III.3 - (Nuovi) statuti e funzioni dell’illustrazione

Nella cultura cinquecentesca, le funzioni attribuite all’illustrazione sono fondalmentalmente ancora integrate nel quadro di una forma mentis fortemente strutturata attorno a dei topoi.

A voler semplificare, i due grandi poli tra cui oscilla lo statuto dell’illustrazione cinquecentesca possono essere identificati, da un lato, nella legittimità dell’immagine interamente fondata su categorie ereditate dalla retorica, tradizionalmente chiamata ad istruire (docere), procurare piacere estetico (delectare) e suscitare emozione (movere); dall’altro, nella presenza giustificata dalla capacità di rendere visibili – o meglio, ad illustrare strictu sensu - i risultati dell’osservazione attenta e diretta di una realtà non discorsiva248.

Da una parte, dunque, la retorica, e con essa tutta la “psicologia” – intesa nel senso antico del termine, come “scienza dell’anima” – che vi si riferisce: l’immagine é infatti investita di alcune delle facoltà attribuite all’anima dalla tradizione aristotelica, quali la memoria, l’immaginazione e la capacità di comprensione. Dall’altra, uno statuto dell’immagine che non trae giustificazione dall’integrazione del suo oggetto nella regolarità metafisica della psicologia aristotelica, ma lo assegna, al contrario, all’infinita diversità del mondo sublunare, soprattutto in un’epoca che si rivolge con entusiasmo e curiosità verso l’investigazione e l’osservazione della particolarità che governa e ordina il mondo terrestre, nella sempre maggiore consapevolezza di una realtà irriducibilmente segnata dalla diversità e dal gioco infinito della differenza. Il raro, il curioso e, più generalmente, il diverso e il particolare, il singolare in tutte le sue accezioni, é fatto cosò oggetto di una sempre più puntuale attenzione, e l’immagine, di conseguenza, ne diviene uno dei veicoli privilegiati.

Se l’idea dell’immagine come strumento didattico rivolto soprattutto agl’illetterati risale alla tarda Antichità, il ruolo positivo delle immagini si precisa e si afferma solo man mano che ci si addentra nel corso del Cinquecento, quando la stampa conquista forme e strutture proprie249.

E’ proprio intorno agl’anni trenta e quaranta del secolo, infatti, che si cominciano a cogliere nelle prefazioni - soprattutto di opere a carattere scientifico - le testimonianze del nuovo statuto conquistato dall’immagine rispetto al modello antico del sapere e della sua costituzione, dove la vista era spesso e volentieri svalutata a vantaggio dell’udito, organo paradigmatico della trasmissione dei testi, e dunque strumento privilegiato dell’acquisizione della conoscenza, fino a che essa rimase appunto subordinata alla garanzia di un sistema di autorità250.

Ne sono prova, ad esempio, le parole con cui Fuchs, nella prefazione all’edizione della sua De historia stirpium del 1542, attacca duramente Galeno, che si opponeva alla raffigurazione delle piante:

‘Quis quaeso sanae mentis picturam contemneret, quam costat res multo clarius esprimere, quam verbis ullis, etiam eloquentissimorum delineari queant ?251

O quelle di Pierre Belon, autore di opere di zoologia, per il quale

‘Les demonstrations par figures, et la peinture des choses escriptes, peuvent contener l’œil de la chose absente, quasi comme si elle était présente252

Per informare il lettore l’immagine diventa dunque uno strumento più efficace e rapido rispetto al testo: dal primo “slittamento” dall’idea della “Bibbia degli analfabeti” alla nozione dell’immagine come strumento didattico per gl’illetterati, segue un ulteriore sviluppo concettuale, in cui é l’idea stessa di “istruzione” ad essere approfondita e rimodellata, per arrivare a definire, contemporaneamente, tanto la pura trasmissione del sapere, quanto la modalità stessa del suo formarsi.

É il naturale esito della relazione stabilita da sant’Agostino tra “pictura” e “litterae” : le figurazioni suscitano apprezzamento immediato - “picturam cum videris hoc est totum vidisse” - le lettere che formano e comunicano le parole devono invece essere con fatica decifrate per apprezzarne il significato.

L’immagine non si sostituisce certo al reale, ma diventa supporto per il processo conoscitivo nella misura in cui incita all’osservazione diretta e il suo impiego si giustifica, dunque, in nome della sua facoltà a porsi senza soluzione di continuità rispetto all’esperienza, e non in concorrenza con essa.

Significative, in questo senso, le parole di Vesalio, che dedicando il suo rivoluzionario trattato a Carlo V, osserva:

‘“Verum hic quorundam iudicium mihi succurrit, qui non duntaxat herbarum, sed et humeni corporis partium quantumvis etiam exquisitissimas delineationes, rerum naturalium studiosis proponi, acriter damnant: quod has non picturis, verum sedula resectione, rerumque ipsarum intuitu disci oporteat, perinde sane ac si hoc nomine verissimas, ac utinam a typographis nunquam depravandas partium icones sermonis contextui adhibuissem, ut studiosi illis freti, a cadaverum sectione temperarent; et non iis potius, quibus possem modis medicinae candidatos ad confectiones propriis manibus obeundas, cum Galeno hortarer”253.’

Nella formazione del sapere, insomma, l’immagine ha ora un rango che, sebbene ancora subalterno o propedeutico, é certamente legittimo.

Il topos che riguarda l’immagine come suscitatrice di emozioni, si ricollega al concetto della pittura intesa come “muta eloquenza” (la pittura che “parla” all’occhio).

L’arte che San Tomaso, riferendosi a un passo del folgorante Dionigi, definiva “scientia collativa” , cioé scienza dell’unità di parola e dell’immagine, ha proprio eccezionale evidenza nel prodigioso incontro di testi e di figurazioni. É il riflesso e la realizzazione del famoso aforisma di Simonide per cui la pittura é poesia muta e la poesia pittura parlante, delle affermazioni analoghe nelle poetiche di Aristotele e di Orazio – “ut pictura poesis” - basate soprattutto sulla teoria della imitazione, e del celebre legame etimologico stabilito fra “εîδος” (idea) e “είδωλον” (immagine : e del resto anche “poema loquens pictura, pictura tacitum poema debet esse254).

Come la parola, ma con un’intensità certamente superiore, l’immagine ha la capacità di movere, di incidere una traccia indelebile nella “tavola dei nostri affetti”: è in ciò consiste la sua eloquenza. Proprio per questa sua virtù di segnare profondamente la sensibilità del lettore, l’illustrazione viene considerata come uno strumento particolarmente efficace nello sforzo di memorizzazione.

La fiducia riposta nel doppio potere che l’immagine avrebbe - di emozionare lo spirito e di segnare la memoria - è un fattore centrale per comprendere determinati sviluppi delle forme del libro figurato a partire dal secondo terzo del XVI secolo, ed in particolare di tutta la produzione di opere pubblicate con il titolo latino di Icones (nell’equivalente italiano di Figure – si pensi alle valgrisine Simolachri, historie, e figure de la morte - o francese di Tableaux, Quadrins o Figures)e di quella dei libri di emblematica, il cui genere cominciò a fiorire proprio dalla fine degli anni ‘30 del Cinquecento255.

Nella dedica dei suoi Quadrins historiques de la Bible, una serie di figure relative ai principali episodi della Genesi e dell’Esodo, Claude Paradin espone dettagliatamente le intenzioni che lo hanno spinto alla composizione della sua opera:

‘“Ceux qui ont assiz bon jugement sus toutes choses ont escrit la peinture et la poësie avoir telle contraction et contrectation d’affinité ensemble, qu’ilz disent la peinture estre muette poësie; et aussi la poësie estre peinture parlante. L’une est le corps, et l’autre est l’âme. Et à la verité l’une et l’autre ont quasi un mesme effect et proprieté. Attendu que toutes deux resjouissent, repaissent, consolent, et animent l’esperit à choses vertueuses: et d’avantage peuvent esmouvoir les passions et affections avec si grande vehemence, qu’il est impossible de pouvoir trouver plus ardans et affectionnez aguillons que ceux qui incitent à la mort. Laquelle a esté causée à plusieurs tant par la peinture que par la poësie. […] Donques, pour l’importance des saintes histoires, qui est si grande qu’il ne doivent estre ignorées de personnes: nous avons choisi certeins adminicules de peinture, accompagnez de quadrins poëtiques, sortis du livre de Genese, pour graver en la table des affections l’amour des sacrées histoires, à celle fin que un chacun fust induit à l’amour de ce seul et unique necessaire, qui est la sainte parole de Dieu”256

Queste affermazioni riguardo la potenza emozionale delle immagini sono ribadite da quelle dell’editore della raccolta, il libraio umanista Jean de Tournes, che, da parte sua, insiste sulla funzione mnemonica di queste stesse immagini, invitando il lettore a “tapisser les chambres de [sa] mémoire des figures” affiancate alle quartine di Paradin257.

