III.1 - Anatomia libresca: forme e luoghi della decorazione e dell’illustrazione

All’inizio del secondo terzo del Cinquecento, il libro ha ormai concluso la sua fase sperimentale, ma prosegue il processo di costante “familiarizzazione” visuale che contribuirà a decretarne l’inarrestabile successo.

La nuova struttura tipografica che si va delinenando nell’arco del secolo, si afferma infatti anche in funzione di un mercato, per così dire, “di strada”, dovendo obbedire essenzialmente a ragioni di commercializzazione di un prodotto che sempre più di frequente veniva esposto alla vendita su banchi e strutture interne di librai fissi, in spazi aperti (le fiere ma anche i mercati), o addirittura dalle mani dei colporteurs. Il libro entrava ormai in contatto con un pubblico vasto, magari non specializzato, non particolarmente informato, dunque attratto non tanto dal nome dell’autore o dalle qualità letterarie del testo, quanto piuttosto dall’argomento o dalle sue articolazioni, dalle vignette illustrative, dal formato ridotto (che ne permetteva facilmente il trasporto), e dal prezzo basso.

La struttura e l’aspetto grafico del libro tendono così ad uniformarsi, e il corpo del testo presenta una ripartizione sempre più rigorosa e una più funzionale sistematizzazione dei contenuti. L’apparato decorativo, che tende generalmente a ridursi e a semplificarsi, si concentra quasi unicamente nel frontespizio ; nei casi in cui decida di mostrare maggiori ambizioni, tra di esso e l’illustrazione propriamente detta si stabiliscono precisi limiti di competenza, con il risultato di dare risalto al ruolo di entrambe; l’inizio dei capitoli é tenuto ormai di prammatica nella pagina destra dispari e provveduto di una conveniente segnalazione227.

Il frontespizio subisce una rigorosa standardizzazione, e tende ad una sempre maggiore funzionalità e specializzazione per permettere anche al pubblico solo di passaggio, e quindi in grado di poter cogliere solo gli elementi esterni ivi evidenziati, di essere da questi invogliato all’acquisto. Gli esempi dell’epoca si riconoscono immediatamente per la loro concisa intitolazione, resa normalmente in un sontuoso e solenne carattere romano, dispiegato in tutta una panoplia di variazioni di corpo impiegata al fine di mettere in evidenza, e al primo colpo d’occhio, le parti salienti di quel discorso abbreviatissimo che é diventato il titolo.

Lo stesso motivo dell’edicola o del portale, dell’arco di trionfo, di carattere lineare, già presente nei frontespizi quattrocenteschi, si inspessisce in soluzioni monumentali, con un’accentuazione plastica resa evidente dalle statue e personificazioni allegoriche che, se talvolta possono alludere al contenuto del testo, più spesso indicano genericamente Virtù, Arti e Muse. E’ uno schema, questo, che, pur nella ricchezza delle soluzioni individuali, spesso caratterizzate da una sovrabbondanza decorativa, rimarrà costante nel secolo, adeguandosi, con la presenza frontale, la simmetria, la sua composizione raggruppata e bilanciata, al rigore classico dell’arte coeva e dunque imitando - miniaturizzandola e privandola della terza dimensione – i risultati della scultura e delle arti decorative contemporanee, si pensi ai monumenti tombali, agl’inquadramenti dei camini, alle cornici, che a Venezia, in particolar modo, rielaboreranno il motivo del “cartouche” bellifontano e le soluzioni decorative diffuse dal Sansovino e dalla sua bottega228.

Al centro, talvolta persino integrata nell’insieme della composizione, campeggia la marca, contrassegno di fabbrica sempre più ambizioso e complesso. Il nome dello stampatore e il suo simbolo distintivo assurgono stabilmente all’onore del frontespizio, sia a sottolineare la progressiva affermazione dell’artefice materiale del libro, sia per esigenze più prettamente commerciali, che vogliono concentrate in un’unica pagina - la prima - tutte le informazioni relative al libro : autore, titolo, e, appunto, editore e luogo di commercializzazione, in una “fitta, prolissa, studiata articolazione pubblicitaria”229. Cessano le imprese o le marche tipografiche a disegno elementare dei prototipografi, caratterizzate in genere dal cerchio e dalla doppia croce, e si affermano sempre di più ambiziosi marchi commerciali che si fanno, in seguito soprattutto al successo dell’emblematica, verso la metà del secolo, vere e proprie imprese, spesso accompagnate da un motto allusivo, magari in latino, dai significati arcani o allegorici o, rappresentanti la trascrizione figurata o fonica del nome del tipografo, o ancora raffiguranti il suo santo patronimico230.

