di cui solo otto vedono ristampare un loro testo (due nel caso del Garimberti i cui Concetti ebbero due riedizioni nei due anni successivi la loro prima pubblicazione, stesso traguardo raggiunto dagl’Ordini di cavalcare del Grisoni). La lingua é di preferenza il volgare (30 titoli), per titoli dal chiaro intento divulgativo come, appunto, trattati sul come cavalcare, comportarsi in caso di duello o uso di armi (ma il trattato dell’Alciati é proposto anche in versione latina) o qualora si sia principi, giocatori d’azzardo o solamente mariti o mogli, prontuari sull’arte della guerra piuttosto che di economia domestica, assortiti problemata parascientifici, orientalia. Una sezione a parte comprende dizionari, grammatiche e prontuari italiani e latini e opere di retorica, tra cui la Poetica horatiana commentata dal Pigna e la Rhetorica ad Herennium, entrambi, naturalmente in latino, e il Della Eloquenza del Barbaro secondo l’edizione del Ruscelli, dedicato agli Accademici costanti.
Due i titoli di architettura: l’Alberti, nuovamente tradotto dal Lauro e il trattato sulle fortificazioni del Lanteri, in doppia versione, latina e italiana; altrettanti quelli di numismatica, fondamentali per l’accesissimo dibattito “monete/medaglie” in atto a Venezia in quegl’anni, ovvero il trattato dell’Erizzo e uno del Vico, entrambi illustrati, il secondo Le Imagini delle Donne Auguste, pubblicato in associazione con l’autore probabilmente per condividere le spese di tiratura delle 63 sontuose tavole calcografiche209. Meritano un cenno, per ragioni diverse, la Tipocosmia di Alessandro Citolini, letterato filoriformato di Serravalle destinato a finire i suoi giorni esule in Inghilterra, e Le imagini de gli dei del Cartari.
Sulla traccia dell’Idea del Theatro di Giulio Camillo Delminio, del quale il Citolini era stato discepolo, la Tipocosmia si propone come una sorta di silloge del sapere universale articolata in sette giornate di conversazione, o meglio, di lezioni tenute dal Conte Collaltino di Collalto dinanzi a un pubblico comprendente anche alcuni patrizi veneti210. Nella quarta giornata, fra una congerie di argomenti di varia natura viene espressamente preso in esame ciò che concerne la religione e il Citolini non fa mistero della sua avversione per la Chiesa di Roma, contrapposta in non dichiarata ma evidente polemica, con il suo sovraccarico di arbitrarie innovazioni (la gerarchia, il libero arbitrio, le buone opere, la messa, le preghiere per i defunti, i digiuni, la confessione auricolare), alla spoglia sobrietà della Chiesa primitiva.
Quella valgrisina de Le imagini de gli dei, prodotta in associazione con il genero Giordano Ziletti, che ne sottoscrive parte delle copie a suo nome, é invece la prima edizione illustrata di questo testo, destinato ad immenso successo nei secoli successivi211.
La filosofia conta 28 titoli nell’insieme della produzione al segno del Tau (22 originali e 6 ristampe). Anche qui, per ovvi motivi, é il latino a prevalere, con 18 titoli contro 4. Aristotele la fa da padrone : sia per il numero delle traduzioni delle sue opere (quattro edizioni con due ristampe, della Logica e della Dialettica nell’edizione di Boezio) che come oggetto di commenti e tabulae (9 titoli). Segue Cicerone con i suoi Philosophica in due volumi e un’edizione comprendente il De officiis De amicitia. De Senectute Paradoxa, & Somnium Scipionis. Le Platonicae Quaestiones di Plutarco sono tradotte in latino dal Nogarola e un’edizione dello Pseudo-Longino chiude la serie latina. Due autori producono quattro testi “moderni”, tre il romano e poco noto Alessandro Piccolomini (due sono infatti edizioni apparse nel periodo di attività romana dell’impresa), uno, anch’esso stampato nella capitale, di filosofia morale, il senese Figliucci.