Ed ecco enucleati i due argomenti fondamentali del discorso umanista sull’immagine, la cui applicazione non è esclusiva ai soli testi sacri o di morale religiosa: secondo i canoni tradizionali dell’interpretazione allegorica, infatti, anche le immagini del mito, parte integrante della memoria culturale dell’epoca, potevano rivestire i panni delle passioni e tradurle in immagini. Il fenomeno però, aveva finito per riguardare anche letteratura molto più recente e praticamente contemporanea alla sua stessa rilettura: nello stesso tempo in cui si eseguono raccolte di “riduzioni” dei testi biblici o delle danze macabre, si sottopongono allora allo stesso trattamento testi profani, soprattutto classici, come le Metamorfosi di Ovidio, le Favole di Esopo, i testi omerici, l’Asino d’oro di Apuleio, ma anche moderni, come si avrà occasione di vedere con l’Orlando furioso dell’Ariosto258.

L’allegoria ha, d’altronde, soprattutto un valore morale e, seguendo uno schema di origine medievale, un poema poteva diventare una sorta di specchio universale, o meglio una specie di teatrino allegorico in cui i personaggi, le vicende e le ambientazioni scorrevano davanti allo sguardo del lettore per bloccarsi d’improvviso e fissarsi in una scena carica di insegnamento etico, trasformandosi così, appunto, in immagini allegoriche. Ciò si spiega in larga parte in base alla chiave interpretativa attraverso cui veniva letto il testo cui si riconosceva una qualità “psicagogica”: esso, cioè, non sarebbe (solo) il prodotto di una semplice fantasia letteraria ma (anche) un velo, uno schermo dietro al quale si dissimulerebbe una più profonda verità morale o religiosa. L’historia richiedeva dunque una lettura seria ed attenta, finalizzata a svelare questo contenuto “altro”, da cui l’importanza delle edizioni illustrate di questo genere di testi, contemporaneamente “teatri” della Verità e della Memoria259.

Va da sé, infatti, che doppia sarebbe stata l’efficacia della dimostrazione quando, oltre che sul testo, si fosse già potuto far affidamento sulla sua traduzione iconografica. Nulla infatti potrebbe mai essere più efficace, per fissare nello spirito la chiara e nitida visione dei concetti, che l’unione tra la pittura e la poesia: ciò che la penna del poeta non arriverà a descrivere con sufficiente precisione, sarà compito del pennello del pittore rappresentarlo. Polimorfiche e polisemiche, queste immagini “emblematiche”, nel senso proprio - nel caso della smisurata produzione di emblemi ed imprese - e in quello più vasto del termine, diventano sempre più codificate e, per essere comprese, necessitano di essere lette attraverso un certo numero di “griglie” interpretative la cui conoscenza risultava complessa quando non esoterica, senza gli adeguati paratesti di supporto, ovvero commenti, allegorie ed “esposizioni”.

Merita soffermarsi un po’ più lungamente su questo rapporto tra immagine e mnemotecnica nel corso del Cinquecento, dal momento che esso non solo influenza profondamente il processo di traduzione delle parole in immagini, ma permette di istituire dei parallelismi tra le tecniche di composizione letteraria e quelle della creazione artistica concernenti entrambe l’analisi dei “figurati”260.

Libri illustrati e mnemotecnica erano associati soprattutto in ambito religioso, e molti sono i passi di predicatori e teorici che consigliano di ricorrere alle Bibbie illustrate ed altri libri devoti per formare i riferimenti iconografici necessari per ricordare.

Nel Gazophylacium artis memoriae del belga Lambert Schenkel, ad esempio, si raccomanda di ripassare spesso, mentalmente, l’insieme dei “luoghi” e delle immagini, e per far ciò, non è necessario molto tempo

‘“Nam si oculis externis una hora percolare et ripetere possumus tota Biblia imaginibus espressa materialibus, tam cito enim atque folia vertimus, uno intuito videmus quid in iis agatur, si videlicet omnia ante nobis cognita sint, ut debent quae per artem locis affiximus: quanto magis mentis oculis, qui multo citius operantur”261

Ma anche in ambito profano, anzi, propriamente artistico, il Dolce, nel suo trattato sulla mnemotecnica, avvertiva che oltre alle immagini dei pittori era il libro illustrato a poter fornire comodamente modelli e materiali per le immagini della memoria:

‘“Chi volesse ricordarsi della favola di Europa, potrebbe valersi dell’esempio della pittura di Titiano, ed altretanto di Adone, e di qual si voglia altra favolosa istoria, profana o sacra, eleggendo specialmente quelle figure che dilettano e sogliono la memoria eccitare. A che sono di utile i libri con figure, come per lo piú hoggidí si sogliono stampare, nella guisa che si possono vedere nella maggior parte di quelli che escono dalle stampe dell’accuratissimo Giolito”262

Paradossale equilibrio fra arte della memoria e arte della stampa : una collaborazione fra un’antica esperienza e una moderna tecnologia che l’avrebbe a poco a poco svuotata di senso263.

Appare allora chiaro come la mnemotecnica sia dunque necessariamente legata al principio creativo dell’imitazione, del reperimento dei modelli di riferimento su cui fondare una nuova “immagine”, tanto letteraria che figurativa. Questo tipo di lettura tendeva infatti a trasformare il testo di partenza in una serie di luoghi topici, frazionandolo cioè in frammenti testuali, che, come visti attraverso una lente, diventano modelli per una riscrittura, sia essa letteraria che figurativa.

Senza approfondire un tema talmente complesso ed articolato che richiederebbe uno spazio e una riflessione ben maggiori rispetto a quelli che è qui possibile dedicargli, basti ricordare come il codice classicista, che nel corso del Cinquecento regolava tanto la scrittura quanto l’arte, si basasse essenzialmente sul concetto di imitazione264.

Dal tema dell’imitazione di un unico o più modelli, a quello dell’antico, dall’imitazione icastica a quella fantastica, da quella della Natura a quella dell’Idea, e via dicendo, quest’idea pervade e ispira tutto il secolo, diventando ancor più centrale nel momento in cui la Controriforma, in certo senso, annullerà la varietà tematica, riducendo a regole fisse le possibilità di rappresentazione. Allora i modelli, che ben presto diverranno canoni, giustificati dall’autorità del Concilio, verranno imposti senza possibilità di variazione all’autore di historie, sia esso scrittore o pittore, finendo contemporaneamente per costituire una sorta di scala gerarchica di topoi.

Se scrivere (e dipingere, scolpire o disegnare) vuol dire imitare (e dunque, variare) un modello, tale processo chiama in causa non solo la memoria ma anche l’interpretazione: l’“invenzione” di una nuova opera richiede la mobilitazione di un patrimonio mnemonico che comprende contemporaneamente parole ed immagini e sarà proprio il gioco ermeneutico che permetterà di tradurre le une nelle altre, arricchendo e variando i rispettivi “depositi” topici: si tratta, in fondo, una grande operazione retorica che, utilizzando l’intera gamma dei molteplici e assai sofisticati strumenti espressivi creati e raccolti durante tutto l’arco del secolo, privilegia l’actio e la memoria attraverso cui si sviluppa la variazione. Quest’ultima è poi applicata ad un’immagine (sempre intesa nella sua doppia accezione,letteraria e figurativa) precedente, consolidata nel tempo, sedimentata e diffusa tanto da divenire patrimonio comune e facilmente riconoscibile.E la mnemotecnica è ancora lo strumento di reperimento in questa sorta di “scatola nera” culturale265.

