IV.2 - Maniera italiana in salsa francese :Fontainebleau

Oltre agl’apporti diretti dovuti ad artisti “foresti”, la diffusione dello stile e dei modelli della “Maniera italiana” avveniva innanzitutto attraverso le stampe pubblicate nei maggiori centri di produzione della nuova cultura (Roma, Firenze, Mantova, Fontainebleau, Anversa). Fu proprio tramite la circolazione delle incisioni che si attuò in larga misura quell’ “unità del Manierismo”, quella lingua veramente internazionale che nasceva dalla divulgazione dei motivi formali e dallo scambio delle idee figurative, già evidente per il Vasari, che nella Vita di Marcantonio sottolineava

‘“il giovamento che hanno gli oltramontani avuto dal vedere, mediante le stampe, le maniere d’Italia, e gl’Italiani dall’aver veduto quelle degli stranieri”406

Per un’area culturale “emarginata” rispetto a questi principali centri di diffusione quale é Venezia, le incisioni degl’artisti d’impronta manierista rappresentarono il principale veicolo di un gusto basato su presupposti disegnativi, plastici e compositivi: il classicismo raffaellesco era mediato da Marcantonio Raimondi e da Agostino Veneziano, che diffuse oltre a Raffaello, anche Michelangelo e Giulio Romano; Jacopo Caraglio si fece ambasciatore della “maniera” di origine emiliana, dove già faceva presa il preziosismo parmigianinesco; a Enea Vico, infine, si devono le trascrizioni da Michelangelo. Ma personali interpretazioni vennero, come abbiamo visto, anche da artisti veneti: dallo Schiavone, massimo diffusore ed interprete del parmigianinismo, da Battista Franco, fanatico michelangiolesco e poi da Battista Del Moro, Paolo Farinati, Giovan Battista Fontana e Battista Pittoni407.

Abbiamo già avuto modo di sottolineare l’importanza dell’ascendente del Parmigianino sugli artisti veneti e dell’interesse che, contemporaneamente, essi dimostravano nei confronti delle invenzioni grafiche michelangiolesche, in particolare a partire dal quarto decennio. E’ in questo humus particolarmente ricettivo che s’inserisce, molto probabilmente già a partire dalla metà del quinto decennio, un ulteriore elemento d’aggiornamento, giunto in Laguna ancora una volta tramite la stampa: l’interpretazione che di quegli stessi maestri, cui si aggiungevano chiaramente Raffaello, Giulio Romano e Perino del Vaga, stavano dando i maestri italiani attivi nella decorazione della residenza reale francese di Fontainebleau408.

Quello che Francesco I decise di trasformare nella sua residenza principale al suo ritorno dall’anno di prigionia a Madrid, era in realtà un vecchio e scomodo castello utilizzato come padiglione da caccia, ma ciò che impressionava di più i visitatori stranieri era la bellezza naturale del sito, all’origine della leggenda della ninfa della fontana e del cane Bliaud.

L’ammirazione di Francesco I per l’arte italiana, poi, non era certo una novità: Leonardo da Vinci era stato invitato a passare i suoi ultimi anni di vita a Blois e Andrea del Sarto aveva anch’egli trascorso un seppur breve soggiorno presso la corte francese. Nelle collezioni reali si potevano ammirare alcune delle più belle opere dell’ultimo periodo di Raffaello e la Visitazione di Sebastiano del Piombo, tutte ora conservate al Louvre, frutto delle fitte relazioni diplomatiche che erano state riallacciate tra la Francia e la Santa Sede dopo l’interruzione del papato di Giulio II409.

Alla corte si doveva ancora commentare il fallimento del tentativo, condotto attraverso l’intermediazione di Lazare de Baïf, ambasciatore francese a Venezia, di far venire Michelangelo, presente in Laguna durante l’inverno del 1529. Questo progetto non andato a buon fine fu ricompensato, un anno più tardi, nel novembre del 1530, da un “raccomandato” dell’Aretino, Rosso Fiorentino, che accettò di assumere la direzione artistica della decorazione interna del castello recentemente ingrandito410. A partire dal 1534, il maestro toscano lavorava al progetto più vasto e originale di questa prima fase dei lavori, una grande galleria decorata di stucchi, di affreschi e di pannelli lignei a sbalzo411.

Nel frattempo, nel 1532 vi era giunto da Mantova il Primaticcio, inviato da Giulio Romano che, allora quarantenne e perfettamente soddisfatto del suo ruolo di direttore artistico dei Gonzaga mantovani, aveva rifiutato di lasciare l’Italia: sarà lui a succedere al maestro fiorentino suicidatosi nel 1540 e a mantenere l’incarico durante i successivi trent’anni412.

Ma se la direzione dei lavori era in mano italiana, molti altri artisti che lavoravano nel cantiere erano della più diversa nazionalità e delle più svariate tendenze artistiche: fiamminghi, olandesi, francesi e, naturalmente, altri italiani (vi soggiornarono nel corso degl’anni anche Luca Penni, Vignola, Serlio, Cellini, Nicolò dell’Abate, Ruggero Ruggieri). Questo confluire di talenti generò un nuovo stile, un crogiuolo sincretico ed osmotico tra arti maggiori e decorazione, tra pittura, scultura ed artigianato, prendendo le forme di una vera e propria “scuola” alla quale gli stranieri si formarono al contatto con i decoratori italiani e ne ripartirono per diffonderne le invenzioni in tutta Europa.