Alla categoria religione si possono ricondurre 26 titoli (21 originali e 5 ristampe, 16 testi in latino e 5 in volgare), per 12 autori, 2 testi anonimi (i Simolachri della morte, ovvero la serie delle xilografie della Danza macabra di Holbein sono accompagnati da La Medicina dell’Anima di Urbanus Rhegius il cui nome é omesso212), il Della imitatione di Giesu Christo e altre due pubblicazioni per così dire “ufficiali” : l’Admonitio atque hortatio legatorum Sedis Apostolicae ad Patres in Concilio Tridentino, lecta in prima sessione e il Catalogo dei libri proibiti stilato dal nunzio Della Casa e stampato dal Valgrisi con privilegio esclusivo nel 1549, che, come vedremo, venne però abrogato prima ancora di essere diffuso213. Antonio de Guevara con due suoi titoli “pii”, l’Oratorio de’ christiani e il Monte Calvario, merita due ristampe per titolo, mentre la quinta é quella dell’edizione italiana dei Simolachri della morte, nota su base documentaria, ma di cui non ci é pervenuto alcun esemplare.
Se il primo titolo pubblicato (1541), il commento ai Vangeli dell’Osiander, risulta piuttosto sospetto in quanto ad ortodossia, sebbene non ancora “pericoloso”, seguono commenti all’Antico e Nuovo Testamento, ai Salmi, un Doctrinale, un inno, due orazioni. La patristica é rappresentata da Sant’Agostino (che può vantare, tra i suoi due titoli, una monumentale opera omnia in dieci tomi) e San Bernardo. Tre opere, forse stampate a mo’ di robusto paravento, escono dalla penna del fervente polemista cattolico Ambrogio Catarino, al secolo già Lancellotto Politi214; una sola, e in formato in-16, l’edizione italiana dell’onnipresente Imitatio Christi.
I Simolachri della morte pubblicati in versione italiana e latina, costarono, come si vedrà, ben più di un fastidio in occasione della perquisizione ordinata dall’Inquisizione al magazzino di San Zanipolo nell’agosto del 1570, ma in realtà avevano ottenuto, all’epoca della loro prima pubblicazione (1545), regolare privilegio, che il Valgrisi si affrettò a presentare come argomento a sua difesa.
Anche la storia conta 26 titoli in totale (ma gli originali sono 19 e 7 le ristampe) e 17 autori (anche se almeno due sono in realtà accompagnati da una congerie di altri testi). Poche dunque le ristampe: il Chronicorum del Carion e la Vita di Carlo V dell’Ulloa, con due riedizioni a testa, si aggiungono alle altre tre, risultato della somma di una riedizione a testa per il Tyrius, Chasseneux e Valerio Massimo.
Prevale nettamente la storia “volgarizzata” (12 titoli sono in italiano, 7 i latini) tanto antica, intesa nel senso degli autori (Tacito, Tucidide, Plutarco, Valerio Massimo e Flavio Giuseppe), come dell’arco temporale (ma di autori moderni che scrivono sulla repubblica ateniese, gl’imperatori greci, la guerra troiana, o i testi d’antiquaria del Panvinio) quanto quella (più o meno) contemporanea, europea come d’Oriente, in un miscuglio di dati storici e descrizioni geografiche, di gloria di casate (gli Este del Pigna) o di re e imperatori - o meglio, dell’imperatore, Carlo V - o ancora il Catalogus gloriae mundi dello Chasséneux, o il Chronicorum libri del Carion con appendice d’aggiornamento.
Le 11 edizioni giuridiche sono naturalmente tutte in latino (9 gli originali con due titoli ristampati) e dovute tutte ad un autore diverso. Tre titoli trattano il diritto criminale, due il comune, tra cui l’Institutionum iuris civilis commentaria del (futuro) paladino protestante Francis Hotman, uno il matrimoniale. Se la maggior parte sono ingombranti in-folio, i titoli delle tre edizioni in ottavo farebbero pensare, se non proprio a prontuari, a manuali di più rapida e pratica consultazione.