Dall’imitazione alla riscrittura il passo è breve, e mai come nel Cinquecento questo fenomeno ha investito l’intera struttura del libro, dal testo alle immagini, alla relazione e al collegamento fra tutte le parti che lo compongono266. Il libro figurato è infatti luogo ove la presenza contemporanea di due linguaggi in relazione fra loro, consente, e in qualche modo favorisce, oltre che episodi di traduzione anche, appunto, di riscrittura, sia letteraria che per immagini267.

Il legame pittura-libro, scrittore-pittore è d’altronde un tema ricorrente in tutta la letteratura artistica del XVI secolo: se Romano Alberti ne indicava ragioni anche etimologiche

‘“Di modo che non senza cagione fu dalli Greci la pittura detta Zografia, cioè viva scrittura”268

il Paleotti ne sottolineva le somiglianze:

‘“Trattandosi ora delle immagini, ci pare opportuno di considerare insieme alcune cose della conformità che tengono coi libri, poi che veggiamo che gli autori sacri et i gentili, parlando delle immagini, non solo le accoppiano spesse volte coi libri, assomigliandoli insieme, ma ancor il nome dato da’ Greci allo scrittore che è grafeus, l’hanno attribuito parimenti al pittore, et il nome grafé alla scrittura et alla pittura, e la voce grafis, ovvero grafeion, secondo alcuni, così alla penna o altro istrumento con che si scrive, come al pennello con che si dipinge: talché sono state chiamate le imagini stesse ora libri mutoli, ora scrittura popolare”269.’

Sarà proprio in base a queste equivalenze che l’indice delle immagini proibite si affiancherà a quello dei libri, conseguenza delle prescrizioni - in verità piuttosto generiche e superficiali - del Concilio di Trento. Più in là, infatti, Paleotti aveva aggiunto:

‘“Et allo incontro quello che dalle leggi è proibito che non si ponga in scrittura, parimenti non sarà lecito ad essere espresso da uno pittore; poiché come più volta di sopra abbiamo detto secondo l’autorità dei santi dottori, non è altro la pittura, che certa sorte di libro muto e taciturno”270.’

Il riferirsi a modelli preesistenti, codificati, è dunque pratica comune, sia nella vita civile – si pensi al proliferare del genere trattatistico, che “disciplina” quasi ogni aspetto della vita pubblica come privata, dell’otium come del negotium - che in quella spirituale e a questi, costante parametro divulgato dalla precettistica, bisogna rifarsi per evitare di cadere in errore, concetto che pervade tutto il Cinquecento, tanto artistico, che letterario che, di conseguenza, editoriale. Secolo di canoni ed auctoritas, di stabilirsi di ne varietur, di classicismo e normalizzazione ma anche, al contrario di grande attrazione verso il “deragliamento” manierista dalla regola. Anche chi tali modelli sia intenzionato a superarli e ad uscire dai limiti impostigli, sarà infatti comunque obbligato a farvi riferimento, a riconoscerne la presenza e la funzione.

Proprio in una cultura come quella cinquecentesca, in cui forte è la tendenza al sincretismo, e in cui, come si é visto, la pratica dell’allegoria può nutrirsi indifferentemente della tradizionale esegesi biblica come delle teorie neoplatoniche ed ermetiche sulla “sapienza riposta”, su quel contenuto di Verità e Sapienza che sarebbe contenuto nei miti e nella poesia, si arriva così a costituire un patrimonio unitario, una specie di grande galleria di immagini, capaci di condensare in sé diversi significati, e quindi di esprimerli, e nello stesso tempo di riattivarli, in forme diverse, sia nella memoria, nel testo che nelle figurazioni271.

Qualunque volume illustrato le cui illustrazioni siano concepite secondo il principio del simbolo e dell’allegoria, dunque, diventa a sua volta una raccolta di modelli, una sorta di libro di emblemi o di manuale iconologico nel quale autori ed artisti possono di nuovo attingere a seconda del bisogno272.

Nel corso del secolo, dunque, la mnemotecnica gioca un ruolo importante nelle pratiche e nelle esperienze in cui si traducono le parole in immagini e le immagini in parole. E questa circolarità, questa sorta di permeabilità e continua osmosi tra i due codici, non é che l’immagine speculare della natura composita delle fonti. Rapporto circolare che, in numerosi trattati cinquecenteschi, si ripropone fra queste ultime e i destinatari, nel senso che, se da un lato si attinge a testimonianze insieme figurative e letterarie, dall’altro si indicano ugualmente gli artisti e gli scrittori tra coloro che potranno trarre utilità da questo tipo di testi.

Francesco Marcolini, infatti, parlando delle Imagini de gli Dei de gli Antichi, che appariranno corredate d’illustrazioni proprio nell’edizione Valgrisi, osservava:

‘“La qual cosa oltre che ad ognuno sarà dilettevole da leggere, sarà molto utile anchora a chi si piglia piacere di conoscere le antichità : et per giovare non poco alli Dipintori, et a gli Scultori, dando loro argomento di mille belle inventioni da potere adornare le loro Statoe, e le dipinte tavole. E forse anchora che i Poeti et i dicitori di prose ne trarranno giovamento. Perche quelli, e questi hanno bisogno spesso di descrivere qualcuno de i Dei degli antichi, e di raccontare tutti i suoi ornamenti. Laqual cosa faranno piu agevolmente assai, ogni volta che se ne veggano qualche disegno davanti à gli occhi. Potiamo dunque senza dubbio alcuno dire, che’l Cartari con questo suo Libro a molti habbia giovato [...] E gioverà molto anchora alla cognitione di molti riversi delle medaglie antiche”273

E nelle parole del suo autore, l’Iconologia, é necessaria

‘“ad oratori, predicatori, poeti, formatori d’emblemi e d’imprese, scultori, pittori, disegnatori, rappresentatori, architetti e divisatori d’apparati, per figurare con i suoi propri simboli tutto quello che può cadere in pensiero umano”274

e dunque si indirizza sia a chi opera con le parole, sia a chi pratica le arti, sia, soprattutto, a chi costruisce prodotti in cui parole ed immagini interagiscono. Le tecniche dell’imitazione letteraria ed artistica e quelle della mnemotecnica si rivelano allora molto simili.

A questo proposito chiare e pragmatiche risultano le osservazione di Lodovico Dolce sul fatto che pittori e poeti sono enormemente facilitati, e già ben disposti, nella pratica dell’arte della memoria:

‘“Ciascun buon poeta e pittore con più agevolezza si potrà servire dell’ufficio di quest’arte per la prontezza ch’egli havrà di formar così fatte imagini per cagione di memoria”275

L’attenzione per la costruzione delle immagini porta così al delinearsi di una vasta serie di tipologie che tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento confluiranno in un ricco repertorio iconologico dai soggetti più svariati (iconografia sacra, mitologica, tipi umani, concetti astratti, vizi e virtù ecc.) che vanterà talvolta imprese enciclopediche: l’arte della memoria, dunque, se da un lato ricicla a proprio uso e consumo il patrimonio letterario e figurativo, dall’altro si fa tramite fra i due codici espressivi permettendo a parole ed immagini di tradursi le une nelle altre.

Ma, come si diceva, l’immagine può essere chiamata ad apportare maggiore chiarezza al testo - ad “illustrarlo” appunto – restando nei confronti di esso, se non subordinata, certamente complementare: é il caso in cui essa assume un ruolo per così dire documentario, entrando a far parte, con pieno diritto, dell’apparato critico del testo e dell’insieme di quei dispositivi editoriali che ne possano facilitare la comprensione.

