III.2 - La tecnica xilografica e gli attori

Quelli del secondo terzo del secolo, sono gli anni in cui la xilografia raggiunge i confini ultimi del suo successo al servizio dell’illustrazione libraria, prima del suo progressivo eclissarsi davanti alla sempre più diffusa affermazione della calcografia.

All’inizio del Cinquecento, la tecnica xilografica aveva visto modificarsi, al suo stesso interno, tecnologia, tecnica e procedimenti: le nuove esigenze linguistiche che derivavano dalle esperienze grafiche dei grandi maestri nordici, Dürer in primis, non erano più conciliabili con i metodi d’intaglio tradizionali.

In uno strettissimo giro di anni, intorno ai primi del secolo, si verificò allora, nel modo d’intendere l’intaglio in legno, un passaggio radicale da una tecnica legata a prassi acquisite da tempo, anche se di volta in volta adeguate ai riferimenti grafici tracciati sul blocco di legno, a uno “stile” che implicava da parte dell’incisore un rispetto pressoché assoluto della formulazione figurativa. Ne conseguiva la necessità di affidarsi a maestranze di nuova e più moderna formazione, consapevoli ormai della funzione assunta dalla tecnica che esercitavano, presumibilmente riunite in botteghe, ciascuna con specifiche e particolari competenze, a ognuna delle quali era devoluto un compito ben specifico - dalla preparazione dei blocchi lignei, alla trasposizione del disegno, all’intaglio - e alla cui abilità era affidato il risultato finale dell’immagine stampata237.

Già sul crinale dei due secoli, l’incisione calcografica aveva iniziato ad offrire una valida alternativa nell’ambito della produzione seriale delle immagini238. Il cosiddetto “taglio dolce”, così denominato per le sue caratteristiche di finezza d’intaglio e di precisione nel disegno anche in formati assai ridotti - di molto superiori a quelle della xilografia, anche la più virtuosa - e soprattutto per la possibilità di sfumare ogni singolo segno, in modo da ottenere una pittoricità e una ricchezza tonale praticamente irraggiungibili con l’incisione su legno, era una tecnica più moderna, dai tempi di lavorazione più rapida, maggiore facilità nelle eventuali correzioni e, infine, minore deperibilità nel tempo delle matrici.

Per l’impressione dei rami, però, erano necessari torchi appositi : non era quindi più possibile procedere alla stampa delle immagini unitamente - e con lo stesso “colpo di barra” - a quella della composizione dei caratteri del testo : l’illustrazione finiva così per essere relegata in appositi spazi - le tavole “fuori testo”, appunto – stimolando contemporaneamente, come si é detto, la creazione del nuovo formato editoriale dell’album.

Sottraendo l’immagine al rapporto diretto e alla compenetrazione con il testo, l’imporsi della tecnica calcografica ne spezzava così per sempre l’armonia con la pagina tipografica. Veniva così dunque meno il naturale accordo, favorito fin dai primi decenni della stampa, tra la xilografia, lineare e in rilievo, e i caratteri: quel perfetto e fragile - quasi alchemico - equilibrio raggiunto dalla mise en page, “opera d’arte totale”, cui partecipavano il disegno dei tipi, le iniziali figurate, la bellezza delle illustrazioni, la qualità degli inchiostri e della carta, e il cui segreto era sostanzialmente riposto nella raffinata e calibrata affinità tra tutte queste diverse componenti.

L’unione tra xilografia e tipografia, infatti, si basa tecnicamente sul segno “in rilievo” comune ad entrambe, e poiché i caratteri tipografici hanno uno spessore che varia dai 20 ai 25 mm, tale spessore fu adottato pressoché costantemente anche per le xilografie, comprese quelle non destinate all’illustrazione dei libri ma all’impressione di fogli sciolti.

Il processo d’impressione si serve di matrici ottenute da essenze dalla grana compatta (noce nostrano, sorbo, melo e ciliegio selvatici, bosso e pero, il legno più pregiato per quanto riguarda la xilografia europea), di una giusta durezza e con le venature poco accentuate che, opportunamente trattate, permettono di incidere elaborazioni grafiche complesse e dal fine tratteggio.

Esse vengono intagliate nel senso longitudinale delle fibre - da qui il termine “legno di filo” che, essendo ricavato da alberi dal fusto di dimensioni modeste non offre tavole di grosse dimensioni - con vari tipi di coltellini e sgorbie239.