I titoli di geografia sono 6 (4 originali, ma due, rispettivamente, la versione italiana, tradotta dal Ruscelli, e quella latina, con traduzione di Wilibald Pirckenaimer, dello stesso testo, la Geographia di Tolomeo con le 65 tavole calcografiche basate su quelle del Gastaldi, e due le ristampe, l’edizione latina di quest’ultima e l’Asia di Joao de Barros nella traduzione dell’Ulloa)215. Il quarto titolo, del terzo autore, é infatti La discrittione de l’Asia et Europa [...] con l’aggionta de l’Africa di Pio II con la curatela del Fausto da Longiano. Se il testo di Tolomeo rappresenta il titolo più “geografico” in senso stretto, gli altri due sono piuttosto opere descrittive, con notazioni storico-etnologiche.
Concludono il panorama editoriale al segno del Serpente sul Tau i 6 titoli dedicati all’astronomia, 4 originali, 4 gli autori. In tre casi si tratta di tabelle di Ephemerides, ovvero le registrazioni degli aspetti del firmamento, quali lunazioni e altre fasi astronomiche, annotati giorno per giorno, compilate dal Carello (con le due ristampe che ne aggiornano i dati), dal Moleto e dal Simi. I tre libri della nativita di Giovanni Schonero alamanno matematico [...] tradotti di latino in italiano dal Carello é il quarto e ultimo titolo, che sarà ben presto messo all’Indice.
Il già citato Pietro Lauro, impegnato come traduttore dal latino, francese e spagnolo, i fratelli Bartolomeo e Pietro Rossettini, traduttori dal greco, Girolamo Ruscelli principale curatore dell’Orlando furioso e del Decameron e traduttore dal greco in italiano della Geografia di Tolomeo, formano la cerchia dei collaboratori editoriali più assidui, cui si aggiungono due autori/poligrafi come il Fausto da Longiano, traduttore degl’Apoftemmi di Erasmo e di altre opere dal greco e dallo spagnolo e autore di un trattato sul duello, e l’avventuriero (della penna ma apparentemente non solo, essendo stato imprigionato con l’accusa di spionaggio) Alfonso Ulloa, traduttore ed editore di alcuni scrittori iberici contemporanei, e autore a sua volta della fortunata Vita di Carlo V 216. La curatela dei testi di medicina é invece normalmente affidata a professionisti del settore.
Un certo numero di edizioni, infine, é, in un modo o nell’altro, in relazione con Ferrara e gli Estensi: a parte il Brasavola e il Pigna, che ferraresi lo erano di nascita e a Ferrara operavano, il primo come medico e il secondo come letterato di corte, numerose sono le dediche indirizzate a Renata di Francia (tra cui, le più significative sono sicuramente quelle che accompagnano le due traduzioni di Erasmo) e a Ippolito, Alfonso ed Ercole d’Este.
Inteso nella sua globalità, e fatte salve alcune edizioni di autori classici, punti di riferimento irrinunciabili nei vari ambiti disciplinari, il catalogo valgrisino si può dire composto principalmente da autori “nuovi”, contemporanei, anche se talvolta impegnati nel commento, traduzione o volgarizzamento di opere antiche. Vincenzo non può però vantare una scuderia di autori suoi propri, come invece accadeva per Giolito negli stessi anni, ma un solo vero cavallo di battaglia: il Mattioli, di cui ebbe gli onori (e, a giudicare dal non facile carattere del senese, senza dubbio, gl’oneri), dell’esclusiva e che rappresentò l’impresa editoriale più ardita e pionieristica della sua carriera.
Ne risulta, insomma il ritratto di uno stampatore “professionista”, alla ricerca di titoli di successo e di nicchie di mercato in cui inserirsi con profitto – come la medicina e la farmacopea – il cui catalogo, sebbene non caratterizzato da una particolare o personale impronta intellettuale, dimostra certamente un grande senso del mestiere, nell’alternanza di titoli sicuri e novità più arrischiate, di edizioni di “classici” antichi e moderni o di autori contemporanei di sicuro successo), a opere con maggior margine di rischio (commerciale), magari nel campo della letteratura e della trattatistica contemporanee.