Al di là della tradizionale illustrazione del testo letterario o religioso, infatti, in questo secondo terzo del Cinquecento, e in relazione all’affinarsi delle tecniche incisorie, esplode il fenomeno del libro illustrato tout court, cui é strettamente legata, all’incirca verso la metà del secolo, la nascita del libro scientifico moderno, nell’ambizione di farne il luogo di una rappresentazione completa ed esaustiva del presente come del passato: del macrocosmo dei naturalia, del microcosmo umano, degli artificialia da lui creati - universi tutti in continua dilatazione - da un lato; delle discipline storiche e antiquarie, dall’altro.

In questo genere di testi le immagini forniscono, in effetti, delle informazioni che, in principio, dovrebbero completare e corroborare quelle del testo: offrendo agli occhi del lettore ciò di cui si parla, esse si sostituiscono in qualche modo all’oggetto assente. I rapporti tra lo scritto e le sue illustrazioni, però, non si lasciano sempre costringere in uno schema così semplice, oscillando costantemente, nella realtà, tra complementarietà e rivalità, dalla riduzione al minimo indispensabile, fino ad una possibile completa emancipazione dell’immagine nei confronti del testo

Trattati di botanica, zoologia, storia naturale, astrologia e geografia, descrivono così ora in figure sempre più aderenti al vero i regni vegetale e animale, il cielo e la terra conosciuta, mentre ricerche erudite completate da sontuosi apparati iconografici sono dedicate all’anatomia, alla chirurgia come all’architettura, alle antichità e alla numismatica. Il sempre più netto affermarsi dell’uso delle lingue volgari, inoltre, stimola artigiani e tecnici a compilare manuali e prontuari illustrati da tavole e diagrammi anche per le arti meccaniche, mentre la tendenza ad identificare la Storia con la singola personalità, congiunta al sempre più saldo affermarsi delle identità nazionali, stimola la redazione di gallerie di uomini illustri nei campi più svariati, dalla politica all’arte militare, dalla letteratura, alle arti liberali e figurative.

Aperta a queste nuove prospettive, l’immagine si ritaglia sempre più un ruolo indipendente ed autonomo, giungendo spesso a divenire sola protagonista nelle pagine di raccolte di costumi, di modelli ornamentali per artigiani e decoratori, di gallerie di ritratti e di monumenti famosi.

Uno dei fenomeni che caratterizzarono più profondamente la cultura umanistico-rinascimentale fu certamente il risveglio dell’interesse per la Natura. Tra le molteplici cause che vi concorsero vi fu senza dubbio il recupero e lo studio critico di alcuni autori antichi : Dioscoride, Teofrasto, ma soprattutto Plinio Il Vecchio. Il contributo degli umanisti alla rinascita dell’interesse per la realtà circostante non si esaurì tuttavia nella riedizione critica degli auctores, ma nell’intuizione e teorizzazione della basilare importanza dell’osservazione diretta del fenomeno naturale qualora s’intendesse intraprendere seriamente lo studio del Creato.

Il progressivo affermarsi del pensiero neoplatonico su quello aristotelico, inoltre, gettava le basi per la vittoria dell’empirismo e, di conseguenza, della sperimentazione scientifica sulla Scolastica. Questo appello alla Natura produsse effetti fortemente innovativi nello studio di molte discipline, i cui approcci metodologici vennero radicalmente rifondati : così, ad esempio, da una conoscenza botanica quale quella dell’età classica e medievale, quasi esclusivamente volta ad individuare le virtù mediche delle piante, si passò, in un breve volgere di tempo, a una scienza particolarmente impegnata nella descrizione, denominazione e catalogazione delle essenze vegetali, favorita, in questo, anche dai sempre più frequenti viaggi d’esplorazione che permisero la scoperta di nuove realtà naturali276. Lungi dall’essere esclusiva della botanica, queste innovazioni si ritrovano ugualmente in altri campi del sapere, sebbene con qualche slittamento cronologico : per i libri di zoologia, ad esempio, é solo attorno al 1550 che l’immagine può dirsi utilizzata in maniera similare e gli autori, dopo un periodo consacrato essenzialmente all’identificazione dei nomi antichi, cominciano a servirsi dell’iconografia come vero e proprio strumento di conoscenza277

Grazie alla stampa, un’opera grafica poteva, per la prima volta, essere diffusa e conservata intatta in centinaia di copie di un dato libro, ma é anche certamente vero che durante il suo primo secolo di vita, la tecnica tipografica contribuì a produrre e a diffondere una gran messe di dati alterati, di “libri umani malamente copiati”278. Con il massiccio diffondersi e diversificarsi delle edizioni a stampa, le anomalie e le incongruenze presenti nelle opere degli autori antichi si fecero inevitabilmente più manifeste. Questa proliferazione mistificante, però, ebbe come preziosa conseguenza l’inevitabile reazione contro i testi accettati acriticamente, le letture obbligate e l’opinione invalsa, mentre in tutti gli individui curiosi cominciava a farsi strada un nuovo modo di osservare la realtà circostante.

Uno dei frutti di questo nuovo metodo scientifico fu, proprio durante la prima metà del secolo e in corrispondenza di una sempre più scaltrita tecnica incisoria, il sorgere, accanto ad una prosa descrittiva molto accurata, di una produzione figurativa del tutto nuova, ora finalizata alla raffigurazione del mondo naturale nel modo più aderente possibile al reale, e alla catalogazione di esso secondo un modello enciclopedico di stampo aristotelico.

Fino a quel momento, le xilografie venivano realizzate sulla base delle illustrazioni dei manoscritti, di cui si copiava anche, e fedelmente, il testo. Le figure illustravano le parole dell’autore, non la realtà naturale in oggetto, e non esistevano ancora ricerche autonome in campo botanico o zoologico, come invece vennero intraprese in maniera sistematica nel secolo seguente, quando, completamente insoddisfatti per l’inadeguatezza di descrizioni puramente verbali, gli studiosi chiesero la collaborazione di artisti e di disegnatori abili ed esercitati a un’attenta osservazione dei propri soggetti.

Nel Cinquecento, però, raccogliere e presentare “ fatti”, richiedeva ancora la conoscenza e il rispetto dei documenti prodotti dagli osservatori dell’Antichità : la ricerca storica e la raccolta di dati scientifici erano dunque operazioni pressoché identiche. Prima di fornire nuovi risultati fu dunque necessario assimilare l’eredità alessandrina, e prima di far emergere i profili di una nuova immagine del Mondo esauriente ed uniforme, fu necessario stampare le immagini incongrue prodotte dal passato in quantità sufficiente per poterle mettere a confronto, paragonarle, collazionarle e rendersi conto della loro imprecisione, se non della loro falsità. In contrasto con la cultura degli amanuensi, che aveva nutrito l’obbedienza alle regole di una scienza, quella tipografica permise la diffusione simultanea di illustrazioni e grafici sempre più accurati, trasformando in tal modo non solo le modalità comunicative all’interno della Repubblica del Sapere, ma gettando anche le basi di una nuova fiducia nella capacità umana di pervenire a una conoscenza certa delle leggi della Natura e della sua verità - una verità originale e autonoma, sempre presente allo sguardo umano, la cui espressione più esatta ed adeguata non é veicolabile tanto attraverso la parola, quanto, appunto tramite figure e numeri. La possibilità di produrre immagini identiche con definizioni identiche per osservatori sparsi ai quattro angoli del mondo conosciuto - i quali, a loro volta, potevano trasmettere nuove e più corrette informazioni - permise dunque a botanici e zoologi, astronomi e geografi, di estendere il patrimonio dei dati disponibili ben oltre i limiti dell’immaginabile, superando così i confini che solo poco tempo prima imponevano loro i muri delle biblioteche in cui si conservavano i rari codici manoscritti279.

L’uomo rinascimentale, dunque, osserva con uno sguardo nuovo la realtà che lo circonda e lo sovrasta, ma anche quella che lo regola, l’architettura e i meccanismi del suo corpo, microcosmo in cui si riflette, secondo precise corrispondenze, il macrocosmo naturale.