La preparazione dei blocchi era un’operazione estremamente delicata e importante per il risultato finale dell’intaglio, ed era dunque affidata, come si diceva, a maestranze specializzate. Le tavole dovevano infatti risultare accuratamente squadrate, di spessore uniforme e comunque proporzionale alle dimensioni della superficie da incidere. Quest’ultima doveva risultare perfettamente levigata ed omogenea poiché qualsiasi imperfezione del legno avrebbe compromesso la finezza dell’intaglio; gli eventuali difetti superficiali del legno, quali nodi o fenditure, presenti soprattutto sulle tavole di notevoli dimensioni, venivano risolti con dei tasselli che andavano a sostituire le porzioni in legno difettose.

Un altro accorgimento determinante per l’esito finale dell’incisione xilografica, era quello di coordinare l’andamento delle fibre del legno della tavola con il disegno da incidere: bisognava infatti aver cura di predisporre il filo del legno in modo che agevolasse l’uso degli strumenti durante l’esecuzione dell’intaglio.

Da una tavola incisa si potevano tirare migliaia di esemplari senza che essa si deteriorasse, ma essendo il legno facilmente soggetto a degradi di varia natura, sia biologica che climatica, e viste le condizioni, tutto sommato accettabili, nelle quali ci sono pervenute alcune matrici xilografiche del XV e del XVI secolo, é quindi da presumere che i blocchi, prima di essere incisi, fossero trattate in modo da tamponarne l’eventuale danneggiamento240. Non vi sono fonti dell’epoca che diano informazioni a riguardo, ma si può ipotizzare che venissero usati bagni prolungati di petrolio con successivo impregnamento superficiale del legno con olio di lino241.

La superficie da incidere doveva essere preparata anche per ricevere il disegno: sia che questo venisse “trasportato” sulla matrice, sia che vi fosse eseguito direttamente, era necessario trattare la superficie del legno per renderlo impermeabile, così che l’inchiostro usato dal disegnatore, a base di nero fumo e gomma arabica, non si spandesse. Questa operazione, detta “apprettatura”, era eseguita utilizzando della colla animale e rendeva anche più consistenza le fibre del supporto ligneo.

Negli anni che precedettero la rivoluzione dureriana il problema della definizione del disegno sul blocco di legno da intagliare appariva secondario, dal momento che gli xilografi eseguivano l’incisione secondo schemi e formule tradizionalmente acquisiti: qualsiasi elaborato grafico era ridotto ad una linea di contorno delle figure ed a una sintesi formale ottenuta con tratteggi paralleli, ritmicamente intervallati, lineari o curvilinei.

Le nuove esigenze stilistiche e il nuovo ruolo assunto dagli incisori fecero emergere la necessità di avere sul legno non una guida sommaria di riferimento bensì un disegno perfettamente elaborato nei contorni, nei tratteggi chiaroscurali e nelle variazioni di spessore dei segni242. Il problema era accentuato dal fatto che, se si riteneva necessario rispettare il verso originale della composizione grafica, il disegno doveva essere “trasportato” sulla tavola onde risultasse in controparte. Il disegnatore che non si fosse voluto avvalere del trasporto si sarebbe trovato nella condizione di dover elaborare l’opera grafica sul blocco ligneo direttamente in controparte: il che è impossibile anche per il più abile dei disegnatori, soprattutto quando il soggetto da delineare aveva dei vincoli precisi con il dato reale, come nel caso di rappresentazioni di vedute o piante di città, di animali o tavole anatomiche243.

Se invece ciò non era rilevante per l’esito finale dell’incisione, l’artista poteva disegnare direttamente, con la penna e l’inchiostro, sulla superficie della tavola. Non abbiamo notizie certe sui metodi di trasporto del disegno per le xilografie durante il Quattrocento e il Cinquecento, ma esse possono essere desunte da fonti più tarde.

Il Papillon, ad esempio, nel suo trattato sulla xilografia edito a Parigi nel 1766, indica un metodo presumibilmente del tutto simile a quello usato dagli xilografi fin dalla fine del Quattrocento, e, nella sostanza, affine a quello utilizzato dagli incisori in rame: per mezzo di un foglio di carta reso trasparente con la verniciatura, si eseguiva un decalco del disegno originale che veniva poi cosparso con della polvere di sanguigna o di grafite. Successivamente si poneva il disegno, con la parte al recto resa copiativa, sulla tavola di legno da intagliare – precedentemente preparata con un sottile strato di biacca – e si ricalcava la composizione con precisione ed accuratezza. Ora sul blocco ligneo, o su più blocchi, la composizione figurativa era presente in controparte, e al grafico non rimaneva che ripassare a penna e ad inchiostro le linee ricalcate caratterizzandole nello spessore e nelle sequenze ritmiche, qualità che dovevano poi essere scrupolosamente rispettate durante il lavoro d’intaglio244.