La qualità di queste immagini lascia formulare l’ipotesi che fossero molto spesso opera di artisti qualificati, magari su ispirazione degli stessi titolari o di qualche collaboratore editoriale della bottega.

La qualità del libro cinquecentesco é molto variabile: il “libro editoriale” che più si avvicina, nel suo concetto, a quello moderno, di più ampia tiratura e diffusione e in genere di costo assai basso, é però spesso il risultato di una stampa rapida, ad impaginazione serrata a piena pagina, su carta non buona e molto spesso ricco di errori e d’imperfezioni tecniche. Ma in molti casi l’oggetto-libro creazione delle migliori case editrici veneziane come straniere può raggiungere livelli di grande dignità : carta, inchiostri, disposizione e alternanza dei caratteri, stampa, sono generalmente tutti aspetti particolarmente curati. Se viene meno la varietà quattrocentesca dei caratteri tipografici e se, con la generale adozione del solenne carattere romano, si assiste ad una sempre maggiore unificazione dei tipi, favorita soprattutto dall’impiego ormai generalizzato di caratteri forniti ai tipografi da fonditori e fonderie specializzate (molto spesso esteri: francesi o dell’area germanica) e non più disegnati, incisi e fusi in proprio, l’invenzione e la rapida diffusione del corsivo di Antonio Blado e Claude Garamond, fornisce al registro tipografico la possibilità di soluzioni variate ed eleganti con il suo impiego nelle note o alternato al romano o persino adoperato in modo esclusivo per l’intero testo, con risultati di grande raffinatezza e decoratività231.

Accanto al grande formato ad ampi margini, che sopravvive soprattutto per determinate categorie editoriali (trattati di religione, filosofia, diritto ma anche testi scientifici o edizioni di particolare lusso), sull’esempio della produzione aldina, se ne affermano di nuovi, più piccoli e maneggevoli: l’in-4, l’in-8, l’in-12 e addirittura l’in-16 che spesso fanno delle edizioni dei best sellers di successo - come i “petrarchini” e l’Orlando furioso – dei veri e propri gioielli di raffinata, cesellata fattura.

Il formato ad albrum, é invece funzionale alle divulgatissime raccolte degli argomenti più disparati, in cui predomina ed é centrale la presenza dell’illustrazione, soprattutto dal momento in cui essa sarà sempre più il prodotto di matrici calcografiche che necessitano di essere “tirate” con torchi appositi e non più in concomitanza con il testo a caratteri mobili.

Viene abbandonato il bicolonnarismo, ovvero la disposizione del testo su due colonne, riservata ormai ai soli componimenti poetici, sebbene anche in questi, sempre più spesso, venga adottata la sola colonna circondata, quando non assediata, dall’apparato di note e commenti in corpo minore.

Dal frontespizio e dalla pagina scompaiono poi le filettature e le incorniciature, gli inquadramenti a motivi floreali o vegetali stilizzati, le vignette di testata e altri simili decori per far luogo all’aspetto più propriamente tipografico del libro, in cui é la composizione stessa dei caratteri che spesso, negli inizi e nei finali di capitoli, assume eleganti e variate forme geometriche, a triangolo dritto e rovesciato, doppio con i vertici che si toccano, a rettangolo e triangolo, o con forme ornamentali – i cosiddetti “technopaegnia” - come coppe, calici o vasi desinenti nel fregio tipografico, di cui cominciano ad essere ricche le “casse” de tipografi232.