Arte liberale e, in quanto intimamente legata alla filosofia, privilegiata fra le scienze, anche la medicina riscoprì i testi dei suoi padri fondatori : Galeno, Ippocrate e Aristotele furono resi disponibili nei loro testi originali o in eccellenti traduzioni in latino, insieme alle edizioni a stampa delle opere degli autori arabi che avevano goduto di tanto successo nelle epoche immediatamente precedenti. Il rinnovato interesse per il funzionamento dell’organismo andò di pari passo con il desiderio di approfondire la conoscenza della sua struttura : il Cinquecento assiste infatti alla nascita della scienza anatomica moderna, rinnovata su basi operative e pertanto ridescritta con precisione e illustrata con figure altrettanto dettagliate280.

Stimolati dalla riscoperta delle statue antiche che riaffioravano grazie al fervore degli scavi archeologici, e affascinati dal naturalismo con cui vi veniva raffigurato il corpo umano, pittori e scultori tornarono a rivolgersi all’osservazione diretta della natura e dell’uomo. Grazie alla pratica della dissezione dei corpi umani, che all’inizio del secolo andava facendosi sempre più frequente, grandi artisti, primo fra tutti Leonardo, collaboravano con gli anatomisti, arrivando talvolta persino a sostituirvisi, per ritrovare, attraverso l’osservazione del cadavere, la perfezione delle forme umane. Era il momento della grande fioritura degli studi anatomici: se per Leonardo, Dürer, Michelangelo l’anatomia si poneva alla base di un’arte alla continua ricerca della rappresentazione precisa del corpo, così, per Vesalio, Paré e la nuova generazione di medici, essa giungeva a costituire il cuore stesso della medicina, che diveniva sempre di più una scienza basata sull’osservazione diretta.

La rivoluzione anatomica di Vesalio, d’altronde, raggiunse il suo scopo anche e soprattutto grazie ad un sontuoso apparato illustrativo, opera realizzata a Venezia da Jan Stephan van Calcar, incisore e pittore fiammingo allievo di Tiziano: le splendide tavole ed illustrazioni dei sette libri del De humani corporis fabrica, stampati a Basilea da Oporinus nel 1543, facevano dell’anatomia una vera e propria “scienza per immagini”, prima disciplina di base della medicina moderna, e rimasero infatti punto di riferimento obbligato per quasi tutti i due secoli successivi. Quando le si mettano a confronto con le rare raffigurazioni schematiche degl’incunaboli e delle edizioni dei primi decenni del secolo, eseguite ancora sulla base di vaghe descrizioni anatomiche, l’evoluzione dell’illustrazione nell’arco della prima metà del secolo risulta veramente strabiliante.

Gli artisti e i medici si confondevano così in un desiderio comune di “guardare”, “vedere” e comprendere la fabrica umana, e mai come allora le due discipline furono così vicine: l’anatomista aveva ormai bisogno dell’aiuto dell’artista – quando non lo era lui stesso – per la realizzazione delle tavole descrittive che rappresentavano i supporti di diffusione delle conoscenze e la base dell’insegnamento; al contrario, appare sempre più evidente come, nelle loro opere, pittori e scultori padroneggiassero con sempre maggiore sicurezza la tensione dei muscoli e il calore della carne al di sotto della superficie dell’epidermide, fino alla resa esatta – si direbbe quasi clinica - dell’espressione del dolore e dello sforzo.

Un universo di immagini, dunque, accompagna e caratterizza la rivoluzione moderna della diffusione del sapere scientifico, fornendo alle scienze naturali, all’anatomia, alla chirurgia, all’astronomia e alla geografia, la possibilità di comunicare quegli aspetti del pensiero che non possono essere pienamente e correttamente espressi dal testo, e di veicolare quel settore più o meno ampio del contenuto semantico che la parola, incapace a puntualizzare a causa della sua vocazione all’universale, deve necessariamente cedere all’immagine e alla sua capacità di descrivere il contingente, il particolare.

L’illustrazione scientifica si presenta così come essenzialmente descrittiva : essa rivede, rivisita, reinterpreta - nel senso di creare un sistema di simulazione - il reale, così da presentarsi come un insieme di immagini il cui senso – ma non il referente – é da ricercare in una costruzione verbale che la sottende. Dal momento che illustrare significa commentare visivamente i prodotti di altri sistemi espressivi, quella compiuta dall’artista-illustratore é, nell’universo delle scienze, una operazione di traduzione “al cubo” di un significante in un altro : di creazione, cioé, di un sistema di segni chiamati ad interpretarne un altro che, a sua volta, si sforza di descrivere la realtà. L’apparato illustrativo, allora é chiamato a stabilire un rapporto intertestuale che, se fertile, non si riduce ad un servizio parassitico o ridondante, ma può sfociare nella completezza.

Certo, illustrare é un’attività strettamente dipendente da quella del percepire e dunque, l’autore osserva e descrive - e l’artista illustra - ciò che rispettivamente vuole e può vedere e, soprattutto, rappresentare. E, naturalmente, questo processo é in stretto ed osmotico rapporto con la tradizione epistemologica, cognitiva e visiva dell’epoca in cui si svolge. In più, l’illustrazione tipografica, almeno per molto tempo, sarà di per sé antinaturalistica, basandosi unicamente su un codice cromatico binario281. L’autore del testo, dunque, e con lui il suo illustratore, sono obbligati ad attivare dei meccanismi di raffigurazione codificata – una sorta di “retorica della realtà” - che assicurino una corretta ricezione da parte del lettore. Un sistema convenzionale, insomma, basato sul presupposto che i tre attori coinvolti nel processo di trasmissione – e ricezione - della conoscenza, condividano il medesimo codice culturale e visivo282.

Prendendo ancora una volta ad esempio il trattato di Vesalio, in esso ogni tipo di genere disegnativo disponibile per l’artista - e per l’anatomista - dell’epoca (disegni di “scorticati” a figura intera, parti del corpo raffigurate in dettaglio come in uno “studio” dal naturale, sezioni tridimensionali, forme disegnate prima separate e successivamente unite fra loro, uso di punti di vista variabili, di schematizzazioni diagrammatiche e convenzioni volumetriche tramite l’uso del tratteggio) é sfruttato con un senso incredibilmente sicuro di quale possa essere il più appropriato rispetto al testo che é chiamato ad illustrare. Le annotazioni che completano le tavole, inoltre, trasmettono una forte impressione della consapevolezza con cui i diversi tipi di rappresentazione siano stati orchestrati ed organizzati sia in rapporto reciproco che con il testo, mentre il lettore-spettatore é accompagnato alla scoperta dell’architettura del suo corpo - quasi in un’analisi introspettiva nel senso più proprio del termine - da un dialogo diretto con l’autore, che si sincera frequentemente dell’avvenuta comprensione delle convenzioni figurative adottate.

Come avviene in campo letterario, anche in quello scientifico grande successo ebbero le raccolte di “Icones”: certamente più facili da maneggiare e più piacevoli da consultare delle loro imponenti fonti, esse si rivolgevano ad un pubblico assai più vasto della cerchia dei dotti letterati cui erano inizialmente destinate le opere originali.

Soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo, quando alla xilografia comincerà a sostituirsi l’incisione su rame e le matrici delle illustrazioni dovranno essere stampate tramite un torchio diverso da quello utilizzato per le casse del testo, numerosissimi sono gli album che delle spesso poderose edizioni in folio, riproponevano le sole incisioni: le tavole anatomiche invitavano direttamente ad una verifica pratica, ad un confronto con il reale nell’ambito dell’apprendimento; in botanica si ritrovano principi analoghi per le raccolte di immagini di piante concepite per le escursioni botaniche e l’erborizzazione, un momento importante nella formazione dello studente; dai libri di zoologia - che si tratti di pesci o di uccelli – si traggono edizioni in cui, dopo una breve introduzione e qualche commento preliminare, ogni pagina é costruita intorno ad un’incisione accompagnata da una nomenclatura poliglotta e, di solito, da una quartina che descrive i tratti essenziali dell’animale.