Nella politica editoriale del Valgrisi non si colgono nemmeno particolari “svolte”, o mutamenti profondi di linea editoriale, come invece si possono individuare nella contemporanea produzione giolitina, organici ai processi di trasformazione e di crisi della società italiana del secondo Cinquecento. A differenza del vero e proprio “programma editoriale” fortemente connotato da dalla più moderna produzione letteraria in volgare del collega, per il Valgrisi la medicina, lo si é detto, resta una costante e le ristampe del Furioso, insieme ai suoi bei legni nei quali doveva aver investito non poco, lo accompagnano fino alla fine: l’ultima edizione appare infatti nel 1573, anno della sua morte. Piuttosto alcune “sparizioni”: Cicerone é un autore presente solamente negl’anni ’40, per poi perdere d’interesse agl’occhi di Vincenzo, come d’altronde, ma per ben diverse ragioni, Erasmo, che non oltrepassa la soglia del quinto decennio; l’ultimo Decameron é del 1557, stampato in società con il Costantini, poi é testo all’Indice. Se il Nostro era disposto a correre qualche rischio, ciò non sembra avvenire nella scelta dei titoli, tra cui non ne compare nessuno particolarmente sospetto o palesemente “mal sentant”, quanto piuttosto nella sua parallela attività di “import-export” librario.
Vincenzo doveva essere un professionista stimato e la sua marca sinonimo di una notevole qualità, attestata non solo dall’impresa del Mattioli o dalle belle edizioni illustrate che fondano l’oggetto della nostra ricerca, ma altresì confermata in più occasioni dalle voci dei suoi contemporanei: Traiano Boccalini lo nomina espressamente accanto a esimi colleghi riuniti al cospetto di Apollo nel suo Parnaso 217, mentre l’Aldovrandi raccomandava all’editore della sua Ornithologia, Francesco de Franceschi, di eguagliarne la qualità della carta e dei caratteri
‘“che la carta [...] abbi a essere de la qualità e bontà ch’é quella dell’opera di Pietroandrea Matthioli stampata nell’anno 1565 per il Valgrisio [...] Che il charattere della lettera abbi a essere [...] della grandezza e bellezza ch’é il carattere dell’opera di Andrea Bascio De thermis stampata nell’anno 1571 da Vincenzo Valgrisi”218 ’Per la dichiarazione di Vincenzo cfr. infra. Per le fiere di Foligno e Recanati, cfr. Nuovo 1998, pp. 101-102. La fiera di Lanciano svolgeva un ruolo fondamentale nel commercio librario, e anzi, fu, in generale, la più importante fiera italiana per i librai. La posizione della città, non distante dal mare e al centro di quella strada che partendo da Brindisi collegava il Regno di Napoli con Ancona, Bologna, Modena, Parma, Piacenza e la valle del Po (qui riallacciandosi alla via più trafficata dal commercio) rendeva il centro abruzzese un passaggio obbligato tra nord e sud della penisola; inoltre era raggiungibile dal porto di Ortona. Se tutte le fiere franche del Regno erano esenti dal pagamento del diritto di dogana, quel che fece la particolare fortuna di Lanciano fu l’esenzione, fin dal 1368, anche dai diritti di fondaco per tutti i mercanti, regnicoli o forestieri. Nel secolo XV gli furono concessi altri privilegi, tra i quali l’obbligo fatto ai cittadini di difendere, in caso di guerra, le merci depositate nei fondachi in attesa della fiera. La prima testimonianza relativa alla partecipazione di librai alla fiera di Lanciano é la più antica in assoluto: risale al 1477. A Lancianosi svolgevano due fiere l’anno, dette di maggio e di agosto perché s’inauguravano il 31 dei rispettivi mesi, ma si prolungavano fino al 15 di giugno e al 15 di settembre. La fiera lancianese era un appuntamento di massimo rilievo per tutto il mercato meridionale e soprattutto per l’importantissima piazza di Napoli, ove una legislazione particolarmente liberale aveva svincolato il commercio librario da ogni diritto doganale e di fondaco, garantendo l’immunità fiscale ai librai (con le immaginabili conseguenze sull’industria tipografica locale). In effetti in questo modo si ebbe come