Un metodo diverso, che richiama il sistema usato, e tuttora in uso, presso gli intagliatori orientali, viene descritto dal Gandellini: con tale procedimento l’originale grafico veniva sacrificato, ma la fedeltà del trasporto era massima. Il disegno veniva eseguito con la penna e l’inchiostro su di un foglio di carta alquanto sottile, successivamente incollato sulla superficie della tavola da incidere, curando che la parte disegnata fosse in perfetto contatto con il legno, così che alla vista fosse presente il dorso bianco. A questo punto con una spugna o con i polpastrelli delle dita inumiditi si sfregava leggermente la carta fino a quando non si vedeva apparire il disegno sottostante245.

Una volta eseguito il disegno, iniziava il procedimento di incisione. Dai pochi strumenti derivati dall’ebanisteria, necessari per intagliare le sintesi figurative delle più antiche xilografie, si giunse, tra l’ultimo quarto del XV secolo e i primi decenni del successivo, ad una campionatura di attrezzi sempre più specifici, motivata dall’esigenza di rispettare e sostenere quella “calligrafia dinamica” fino a pochi anni prima impensabile per l’incisione su legno.

Il coltellino continuava ad essere lo strumento indispensabile per le operazioni di “taglio” e “controtaglio”. Questo procedimento consisteva nel tagliare il bordo del segno da risparmiare, seguendone scrupolosamente il profilo, e, successivamente, eseguire un controtaglio, angolato rispetto al primo, in modo da far saltare la porzione di legno presenta tra un segno e l’altro. L’operazione si eseguiva su tutti i segni, in modo che questi risultavano in rilievo rispetto agli interspazi bianchi, ottenendo così sequenze lineari con andamento rettilineo o curvilineo.

Teoricamente, identico risultato si sarebbe potuto ottenere con lo scalpello “a vela” o a “piede di capretto”, che con un solo taglio elimina la porzione di legno tra un segno e l’altro, con risparmio di tempo e di fatica. Nella realtà l’uso di tali strumenti era destinato ad intagli sommari dato che non permettevano, a differenza della sottile e affilatissima lama del coltellino, un preciso rispetto del profilo del segno tracciato dal disegnatore. Le minuscole sgorbie di diverse forme (spesso forgiate appositamente per il tipo di effetto grafico da ottenere) erano necessarie per dare vibrazione alle linee isolate, quali per esempio i ciuffi dei capelli, le ali o le creste delle nuvole, o per eliminare piccole porzioni di legno racchiuse tra i profili grafici delle figurazioni.

Gli scalpelli piatti e “a doccia” erano invece utilizzati per ricavare larghi spazi bianchi. Ma forse lo strumento che più si associò al nuovo procedimento di intaglio fu la “lancetta”: molto simile al coltellino, da cui si differenzia per il tipo di punta, essa era infatti composta da una piccola lama di acciaio inserita in un manico di legno: ma, mentre il coltellino terminava con la lama affilata solo da un lato, la lancetta terminava a forma di cuneo ed era affilata su entrambe i lati. Il suo utilizzo era fondamentale laddove le linee modellanti delle figure si incrociavano per ottenere toni di scuro più carichi e segni sovrapposti intesi ad ampliare la gamma tonale delle figurazioni: con quattro colpi affondati, con lo strumento inclinato verso l’esterno del bordo del segno, sui quattro minuscoli lati della porzione di legno da far saltare, si iniziava un lavoro che doveva ripetersi tante volte quanti erano gli interspazi presenti tra i segni incrociati.

Visto il supporto, che se non viene trattato con utensili affilatissimi tende a sfaldarsi, è molto difficile apportare correzioni o modificazioni sulla matrice lignea: è possibile, al limite, ridurre una superficie “piena”, ma non si può integrare una parte mancante, se non, come si diceva, con l’aggiunta di un tassello che però rimane quanto mai visibile al momento dell’impressione.

Il nuovo modo di intendere l’incisione xilografica, dunque, non lasciava spazio alcuno all’improvvisazione. Tutto era funzionale alla precisione con la quale doveva essere rispettata l’invenzione figurativa, tutto era frutto di una progettualità precisa, in tutti i passaggi: dal disegno al suo trasferimento sulla tavola, dalla scelta del legno alla sua preparazione, alla forgiatura degli utensili, all’incisione.