Con un minimo investimento supplementare, allora, l’editore poteva sfruttare ulteriormente le serie di legni di cui conservava la disponibilità. Ma questa pratica, al di là di qualunque ragione di ordine di profitto economico, non si spiega se non con un evidente accresciuto interesse del pubblico nei confronti dell’immagine: queste raccolte, la cui lettura è molto più semplice, contribuirono ad allargare le frontiere tradizionali dei campi del sapere e partecipando alla normalizzazione delle rappresentazioni che si impone progressivamente in campo scientifico sotto l’influenza della stampa, permisero soprattutto all’immagine di liberarsi dal testo e, persino, di evadere dalle pagine del libro. Tali album rivestirono infatti lo stesso ruolo di dispensatori di modelli dei loro equivalenti “letterari”: l’impostazione delle illustrazioni e la loro concentrazione ne facevano, in effetti, delle eccellenti raccolte per gli artisti.

Questa ambizione a fornire una rappresentazione completa del reale riguardava anche e soprattutto gli artificialia, ovvero l’insieme delle creazioni umane che necessitavano a maggior ragione di venir rappresentate, dal momento in cui la cui imperfetta comprensione sarebbe costata loro l’oblio.

E allora ecco comparire corredi illustrativi a completamento, oltre che di trattati di prospettiva, architettura e fortificazioni, di testi a cavallo tra la curiosità eclettica e l’erudizione scientifica: scritti dedicati alla metallurgia, all’idraulica, alla pirotecnia, alle macchine o agli automi, in cui le immagini erano valorizzate per la loro immediatezza, dal momento che, grazie alla loro leggibilità diretta e universale, e rispetto alle parole, il cui senso poteva perdersi nel tempo e i cui neologismi potevano risultare incomprensibili, potevano assicurare una correttezza semantica maggiore e quindi la garanzia della memoria283.

Significative allora le parole dell’Agricola, il quale, cogliendo l’occasione per sottolineare le spese che non ha esitato ad affrontare per far realizzare le illustrazioni del suo celebre trattato, ne vanta i pregi:

‘“Etenim venas, instrumenta, vasa, canales, machinas, fornaces, non modo descripsi, sed etiam mercede conduxi pictores ad earum effigies experimendas: ne res quae verbis significantur, ignotae aut huius aetatis hominibus aut posteris percipiendi difficultatem affermerit : ut nobis non pauca vocabula afferre solent, quae veteres (quia res erant omnibus notae) nuda ab enodatiote prodixerunt”284

L’uso dell’illustrazione si espande, soprattutto a partire proprio dagl’anni ‘30 del secolo, ad una sempre più ampia produzione trattatistica, diretta a “normalizzare” e a fornire exempla per le discipline più svariate, dalla calligrafia al ballo, dai modelli di ricami, oreficierie, vasi ornamentali alla ginnastica, la scherma, il torneo, la caccia, l’ippologia, dalla gastronomia o, ancora, di gran successo, l’arte divinatoria.

A questa categoria appartengono anche le descrizioni di viaggio e le raccolte di costumi285. Queste ultime in particolare, imprestando dalla letteratura di viaggio il proposito di descrivere usi e abiti di civiltà lontane, in realtà, ben si inseriscono nel clima normativo rinascimentale, interessandosi ben di più a divenire sorte di manuali di savoir-vivre cortigiano che d’interesse “etnografico” o tantomeno storico.

Anche qui il lettore si trasforma in qualche modo in spettatore, dal momento che, sfogliando le pagine, leggendo il testo, ma soprattutto guardando le illustrazioni, avrà la possibilità di visitare i paesi cui gli abiti descritti appartengono, al contempo imparando e traendone svago, “con proposito di giovare, e dilettare insieme con l’arte”286.

Sebbene la struttura di questo genere di raccolte possa variare dal modello della pagina occupata dall’illustrazione affiancata da una legenda o da un testo esplicativo alle diverse immagini senza alcun testo, la maggior parte dei loro autori insiste sull’autenticità di questi “ritratti”, schizzati “dal vero”.

Come fa Nicolas de Nicolay nella sua prefazione ai quattro libri di descrizioni di un viaggio da lui compiuto in Oriente, completate di tavole calcografiche287:

‘“je n’ai voulu faillir à l’imitation des sus alléguez Romains, de soigneusement voir, et observer, écrire, designer et représenter, toutes les choses plus mémorables, de ce barbares nations, que j’ai pensé être par deçà moins connues, quant à la situation des pays et provinces, aux mœurs et habits des personnes, costumes, religions et justice. […] ces quatre premiers livres de mes susdites Navigations […] accompagnés de soixante figures, tant d’hommes que de femmes de diverses nations, portent, maintient et habits, que j’ai extraites du naturel sur les lieux mêmes et avec frais et labeur incroyable, fait curieusement graver en cuivre et imprimer”’

Agli occhi dell’autore la relazione di viaggio si identifica così con la raccolta dei costumi, dal momento che il tessuto narrativo e descrittivo sono strettamente legati alle illustrazioni che ne rappresentano la visualizzazione.

Il Cinquecento eredita dal secolo precedente l’appassionata opera di riscoperta dell’antico cui si dedicarono eruditi, uomini di cultura e collezionisti di antichità: durante l’arco del secolo il numero degli studiosi di “antiquaria” cresce a dismisura e, con esso, la produzione di testi riguardanti lo studio di particolari aspetti o oggetti delle civiltà antiche – la greca e la romana, ma sempre di più anche quelle base della storia dei nascenti stati nazionali – arricchiti da illustrazioni realizzate molto spesso a partire dalle collezioni archeologiche dei loro stessi autori288.

Anche in questo caso sull’immagine insisteva l’esigenza dell’esattezza e della precisione, dell’affidabilità filologica, insomma.

Ciò é particolarmente evidente in quel particolare nei sempre più numerosi trattati di numismatica e in quel genere letterario e iconografico insieme che tanto successo riscosse durante il Cinquecento e il secolo successivo (e che dal nuovo interesse storico nei confronti delle monete in fondo derivava): i repertori biografici corredati di ritratti a stampa, dedicati in principio piuttosto agli eroi e agli uomini illustri dell’antichità – e quindi accompagnati da riproduzioni più o meno fedeli e corrette di monete antiche - poi presto estesi anche a personaggi contemporanei, spesso posti in parallelo con gl’antichi, in un ordine cronologico più o meno rigoroso a comporre gl’innumerevoli regesti e serie di Medaglie, Raccolte, Gallerie, Teatri, Imprese, Marmi, Librarie di uomini “famosi” dai re ai capitani, dai giureconsulti ai pontefici, ai letterati e, certamente, agl’artisti, fino ad arrivare, in parallelo con la sempre crescente attenzione contemporanea per il ritratto, a quei testi dedicati alla nuova “scienza” che sul significato ultimo di questi volti, s’interrogava e si fondava, la fisiognomica, la cui summa illustrata, il De humana phisiognomonia di Giovan Battista Della Porta, data al 1586289.

Per diventare dispositivo essenziale della divulgazione del sapere, e, di conseguenza, essere riconosciuta come un autentico strumento di conoscenza, l’immagine doveva però venir accuratamente epurata da ogni interferenza della fantasia, che nella creazione di questi ritratti – e in modo particolare quelli “numismatici” – aveva spesso responsabilità ben maggiore della verisimiglianza :

‘“le imagini immaginate rendere non possono la vera imagine altrui, né soddisfare ulteriormente il desiderio del lettore”290

Invettive e violente critiche in nome dell’esattezza archeologica erano all’ordine del giorno, anche se chi scagliava la pietra non era quasi mai esente da aver commesso lo stesso peccato, come nel caso del mantovano Jacopo Strada:

‘“Je me tais des images, qui sont en la Cosmographie de Munsterus, avec la vie des Empereurs, et de celles, qui sont dedens les Croniques des Souisses. Je pourrois aussi parler de la Cronique de Joannes Cuspinianus et de celle de l’abbé de Urspourg, et de plusieurs autres desquelz je ne veux faire mention, pour l’imprudence et ignorance des graveurs: car en considerant qu’ilz ont esté si lourds, j’ay honte moy-mesmes de voir leurs œuvres, combien qu’elles soient escrites doctement: car qui veult adjouter les images des Empereurs à leur vies, il faut necessariement avoir recours aux medailles, et qui n’en ha point, il faut chercher quelques images anciennes gravées ou testes de marbre ou de cuivre, d’autant que l’un et l’autre est bon, pourveu qu’il soit bien observé, et que tous soient conformes et contrefaits le mieux qu’il est possible. Toutesfois je ne conseille pas à personne quelconque, tant excellent pourtraiteur soit-il, d’y mettre la main à son plaisir: autrement il en recevra plustostt reproche et blame, que louenge et honneur, et tant s’en faudra qu’il orne ou enrichisse son histoire, que plustost la corrompra et enlaidira: car on se doit point mesler de tel art pour complaire aux ignorans en chargeant tout son livre de figures: mais la gravité de l’auteur en doit moins mettre et qu’ilz soient plus veritables”291
Notes
248.