risultato una pressione esercitata dal Nord verso il Sud e al formarsi di un vuoto, qui, che rappresentò un grande sbocco al flusso dell’editoria veneta, e, di rimando, al riflusso di materiale da stampare. Durante le fiere si esigevano crediti, si negoziavano libri (non a quantità , come era il costume abituale a Francoforte, ma previa una valutazione di bontà e qualità, con un accordo concordato fra le varie parti, dopo una vera e propria stima), si appianavano le situazioni contabili di un intero anno, con il sistema della compensazione dei debiti e crediti. Notevole era anche il concorso degli uomini di lettere e degli autori, che in fiera contrattavano le condizioni più vantaggiose per la pubblicazione delle loro opere presso gli importanti editori presenti. Per una lista di libri speditigli da Lanciano, cfr. Appendice I; Cfr. Marciani 1958 e 1568, e, dello stesso autore, Lettres de change aux foires de Lanciano au XVIe siècle, Paris, 1962; Nuovo 1998, pp. 103-104. La bottega bolognese, anch’essa “Ad insigni Erasmi” era stata affidata da Vincenzo a Giovanni Alessi, qualificato come “Institorem et Gubernatorem”, quindi suo alter ego e gestore della bottega. Cfr. ASBo, Notarile, Cristoforo Pensabeni, 1 ottobre 1565; Nuovo-Coppens 2005, p. 150 e per l’Alessi, ad vocem in DTEI, I, p. 19. Informazioni sull’attività della bottega sono ricavabili dal carteggio fra il Mattioli e l’Aldovrandi, cfr. Raimondi 1906. Per la bottega di Francoforte, cfr. cap. 1.3.
Cfr. Ascarelli-Menato 1989, pp. 375-76.
Cfr. infra.
Per le medie produttive durante l’arco di attività di Vincenzo, cfr. Quondam 1977 e Di Filippo Bareggi 1994
Cfr. Ascarelli-Menato 1989 e DTEI, I.
Per Comin da Trino, cfr. Ascarelli-Menato 1989 e DTEI, I. Per le marche del Valgrisi, cfr. Appendice 2
Nonostante non si conoscano edizioni che rechino traccia dell’effettiva condivisione con l’erede di Aldo, i rapporti con il Manuzio sono attestati da alcune lettere dell’epistolario manuziano, cfr. E. Pastorello, Epistolario Manuziano. Inventario Cronologico-Analitico 1483-1597, Firenze, 1957, p. 342 e Eadem, Inedita Manutiana 1502-1597. Appendice all’inventario, Firenze, 1960, nn. 1579, pp. 363-64; n. 1677, pp. 383-85 e n. 1952, pp. 526-27.
Avviene almeno in due casi, ad esempio, con il Bevilacqua, per conto del quale stampa il De re anatomica nel 1559 (sul frontespizio vi é l’indirizzo del Bevilaqua, nel colophon la marca di Vincenzo), e, in associazione con lui, un’edizione delle Rime petrarchesche nel 1560 (sul frontespizio la marca é quella di Vincenzo ma i paratesti sono firmati dal Bevilacqua che risulta essere il proprietario delle xilografie che infatti riproporrà in edizioni a suo nome). Cfr. Parte III.
Cfr. D. E. Rhodes, Ruzzante e il suo primo editore, Stefano di Alessi, “Filologia Veneta” I (1988), pp. 1-13 e Rhodes 1995. Il metodo utilizzato da Rhodes non é comunque del tutto affidabile, vista la continua circolazione di materiale tipografico tra le botteghe e l’abitudine di copiare le stesse iconografie e decori delle iniziali figurate. Sulla base della nostra esperienza “visiva”, possiamo affermare che molto spesso il materiale che Rhodes assegna a questo o a quello stampatore é impiegato contemporaneamente anche da altre “firme”, viziando di aleatorietà l’identificazione di queste edizioni veneziane anonime.
Per il Costantini, cfr. Ascarelli-Menato 1989 e DTEI, I. Per le edizioni in società con il Vico, cfr. Parte III.
In realtà la Società era nata esattamente il 1 gennaio 1571 come attesta un documento 31 maggio 1571 (ASV, Sezione Notarile, Atti Marc’Antonio Cavani, b. 3286), e contemplava la seguente composizione: Girolamo Scoto, Vincenzo Valgrisi, Zaccaria Zenaro, Lucantonio Giunti, Bernardo Castagna, Nicolò Bevilacqua, Eredi di Marchio Sessa, Giovanni Varisco e compagni, Lodovico Avanzi, Bernardino Manuzio, Francesco de’ Franceschi, Damian Zenaro, Gaspare Bindoni e Francesco Ziletti. Cfr. Bellingeri 1989 e Nuovo 1998, p. 194 e ora Simonetti 1999.