La successiva inchiostratura veniva eseguita servendosi di un tampone o di un rullo passato sulla matrice dopo aver raccolto l’inchiostro tipografico steso precedentemente su di un cristallo, una lastra di marmo o di zinco. La densità dell’inchiostro risulterà uniforme, dal momento che tutte le parti “a risparmio”, si trovano sullo stesso piano, con la conseguenza di produrre, all’atto dell’impressione, un’immagine sviluppata in superficie. Proprio alla metà del secolo, con l’imporsi dell’estetica manierista nello stile delle illustrazioni, l’impiego di inchiostri ottenuti da miscelature particolari poteva apportare ffetti di grande preziosità.

In ultimo, si operava la stampa grazie ad una pressa piatta e parallela dove matrice e foglio giacciono su due superfici piane che vengono spinte l’una contro l’altra.

Illustrare un libro necessitava dunque, in generale, la collaborazione di almeno cinque profili professionali differenti: il disegnatore, che si può considerare il vero e proprio artista, il traduttore del disegno sul legno, l’incisore, il tipografo e l’editore e - soprattutto nel caso di immagini atte a completare il potenziale comunicativo del testo - lo stesso autore del libro, chiamato sempre più spesso a sovrintendere e sorvegliare da vicino le varie fasi della realizzazione dell’ “illustrazione” del suo pensiero246.

Quanto si debba all’una o all’altra di queste figure nella scelta di tale o talaltra immagine, di una tecnica piuttosto che un’altra, del grado di qualità, del numero, della taglia e della disposizione delle illustrazioni, purtroppo, salvo che per le edizioni di lusso, o per casi particolari menzionati in documenti notarili, non si può dire nulla di preciso247.

Fino a che prevalse l’uso della xilografia e il libro fu ancora del tutto concepito all’interno della bottega tipografica, lo stampatore sembra aver avuto una forte responsabilità decisionale, e in tutti i casi era lui che si occupava della commissione delle matrici e della disposizione del testo sulla pagina. Con l’affermarsi dell’incisione su rame, quando nella fabbricazione dell’oggetto-libro cessa l’omogeneità e si stabilisce una profonda frattura fra il testo e l’illustrazione, è soprattutto il libraio o comunque il futuro commercializzatore del prodotto, ad imporre le sue scelte.

Già con la xilografia, queste ultime erano pur sempre legate a considerazioni finanziarie e, ovviamente, alla ricerca del massimo guadagno in cambio del minimo investimento: ne derivava, in linea generale, la frequenza dei reimpieghi o la copiatura da parte di apprendisti di legni preesistenti o stranieri, a testimoniare molto più scelte di tipo economico che, come spesso si è affermato, un perdurare del gusto.

É proprio durante il secondo terzo del Cinquecento, che l’illustrazione assunse un ruolo sempre più importante come elemento nobilitante del prodotto editoriale e, di conseguenza, i grandi librai-stampatori dell’epoca, dedicarono alla sua qualità e novità molta più attenzione di prima, e conseguentemente, un maggiore investimento finanziario. Il rivolgersi ad artisti veri e propri restò tuttavia un fatto eccezionale fino a tutto il XVII secolo, e, nei rari casi, essi incidevano assai raramente i loro disegni: i più abili lo tracciano direttamente sul blocco di legno che veniva poi inciso dall’artigiano incisore. Spesso l’artista non disegnava direttamente neanche sul legno, ma su di un foglio di carta e su scala ben più vasta della futura vignetta: era l’incisore, o più frequentemente un disegnatore “riduttore” a ridurre, appunto, l’originale e a trasporlo su legno. A questo punto, era forte la tentazione di reinterpretarlo e d’introdurvi la propria maniera: più spesso infatti si può osservare molta più differenza tra i disegni di uno stesso artista incisi da mani differenti, rispetto a disegni di artisti indifferenti incisi da una stessa mano !

Per la stragrande maggioranza dei casi, dunque, gli incisori e i disegnatori che hanno lavorato all’illustrazione dei figurati sono rimasti anonimi e lo rimarranno per sempre: innumerevoli legni cinquecenteschi non sono “firmati” che da un monogramma o da una figura emblematica, di cui non si potrà mai sapere se si tratta di una firma dell’artista o dell’incisore, di una marca di bottega o di proprietà, dell’indicazione della tiratura o della fabbricazione.