Cfr. Chatelain-Pinon 2000, pp. 234-35.

249.

Se ne trova la prima formulazione alla fine del VI secolo, nelle legittimazioni dell’uso delle immagini per il culto cristiano da parte dei Padri della Chiesa cappadoci e soprattutto di Paolino da Nola. Progressivamente costituitasi attorno alla teologia medievale dell’immagine, il topos della “Bibbia degli analfabeti” è la semplice cristallizzazione di una teoria dell’immagine intesa come segno materiale di una realtà spirituale, ovvero si riconosce all’immagine il potere di far partecipare a questa realtà spirituale, ma non la facoltà pedagogica e concreta di trasmettere il contenuto positivo di un sapere. É in tal senso che questa formula si rincontra ancora nel XV e XVI secolo nelle prefazioni dei libri di devozione ed in particolare nei libri d’ore. Ma, in seguito ad una sorta di abuso linguistico, dovuto senza dubbio al fatto che il locus era divenuto così “comune” che i suoi confini si erano sempre più rarefatti, si è spesso arrivati ad estendere l’idea della “Bibbia degli analfabeti” ben al di là del suo significato originale e a giustificare l’impiego delle immagini nei libri, non solamente più per l’adorazione o l’edificazione religiosa (che, strictu senso, è ben differente dall’istruzione), ma ugualmente in nome di una più generale funzione didattica rivolta agli incolti, o almeno di tutti gli “illetterati” che formavano il pubblico dei “non dotti”. Due modalità di lettura, dunque, quella del testo e quella dell’immagine, ben diverse, e tra cui poteva anche non stabilirsi alcuna reale complementarietà. Cfr. J. Wirth, L’Image médiévale: naissance et développement (IVe-XVe siècle), Paris, 1989, pp. 89 ; 106-7.

250.

Come già S. Bernardo nel XII secolo, infatti, gli umanisti del Quattrocento, ma anche quelli dell’inizio del secolo successivo, dimostrarono spesso una grande diffidenza nei confronti dell’illustrazione. Essa veniva accusata di distrarre troppo l’attenzione del lettore dall’essenziale, ovvero dal testo, il quale non doveva solamente essere letto, ma anche meditato, recitato ed imparato a memoria, o, peggio, di fornire l’impressione di una semplice volgarizzazione, destinata a chi al testo non potesse nemmeno rivolgersi. Non è d’altronde escluso che quest’ultimo, che ora era possibile comporre in caratteri che potevano variare di forma, di grandezza e di colore, suddivisi in paragrafi e disposti sulla pagina in modo da sottolineare la struttura del libro, potesse essere, esso stesso, percepito da un gran numero di lettori come una, o meglio, una serie, di immagini. La scrittura, in effetti, mantiene sempre la sua componente visuale e partecipa dunque in qualche modo alla sua stessa illustrazione. Cfr. Pastoureau 1982, pp. 502-3.

251.

L. Fuchs, De historia stirpium commentarii insignes…adjectis earumdem vivis plusquam quingentis nunquam antea, ad naturae imitationem artificiosis efficis et expressis, Basel, Isengrin, 1542, p. X. Per il ruolo dell’immagine nei trattati di botanica, cfr. scheda 3.

252.

P. Belon, Histoire de la nature des oyseaux, Paris, G. Cavellat et G. Corrozet, 1555, “épître au lecteur”, f. A4r.

253.

A.Vesalius, De umani corporis fabrica, Basel, J. Oporinum, 1543, dedica a Carlo V, c. *4r. Per le illustrazioni del trattato del Vesalio cfr. infra.

254.

Rhetorica ad Herennium, 4, 38,

255.

Cfr. Engammare 1994 ; 1995 ; 2003. Sulle imprese e gli emblemi, tra la smisurata bibliografia: M. Praz, Studi sul concettismo, Firenze, Sansoni, 1964; Clements 1960; Klein 1975; Pastoureau 1982; D. S. Russel, The Emblem and the Device in France, Lexington, 1985; The european Emblem: selected papers from the Glasgow conference, 11-14 August 1987, edited by B. F. Scholz, M. Bath and Weston, Leida, E. J. Brill, 1990; Livres d’emblèmes 1993; ad vocem in MEB 1997, pp. 219-222 e 364-66 (con bibliografia).

256.

C. Paradin, Quadrins historiques de la Bible, Lyon, Jean de Tournes, 1560, dedica a Jeanne de La Rochefoucauld, badessa di Notre-Dame-de-Saintes.

257.

Ibidem, lettera dello stampatore al lettore. Per Jean de Tournes, cfr. infra.

258.

Cfr. le Trasformationi del Dolce per i tipi giolitini nel 1555 o le Métamorphoses d’Ovide figurée pubblicate a Lione da Jean de Tournes, 1557. Per l’illustrazione delle Metamorfosi ovidiane nel Cinquecento, cfr. Guthmüller 1996 e 1997. Per l’Orlando furioso, cfr. scheda 4.

259.

Per l’allegoria, cfr. L. Bolzoni, L’allegoria, o la creazione dell’oscurità, “L’Asino d’oro”, II (1991), pp. 53-69 Bolzoni 1995, Eadem, Tra parole e immagini: per una tipologia cinquecentesca del lettore creativo, “Lettere italiane”, XLVIII/4 (1996), pp. 527-558; sul rapporto fra arte della memoria e tecnica dell’illustrazione del testo, cfr. anche Saccaro Del Buffa 1993

260.

Per l’arte della memoria in età moderna, cfr. P. Rossi, Clavis universalis. Arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Milano-Napoli, 1960; F. A. Yates, L’arte della memoria, Torino, 1972; La fabbrica del pensiero. Dall’arte della memoria alle neuroscienze, Milano, Electa, 1989; La cultura della memoria, a cura di L. Bolzoni e P. Corsi, Bologna, 1992; Ars memorativa. Zur kulturgeschichhtlichen Bedeutung der Gedächtniskunst 1400-1750, ed. J.J. Berns e W. Neuber, Tübingen, 1993; Bolzoni 1995 e 1999.

261.

L. Schenkel, Gazophylacium artis memoriae, Strasbourg, Antonius Bertramus, 1610, p. 122.

262.

L. Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescer et conservar la memoria, Venezia, Eredi di Marchiò Sessa, 1575, c. 86 r.

263.

Bolzoni 1995, p. 224.

264.

Si pensi soltanto all’importanza del parallelo fenomeno di normalizzazione linguistica che avviene all’interno del volgare italiano, che, come si é visto, proprio in questi anni, identifica il suo canone di riferimento nel toscano letterario e cristallizza la molteplicità linguistica babelica del Quattrocento in una lingua comune quanto artificiale, prodotto teorico più che strumento d’uso, imitazione, anche qui, dei dettami “grammaticali” bembeschi. Cfr. F. Ulivi, L’imitazione nella letteratura del Rinascimento, Milano, 1958; E. Battisti, Il concetto di imitazione nel Cinquecento italiano, in Idem, Rinascimento e Barocco, Torino, 1960, pp. 175-216; Lee 1974; Scritture di scritture 1987.

265.

Cfr. Bolzoni 1995, p. 187.

266.

Cfr. Varese 1987, p. 147.

267.

Cfr. Varese 1983.

268.

R. Alberti, Trattato della nobiltà della pittura, Roma, 1585, in Trattati d’arte del Cinquecento 1961, III, p.213.

269.

G. Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane, Bologna, 1582, in Trattati d’arte del Cinquecento 1961, II, pp. 142-143.