Per A. Blado, cfr. F. Barberi, ad vocem in DBI e DTEI, G. Fumagalli, Catalogo delle edizioni romane di Antonio Blado Asolano ed eredi (1516-1593), Roma, 1891-1961. Lo Ziletti aveva pubblicato un titolo a Venezia nel 1549, poi era passato a Roma, dove tenne bottega dal 1548 al 1556, quando si stabilì definitivamente in Laguna nel 1556, quando intraprese l’attività editoriale all’insegna della Stella, in Merceria. Cfr. Grendler 1983. Sugli Ziletti cfr. anche la tesi di M. Lombardi, Gli Ziletti a Venezia (1548-1587): una famiglia di stampatori fra commerci e censura libraria, rel. Claudia Di Filippo Bareggi, Università degli Studi di Milano, a. a. 1993-94.
A. Oliviero, La Alamanna, Venezia, Valgrsisi, 1567, Vincenzo Valgrisi al lettore.
Per la difficoltà della suddivisione in generi della produzione cinquecentesca, cfr. Quondam 1977, pp. 74-75 e Di Filippo Bareggi 1988, pp. 87-96.
Per i titoli d’argomento medico, cfr. Durling 1967; per i titoli valgrisini, cfr. Pesenti 1985.
Per la medicina a Venezia, cfr. Ongaro 1981; per la riproposizione dei titoli francesi, cfr. Scheda 1. Le herbe, fiori, stirpi che si piantano ne gli orti, il Seminario, over platario de gli alberi, e il Vineto dell’Estienne erano stati pubblicati con successo a Parigi i primi due da Robert Estienne nel 1535 e il terzo da François Estienne. Cfr. E. Armstrong, Robert Estienne Royal Printer. An historical Study of the Elder Stephanus, Cambridge, 1954, pp. 109-110. Il plagio é testimoniato da un rarissimo documento, un esemplare dell’edizione Froben annotata a mano dallo stesso Valgrisi per indicare al tipografo le modificazioni da compiere nella nuova composizione della pagina. Ci proponiamo di pubblicare presto questo inedito in altra sede.
Per il Servetus, cfr. J. F. Fulton, Michael Servetus, Humanist and Martyr, New York, 1953, p. 69, n. 1 e R. H. Bainton, Michel Servet hérétique et martyr, Genève, 1953. La bibliografia sul Servet é smisurata, molto utile a questo riguardo risulta il sito della Servetus International Society: http://www.servetus.org
Per l’impresa editoriale dell’opera del Mattioli, cfr. infra, Parte III.
Cfr. Parte III.
Cfr. S. Ferri, Il “Dioscoride”, i “Discorsi”, i “Commentari”: gli animi e i nemici, in Pietro Andrea Mattioli 1997, pp. 15-48.
Per la fortuna editoriale di Cicerone nel Cinquecento, cfr. G. Garavaglia, Appunti per uno studio sulla fortuna editoriale di Cicerone nel Cinquecento, in Per Marino Berengo. Studi degli alievi, a cura di L. Antonielli, C. Capra, M. Infelise, Milano, 2000, pp. 210-223. L’importanza dei testi di Cicerone nell’insegnamento scolastico, cfr. Grendler 1991, pp. 49-79. Per il Guevara, cfr. L. Gómez Canedo, Las obras de fray Antonio de Guevara: Ensayo de un catálogo completo de sus ediciones, “Archivio Ibero-Americano”, VI (1946), pp. 441-601; A. Redondo, Antonio de Guevara (1480-1545) et l’Espagne de son temps, de la carrière officielle aux oeuvres politico-morales, Genève, 1976; A. Rallo Gruss, Antonio de Guevara en su contexto renacentista, Madrid, 1979; P. Consejo, Antonio de Guevara, un ensayista del siglo XVI, Madrid, 1985; D. Bigolli, Immagini del Principe, ricerche su politica e umanesimo nel Portogallo e nella Spagna del Cinquecento, Milano, 1985 e per traduzioni italiane e la sua importanza come testo scolastico, cfr. Grendler 1991, pp. 322-28; 451-53.