Ottenuti da matrici di rame o più spesso di legno, l’uso dei fregi tipografici, in testa o in fine di capitolo, si diffonde sempre di più proprio a partire dalla metà del secolo. Essi hanno come precedenti i ferri del legatore, le ornamentazioni, cioé, ottenute tramite l’applicazione – a freddo o a caldo e tramite utensili metallici – di piccoli disegni ornamentali, isolati o ripetuti, sulle copertine in pelle dei volumi. La ragione del loro trasferimento nella tipografia non é solamente decorativa : essi servono infatti a sottolineare e a pausare le parti del discorso, la successione della materia del volume o anche per obbedire a motivi estetico-tipografici, ovvero evitare, per esempio, lo sgradevole effetto di uno spazio bianco esorbitante quando il testo in fine di capitolo non sia sufficiente a coprire la pagina in misura conveniente, o anche per evidenziare lo stacco fra un capitolo e il successivo.

Ripetuti in sequenze, i fregi (fiori – “fleurons” – foglie, trifogli, rosette, palmette, elementi geometrici) possono formare una figura geometrica; combinati o allineati, inquadrano porzioni particolari del testo, come gli “argomenti”, in alternativa all’uso dei cartigli, specie nei componimenti poetici; oppure possono servire da “finalini”, ovvero, come le “testate” nell’inizio, da motivo di chiusura del capitolo o del libro.

Continua, anzi s’intensifica, l’uso delle capitali istoriate: ora invase dall’ornamentazione figurata, concepite come un piccolo quadro in rapporto con il composto tipografico, esse diventano un microcosmo in cui si riflette il gusto del tipografo.

Conservando sempre il loro valore semantico, figurate o semplicemente ornamentali, nere su fondo bianco o viceversa, le lettere iniziali appaiono in una vastissima gamma di soluzioni. Nel loro corpo si muovono ora figure isolate o scene allegoriche: animali, putti, motivi floreali, architettonici, archeologici, araldici, paesaggi, vedute di città o composizioni ispirate alla storia sacra o antica, alla mitologia, ma anche alle arti, alle scienze o ai mestieri, ritratti di autori o dedicatari; composte da elementi geometrici o risolte decorativamente in fregi, foglie e fiori stilizzati, esse possono trovarsi in rapporto stilistico con la cornice o la testata della pagina, inquadrate da un filetto di foggia e dimensioni diverse, o campeggiare libera sulla pagina, come già avveniva per quelle arabescate del Manuzio.

Tali lettere iniziali sono di solito indipendenti dal testo che introducono: i tipografi se ne servivano per diverse edizioni, conservandole nella “cassa”; molto frequentemente, poi, tipografi diversi si servivano delle stesse iniziali, i cui corredi erano ottenuti per acquisto, cessione, eredità o imitazione233. Proprio per questi frequenti passaggi e prestiti di legni, che ne facilitarono la diffusione, questa tipologia di iniziali finì con il creare uno stile decorativo avulso dal testo, dando luogo ad episodi grafici del tutto anonimi e compiuti.

In alcune serie, invece, ci può essere connessione logica con il testo che le iniziali introducono: é il caso delle iniziali “parlanti”, invenzione decorativa che, se era già stata sporadicamente adottata dai tipografi primitivi, diventa di moda a Venezia alla metà del secolo, grazie ai corredi di Gabriele Giolito, prontamente copiati dagl’altri tipografi, veneziani e non234. Qui l’iniziale viene associata a piccole scene ben definite, in cui il valore dell’iniziale corrisponde a quello della parola cui essa é il principio, definendo in tal modo il personaggio o la scena.

Nel disegno delle iniziali é talvolta possibile avvertire la parentela con l’illustrazione maggiore, non solo per l’intervento accertato dei medesimi artisti, ma anche per la derivazione diretta dei contenuti, come avviene nelle iniziali giolitine che raffigurano scene tratte dalle Metamorfosi ovidiane, in cui le figure sono imitate dalle illustrazioni presenti nelle edizioni coeve235.

Si enfatizza, infine, e diventa presenza normale, il ritratto posto in apertura del libro : sempre meno stereotipia tipologica e sempre più immagine individualizzata, é specchio del gusto del tempo per quello da cavalletto cui l’incisione sovente si ispira.

Con l’affermazione del frontespizio, il ritratto viene spesso inglobato all’interno della cornice architettonica, solitamente al di sotto del titolo, in posizione centrale o comunque preponderante. Spesso é inscritto in un clipeo, in un’ellisse, in una mandorla, in un riquadro a cassettoni, in tondi o ovali a medaglione, che ripropongono – soprattutto nella versione di profilo – gli schemi compositivi di monete, medaglie e cammei dell’antichità, in modo da esaltarne ulteriormente la dimensione eroico-celebrativa. Si tratta per lo più della raffigurazione dell’autore, ma talvolta si preferisce l’illustre committente, principe o prelato, (spesso supplito dal suo stemma, dalle sue armi o dalle insegne del grado e della dignità), il mecenate cui s’indirizza la dedicatoria, o l’esimio prefatore236.