270.

Ibidem, p. 268.

271.

Bolzoni 1995, p. 189.

272.

Per i libri illustrati come modelli per le arti decorative, cfr. infra.

273.

V. Cartari, Le imagini de i dei de gli antichi, Venezia, Marcolini, 1569, “A quelli che leggono”, F. Marcolini, ripubblicata nell’edizione Valgrisi, cc.a3r-v-a4r.

274.

C. Ripa, Iconologia, Roma, Gigliotti, 1593. Edizione anastatica a cura di P. Buscardi con prefazione di M. Praz, Torino, Fogola, 1986 [ried. Milano, 1992 e 2000]

275.

L. Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescer et conservar la memoria, Venezia, Eredi di Marchiò Sessa, 1575, c. 86 r.

276.

Per l’illustrazione botanica, cfr. Blunt 1950; Immagine e Natura 1984; Battisti 1987, pp. 287-313; Landau-Parshall 1997, pp. 245-259; Natura-Cultura 2000, in particolare il saggio di L. Tongiorgi Tomasi, L’immagine naturalistica: tecnica e invenzione, pp. 133-151.

277.

Se nel De romanis piscibus libellus del Giovio, (Roma, Calvi, 1524), l’identificazione delle specie resta di fatto ancora filologica, ne l’Histoire naturelle des estranges poissons marins di Pierre Belon (Paris, Chaudière, 1551) le immagini, risultato di un’attenta osservazione dal vero, non hanno più alcun ruolo allusivo, ma si inseriscono pienamente nel discorso. Sui libri di zoologia, cfr. Historia animalium : tre naturalisti enciclopedici del ’500 : Wotton, Gesner, Aldovrandi, catalogo della mostra (Cremona, 1977), s.n., 1977; Pinon 1995 ; Chatelain-Pinon 2000, pp. 256-57.

278.

Lettera di Tommaso Campanella a A. Queregno del luglio 1607. Citato da E. Garin, L’umanesimo italiano : Filosofia e vita civile nel Rinascimento, Roma, 1952

279.

L’esempio più lampante é certamente quello offerto dallo sviluppo e dal progredire dell’immagine cartografica, in cui Venezia rivestì un ruolo di primo piano a livello europeo. Cfr. Woodward 2002.

280.

Cfr. Andreoli 2004

281.

Cfr. Pastoureau 1997

282.

Cfr. Kemp 1999, pp. 67-84

283.

Cfr. Cfr. Fontana 1978 ; Trattati scientifici 1985 e Trattati di prospettiva 1985. Un’ampia collezione di edizioni cinquecentine digitali interessanti per la storia delle scienze meccaniche é disponibile sul sito del progetto Archimedes : http://archimedes2.mpiwg.mpg.de/archimedes-templates. Questa funzione delle immagini si ritrova addirittura nell’edizione dei testi sacri, dopo che essi cominciarono ad essere sottoposti al vaglio filologico degli umanisti : nella grande Bibbia che Robert Estienne pubblicò a Parigi tra il 1538 e il 1540, compaiono ad esempio 20 incisioni concepite dal celebre ebraista François Vatable, incaricato dall’Estienne dell’edizione filologica del testo. Le figure, che riguardano solo gli oggetti e i luoghi descritti nel testo biblico con precisione sufficiente da poterne realizzare una traduzione grafica veramente fondata, hanno lo scopo di fornire il lettore di un referente iconografico che lo aiuti a comprendere con esattezza il senso del testo. L’Estienne infatti ricorda nella sua prefazione che tali figure hanno per scopo di “mettre devant les yeux des lecteurs le Tabernacle de Moïse et le Temple de Salomon et leur mobilier particulier, d’une construction des plus difficiles et compliquées”. Cfr. Engammare 1995, pp. 134-35.

284.

Georgii Agricolae de Re metallica libri XI, Basel, Froben, 1556, p. IX.

285.

Per la letteratura di viaggio nel Cinquecento, cfr. Voyager à la Renaissance, atti del convegno (Tours, 1980), a cura di J. Céard e J.-C. Margolin, Paris, 1983 ; La letteratura di viaggio dal Medioevo al Rinascimento. Generi e problemi, Alessandria, 1989. Per i repertori di costumi, cfr. MEB, pp. 457-460. Tra le prime edizioni italiane di repertori di abiti vi sono le due edizioni dell’Habitus nostrae aetatis di Enea Vico (1556 e 1558), ambedue pubblicate a Venezia. Nella raccolta pubblicata a Padova nel 1589 da Pietro Bertelli, il Diversarum nationum habitus, s’introduceva, per alcune immagini, l’innovazione di parti della figura staccate che, alzandosi, rivelavano nuovi particolari come le “braghesse” delle cortigiane veneziane.

286.

C.Vecellio, Habiti antichi et moderni di tutto il mondo,Venezia, Sessa, 1598. Questa seconda edizione dell’opera (la prima era apparsa per i tipi di Damian Zenaro nel 1590) contiene 87 nuove figure rispetto alle 420 della presecedente, proprio per l’aggiunta dei “costumi” americani. Le incisioni sono dovute a Cristoforo Guerradi (Christof Krieger), che irrigidisce con un intaglio piuttosto freddo e meccanico i disegni circostanziati e sottili del nipote di Tiziano. Il Vecellio è inoltre l’autore, nonché il probabile disegnatore delle illustrazioni della Corona delle nobili et virtuose donne, un repertorio di modelli di lavori femminili ad ago in tre parti stampato nel 1591 (cui va aggiunta una quarta parte impressa separatamente nel 1593, con un altro titolo, Gioiello della Corona per le nobili et virtuose donne). Per Vecellio, cfr. C. Lozzi, Cesare Vecellio e i suoi disegni e intagli per libri di costumi e di merletti, “La Bibliofilia”, I (1899-1900), pp. 3-7; J. Guerin Dalle Mese, L’occhio di Cesare Vecellio: abiti e costumi esotici del ‘500, Alessandria, 1998; Cesare Vecellio 1521-1601, a cura di T. Conte, Belluno-Venezia, 2001; Il vestito e la sua immagine, atti del convegno (Belluno, 2001), a cura di J. Guerin Dalle Mese, Belluno, 2002.

287.

N. de Nicolay, Les quatre premiers livres des navigations et peregrinations Orientales [...] Avec les figures au naturel tant d’homme que de femme selon la diversité des nations, & de leur port, maintien, & habitz, Lyon, G. Rouillé, 1568. Cfr. C. Grodecki, Le graveur Lyon Davent, illustrateur de Nicolas de Nicolay, “Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, 36 (1974), pp. 347-351. Il testo di Nicolay è pubblicato in fac-simile in base all’edizione di Anversa, 1576, a cura di S. Ydrasinos e M.-C. Gomez-Géraud, Paris, 1989.

288.

Cfr. A. Momigliano, Ancient History and the Antiquarian, “Journal of Warburg and Courtauld Institute”, VI (1994), pp. 129-143 ; Haskell 1997, pp. 13-71.

289.

Per i trattati di numismatica e le raccolte biografiche corredate da ritratti (in forma numismatica o meno), cfr. Cunnally 1999 ; Clough 1993 ; Casini 2004 ; Andreoli 2006 e schede ??? con relativa bibliografia. Per la fisiognomica, cfr. F. Caroli, Storia della fisiognomica, Milano, 1995 ; P. Magli, Il volto e l’anima. Fisiognomica e passioni, Milano, 1995 ; Casini 2004, pp. 135-172, per il Della Porta, cfr. Giovan Battista Della Porta nell’Europa del suo tempo, atti del convegno (Vico Equense, 1986) a cura di M. Torrini, Napoli, 1990.

290.

E. Vico, Discorsi sopra le medaglie de gli antichi, Venezia, Giolito, 1555, “Autori accusati”, p. 14.

291.

J. de Strada, Epitome du thresor des antiquitez, c’est à dire, pourtraits des vrayes medailles des Empereurs tant d’Orient que d’Occident, Lyon, de Tournes, 1553, “Iacques de Strada mantuan antiquaire au lecteur”, cc. Aa4r-bb3r.