Cfr. Scheda 4.
Cfr. Parte III.
Cfr. ASV Senato Terra, Registri 34, c. 139rv, trascritto in Appendici 4.
Del Lauro parla il Castelvetro in certe note manoscritte riferite al Tiraboschi (Biblioteca modenese, III, 76), affermando, tra l’altro, che “sosteneva miseramente la vita col tener scuola privata e insegnando le prime lettere ai fanciulli in Venezia, e, quantunque fose fuor di misura ignorante, ardì di volgarizzare Columella e simili autori latini”. Certo é che il Lauro, soprattutto tra il 1540 e il 1570, pubblicò in Venezia moltissimi lavori di traduzione dal greco, dal latino e dallo spagnolo: da Giuseppe Ebreo, Plutarco, Columella, Beroso Caldeo (ossia Annio da Viterbo), via via ad Alberto Magno, a Raimondo Lullo, a L. B. Alberti, al Vives, alla cronaca di Carione, a Polidoro Virgilio, a Erasmo, al Guevara, a Luis de Granada; tradusse anche romanzi cavallereschi dallo spagnolo, dei quali il Cavalier del Sole (Venezia, Zoppino, 1584), forse opera della sua stessa penna, benché sia dato per traduzione. Pubblicò inoltre un Praeludium ad copiam dicendi e due libri di Lettere (1552 e 1560). Cfr. B. Croce, Sulle traduzioni e imitazioni italiane dell’ “Elogio” e dei “Colloqui” di Erasmo, in Aneddoti di varia letteratura, Bari, Laterza, 1953, I, pp. 411-423, Seidel Menchi 1987, p. 141.
Erasmo da Rotterdam, Colloqui famigliari ad ogni qualità di parlare et spetialmente a cose pietose accomodati. Tradotti di latino in italiano per Pietro Lauro, Venezia, Valgrisi, f. 3r.
Per le edizioni del Vico e dell’Erizzo, cfr. Parte III.
Per il Citolini, cfr. M. Firpo, ad vocem in DBI, XXVI, pp. 39-46, A. Olivieri, Riforma ed eresia a Vicenza nel ‘500, Roma, 1992, pp. 418-19; Ambrosini 1999, pp. 86-87L. Della Giustina, La “Tipocosmia” di Alessandro Citolini (1561). Nuove forme di enciclopedismo nel XVI secolo, “Archivio storico italiano”, CLVII (1999), pp. 63-87.
Cfr. Parte III.
Cfr. Scheda 2.
Cfr. infra.
Per il Politi, “focoso polemista cattolico”, come lo defini il Bongi, cfr. J. Schweizer, Ambrosius Catharinus Politus (1484-1553), ein Theologe des Reformationzeitalters. Sein Leben und seine Schriften, Münster, 1910 e A. Duval, ad vocem, in Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique, doctrine et histoire, Paris, 1986, vol. XII, coll. 18446-58
Per l’edizione di Tolomeo, cfr. Parte III.
Per il Ruscelli e l’Ulloa, cfr. Di Filippo Bareggi 1988 e Scheda 4, per il Fausto da Longiano, cfr. ad vocem, in DBI.
T. Boccalini, Ragguagli del Parnaso e scritti minori, ed. G. Rua, Bari, 1910, I, Centuria I, ragguaglio XXXV, p. 117: i “famosi stampatori” riuniti al cospetto di Apollo sono i lionesi Sébastien Gryphe e Guillaume Rouillé, Christophe Plantin, i Giunti di Firenze, Aldo Manuzio, Gabriele Giolito, il Valgrisi e “molti altri da Venezia” che non vengono però nominati.
A. Sorbelli, Contributo alla bibliografia delle opere di Ulisse Aldovrandi, in Per il III Centenario della morte di Ulisse Aldovrandi, bibliofilo, bibliografo e bibliologo del Cinquecento, “ Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università di Roma”, VIII (1968), p. 180.