Notes
227.

Cfr. Barberi 1965, pp. 95-99 ; Samek-Ludovici 1974, pp. 139-184 ; Pallottino 1988, pp. 47-48.

228.

Per il frontespizio, cfr. Barberi 1969; Veneziani 1969; ad vocem, in MEB, pp. 274-78 ; per la sua evoluzione, cfr. M. Mc Fadden-Smith, The Title-page, its early development, 1460-1510, London, 2000. Per il Sansovino e l’influenza dei suoi modelli sul frontespizio veneziano, cfr. infra.

229.

Barbieri 1969, p. 85. Per le marche, cfr. Veneziani 1987 e 2000; ad vocem in MEB, pp. 429-32 ; come repertori, per quelle dei tipografi italiani del Cinquecento, cfr. F. Ascarelli-E. Vaccaro, Marche poco note di tipografi ed editori italiani del secolo XVI dalla raccolta della Biblioteca universitaria Alessandrina, in Miscellanea di studi in memoria di Anna Saitta Revignas, Firenze, 1978, pp. 29-52 ; G. Zappella, Contributo a una bibliografia sulle marche tipografiche italiane del secolo XVI, Avellino, 1982 ; Vaccaro 1983 ; Zappella 1986; per la Francia, cfr. Silvestre 1867.

230.

Esempi del primo caso : la sfera armillare per Jacopo della Spera, il porro per Pier Paolo Porro, lombardo attivo a Genova e a Torino (1509-16), la dea Bellona per Antonio Bellone, attivo a Genova (1533-73), la Fortuna per Venturino Ruffinelli di Mantova (1545-58) e Comin Ventura (Bergamo, 1578), dei martelli che battono su di un’incudine per Sebastiano Martellini (Macerata, 1571), il grifone per Giovanni Griffio (Venezia 1546-76), eccetera. La trascrizione fonica é caso meno facile e più raro : una colonna con sei ali é la marca di Francesco e Giacomo Sessali o Sezzali (Novara 1552-1600), un guerriero armato che regge una pelle scorticata con il motto “Victa decus pellis pariet” serve a Giovan Francesco pellipari (Vercelli 1596-92). S. Bernardino compare nlla marca dello Stagnino (Venezia 1501-1538), S. Niccolò per Niccolò Aristotile de Rossi, detto lo Zoppino (Ferrara e Venezia, 1504-1522), S. Giovanni Battista per Giovanni da Cerretano detto Tacuino. Per la marca del Valgrisi e il suo significato v. Appendice ???

231.

Cfr. Balsamo-Tinto 1967.

232.

Per i technopaegnia, cfr. Pozzi 1981, p. 104.

233.

Basate proprio sulla presenza di determinate iniziali figurate, sono le attribuzioni – al Valgrisi compreso - che Denis V. Rhodes ha proposto per alcune edizioni anonime veneziane. Il continuo passaggio e l’utilizzo comunitario di materiale tipografico da uno stampatore all’altro rende però questo metodo non del tutto affidabile, e certamente non l’unico su cui poter fondare l’attribuzione di un’edizione anonima, anche se purtroppo, molto spesso, l’unico a nostra disposizione. Cfr. Rhodes 1995 e la nota di lettura ai nostri Annali tipografici.

234.

Cfr. Donati 1967 ; Zappella 1987-89 ; Zappella 1988a; Petrucci Nardelli 1991 e 2000; per il corredo di iniziali parlanti del Valgrisi, cfr. Appendice .

235.

Cfr. infra.

236.

Cfr. Zappella 1988b. Per il noto esempio del ritratto dell’Ariosto, cfr. scheda 3. E’ interessante notare come l’interesse dimostrato dal Cinquecento per il ritratto finisca per dar vita ad un genere editoriale autonomo, come le biografie illustrate e le “gallerie” di ritratti, molto spesso in forma di medaglioni, per cui cfr. infra e scheda ???