In queste condizioni è chiaramente difficile studiare l’evoluzione degli stili, l’influenza delle scuole, determinare il tasso d’innovazione di un determinato artista: sono spesso solo le influenze straniere e gli episodi “di rottura” o di puntuale originalità a risultare i più evidenti.

La perfezione tipografica, l’armonia della struttura della pagina, l’evoluzione e il perfezionamento della tecnica xilografica e l’eleganza dell’illustrazione, concorrono dunque a fare del secondo terzo del XVI secolo l’apogeo del libro figurato.

Un libro che sempre più aspira, ed é chiamato, a veicolare, reificare e dunque, rappresentare, lo scibile umano, sia esso quello del Macrocosmo universale - tanto trascendente quanto immanente - che del microcosmo, tanto fisico che mentale.

Notes
237.

Per la xilografia, dal punto di vista della tecnica e della sua evoluzione, cfr. Papillon 1766 ; Firmin-Didot 1863 ; Hind 1935; Servolini 1935 ; Giubbini-Parma 1973 ; Passerini 1991 ; Massari-Negri Arnoldi 1998, pp. 17-23, con bibliografia ; Trassari Filippetto 1999 ; Xilografia 2001, con bibliografia.

238.

Per la calcografia, cfr. Giubbini-Parma 1973 ; Massari-Negri Arnoldi 1998, pp. 25-33, con bibliografia.

239.

Il legno “di testa” è invece legato alla nuova fase di espansione che la xilografia visse alla fine del Settecento, quando si iniziò ad utilizzare un nuovo tipo di matrice formato da tasselli di legno, di solito bosso di Turchia, tagliato trasversalmente alla fibra, e dunque più duro e compatto di quello “di filo”, che veniva inciso con il bulino, strumento usato principalmente per l’incisione su metallo, con risultati, appunto, affini alla calcografia. Le matrici di legno di testa presentavano inoltre la caratteristica di non essere limitate nelle dimensioni, come invece quelle di filo larghe al massimo quanto il diametro del tronco d’albero, e che necessitavano dunque incastri “a farfalla” per ottenere così tavole di più grandi dimensioni.

240.

Ad esempio, i legni di Bernard Salomon del Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra, per cui cfr. Sharrat 2005, pp. 62-63; la serie di matrici xilografiche a soggetto biblico (copiate da quelle realizzate da Bernard Salomon per Jean de Tournes) conservate al Musée de l’Imprimerie di Lione, che servirono ad illustrare diverse edizioni uscite dai torchi dei Giunta, di Philippe Tinghi e le Figures de la Bible e la Saincte Bible che B. Honorat e E. Michel pubblicarono rispettivamente nel 1582 e 1585, per cui cfr: Audin 1967; 1969; 1980; Cfr. anche Legni incisi 1986; M. Goldoni, Un legno di Francesco Marcolini da Forlì e altri veneziani nella Raccolta Bertarelli, in Raccolta delle Stampe A. Bertarelli, Raccolte di Arte Applicata, Museo degli Strumenti Musicali, Milano, 1995; E. Šefčáková, Brevi note sulla collezione di matrici silografiche del Museo Nazionale Slovacco, “La Bibliofilia”, CIV/3 (2002), pp. 267-81. Altre collezioni di matrici lignee sono conservate a Londra, British Museum (tra cui alcune di Dürer), a Basilea (cfr. nota 16), Anversa, Museo Plantin-Moretus.

241.

Trassari Filippetto 1999, p. 55.

242.

Al Musée de l’Imprimerie di Lione, alcune delle matrici conservate non sono state intagliate e presentano ancora il disegno originale che é infatti estremamente dettagliato e preciso. Al museo di Basilea sono conservate più di cento matrici lignee, per di più illese, su disegno del giovane Dürer e databili agli anni ’90 del Quattrocento. Cfr. Dreyer 1980, p. 506.

243.

Cfr. Chatelain – Pinon 2000, p. 258-59. Talvolta, é proprio in base agli errori che derivano da una maldestra ricopiatura, e quindi inversione delle immagini, che è spesso possibile ricostruire le varie filiazioni iconografiche delle illustrazioni.

244.

Papillon 1766

245.

G.G. Gandellini, Notizie istoriche degli intagliatori, Siena, 1808-12, 10 voll.

246.

Per esempio nel caso del Fuchs e dell’Aldovrandi.

247.

Cfr. Pastoureau, 1982, p. 509.