II.3 - Il « Cathalogus librorum haereticorum »e la protesta dei librai (1555)

Dopo i roghi del Talmud e dei libri ebraici del 1553, un altro evento scosse l’industria editoriale veneziana: l’introduzione e la stampa, tra la fine del 1554 e l’inizio del 1555, del Cathalogus librorum haereticorum 222. Stampato stavolta da Gabriele Giolito, su commissione del nunzio pontificio Filippo Archinto, questo indice, a differenza di quello del 1549, era stato compilato a Roma dalla Congregazione del Sant’Uffizio, che, su espressa richiesta del nunzio, ne aveva poi inviato copia anche a Venezia. Rispetto al catalogo del 1549, gli autori di cui veniva bandita l’opera omnia erano quattro volte più numerosi, per un totale di 290, e anche i titoli singoli si erano notevolmente moltiplicati. Quest’impennata é in parte da ricondurre all’accresciuto numero degli scrittori protestanti, oltre che alla miglior conoscenza che di essi ormai s’era acquisita negli ambienti pontifici. Si proibiva l’intera produzionedegli apostati italiani, ma soprattutto era stata messa all’Indice quella di una quantità di dotti originari dell’Europa settentrionale, di religione protestante, non importa se si trattasse di veri e propri teologi o semplici eruditi che magari avevano al loro attivo un unico scritto di argomento religioso ed un’ampia produzione nei campi del diritto, della medicina, delle lettere. Erasmo si vedeva condannare, ad esempio, ben dieci titoli.

Alla notizia che l’Inquisizione veneziana intendeva promulgare a Venezia il nuovo indice, i librai si allarmarono enormemente e organizzarono subito un loro piano d’azione per la difesa dei propri interessi, ancora più efficace di quello del 1549. Innanzitutto chiesero e ottennero una dilazione di quindici giorni (12 febbraio 1555), cui, alla scadenza, ne fu accordata un’altra. Il 7 marzo, poi, i librai presentarono agl’inquisitori un lungo ed argomentato documento, pregno di argomentazioni anche dotte, in cui manifestavano la loro ferma opposizione al provvedimento, concepito a Roma e che si voleva rendere esecutivo a Venezia, quando non era stato applicato neppure là. Se da un lato, il memoriale voleva essere una semplice e riverente supplica agl’inquisitori in toni anche patetici, perché preservasse l’arte e le loro famiglie dalla “total ruina”, dall’altro non risparmiava ai compilatori del catalogo e agli stessi deputati laici dell’Inquisizione accuse, anche severe, contro l’iniquità del provvedimento. Analizzando dettagliatamente i contenuti dell’indice giolitino, i librai ne denunciavano l’enorme approssimazione, imprecisione e confusione. Il documento proseguiva comunque con una vera e propria supplica, in cui, dopo aver ricordato i sacrifici, le spese e gli anni da essi consumati

‘“in questa arte, tanto necessaria al mondo, tanto favorita in ogni tempo et specialmente da questa illustrissima republica” ’

di Venezia, si esortavano gl’inquisitori ad un riesame di tutta la materia alla luce di criteri più moderati, avvalendosi di una commissione di teologi, giuristi ed altri esperti, e si concludeva con il ricordo della revoca del “catalogo” del 1549 e con l’aperto auspicio di un “bis”. Il Sant’Uffizio ne rimandò ancora di tre mesi l’applicazione, ma i librai furono ugualmente costretti a consegnare dei libri, che si rivelarono essere per lo più edizioni di Erasmo.

Il 22 giugno successivo, però, diciannova librai e stampatori, tra i quali i Giunti, Vincenzo Valgrisi, Michele Tramezzino, Andrea Arrivabene, Ottaviano Scoto e Giordano Ziletti, comparvero davanti all’Inquisizione a nome dell’arte tutta, con una seconda scrittura, e quanto prima erano stati umili ed imploranti, tanto ora apparivano insistenti ed arrabbiati. Rivolgendosi innanzitutto ai membri laici del tribunale, facevano presente che già più di una volta erano venuti a discutere dell’Indice; deploravano di dover per forza sottostare a norma che non erano in vigore neppure a Roma e si chiedevano come l’Inquisizione potesse permettere che i sudditi del pio e giustissimo governo della Repubblica fossero peggio trattati dei librai romani che operavano sotto l’occhio vigile dei cardinali della Congregazione romana. Non c’era Indice nella cttà del papa: s’informasse, il tribunale, presso l’ambasciatore a Roma. Il 28 settembre l’Inquisizione veneziana sospese, evidentemente con il consenso di Roma, l’Indice del 1554, del quale non si parlò più. Il fatto che anche dell’edizione giolitina ci siano rimaste ben poche copie, fa pensare che gli fosse imposta la medesima sorte della precedente valgrisina.

Notes
222.

Cfr. Grendler 1983, pp. 149-156, De Bujanda 1987, pp. 50-65 e Jacoviello 1993.