I modelli e le strabilianti invezioni decorative per gli ambienti del castello reale ebbero un’immensa diffusione e un incredibile successo grazie soprattutto alla loro trasmissione attraverso l’incisione: essa “monetizzò”, per così dire, l’arte del Rosso, traendone un linguaggio ornamentale e rendendolo disponibile ad ogni sorta d’artista e d’artigiano decoratore e contribuì non meno efficaciemente a diffondere la maniera classicheggiante del Primaticcio e della sua cerchia413.

Già verso il 1542, quando i primi grandi cicli decorativi, ed in particolare quello della “galleria”, erano ormai terminati, dal cantiere cominciò a fuoriuscire una vera e propria onda anomala d’incisioni, destinate a diffondere lo stile bellifontano in tutta Europa. L’ispirazione antichizzante di queste stampe celebrava il più elegante e raffinato gusto cortese: é un trionfo di divinità, soprattutto Veneri e Diane al bagno, di arcadici paesaggi popolati di ninfe e satiri, con una presenza costante dell’acqua – a celebrazione ridondante del nome del castello che le ospita - e della natura nel suo pieno rigoglio414. Nella predilezione per la favola, la corte e i suoi ospiti, mescolandosi a stucchi ed affreschi diventa mitologia in atto. Al di là di ogni interesse per l’emozione e l’espressione, quel che contava di più era l’artificio, la rarità, la complessità dello stile, il capriccio, uniti ad una iperraffinata sensualità e voluttuà delle forme e dei corpi, praticamente sempre nudi o panneggiati con veli talmente leggeri a sottolinearne ancor più le forme: un’eleganza immediatamente palese, ma sempre sottomessa al meccanismo segreto del simbolo.

Vendute nelle principali città, queste incisioni, raggiunsero chiaramente anche l’Italia dove riscossero un immediato successo tra pittori, scultori, architetti e amatori d’arte, tanto che ancora nel 1565, il Lafrery, editore francese attivo a Roma, si faceva spedire alcuni rami per realizzarne nuove tirature.

La maggior parte delle incisioni responsabili della diffusione dell’arte bellifontana durante l’arco del Cinquecento possono essere ricondotte a due gruppi ben distinti: il primo é il frutto di un centro di produzione grafica molto prolifico, attivo all’interno dello stesso castello solamente durante qualche anno, dal 1542 al 1547 circa415.

Alcuni incisori, calcografi e acquafortisti, sono conosciuti con il loro nome – essenzialmente Antonio Fantuzzi, uno dei pittori impegnati nella decorazione del castello sotto la direzione di Primaticcio, Jean Mignon, anche lui pittore, e Leon Davent – alcuni invece ci sono noti solamente tramite un monogramma, come il maestro “I♀V”, o rimasti semplicemente anonimi. Questo ristretto gruppo d’artisti é responsabile di un corpus giunto sino a noi di più di 400 incisioni che riproducono principalmente delle composizioni di Primaticcio, Rosso, Giulio Romano, Luca Penni – che partecipò anch’egli all’attività incisoria - e in numero minore opere di Michelangelo e di alcuni paesaggisti fiamminghi come Herri Met de Bles e Matthys Cock416.

Si tratta essenzialmente d’incisioni all’acquaforte che hanno in comune la grande libertà, vivacità e rapidità d’esecuzione, tratti tipici dell’impiego di tale tecnica da parte di pittori e non d’incisori di professione. Più della metà delle stampe dell’Ecole de Fontainebleau riproduce i disegni realizzati dal Rosso e da Primaticcio per le decorazioni del castello ed alcuni indicano chiaramente la localizzazione “à Fontainebleau”. Sia il Fiorentino, che aveva attivamente partecipato alla produzione incisoria nella Roma clementina, che Primaticcio appaiono fortemente implicati in questa vera e propria operazione di divulgazione.

Le incisioni tratte da disegni di Rosso, che saranno in gran parte responsabili del successo europeo dei motivi decorativi bellifontani, datano per la maggior parte agl’anni 1542-43: si ha l’impressione che durante questo breve periodo sia coinciso con un momento d’entusiasmo durante il quale gl’incisori si siano dedicati ad una pubblicazione intensiva e, per così dire, sistematica, delle invenzioni lasciate dal maestro, in particolare dei motivi della galleria, senza peraltro progettare una serie omogenea ed organizzata, come invece si cominciò a fare qualche anno più tardi417. E’ lo stesso momento in cui viene realizzato l’arazzo di Vienna che riproduce la parete sud della galleria: Rosso é evidentemente ancora molto presente negl’anni subito dopo la sua morte e Primaticcio dev’essere ritenuto il principale responsabile di questo fenomeno418.

Gl’incisori dimostrano generalmente grande libertà interpretativa nei confronti dei disegni di Giulio Romano, Parmigianino e altri maestri “tradotti”. L’intervento dell’artista é spesso individuabile nella fantasia che dimostra nel riadattare le composizioni originali alla superficie del foglio: é così che paesaggi fantastici vengono ad animare alcuni sfondi o tutta la panoplia di un linguaggio ornamentale esuberante compone cornici eccentriche ed espressive popolate di figure, mascheroni, cariatidi, creature grottesche intrecciate a ghirlande di frutti e motivi diversi: sono le caratteristiche originali dello stile bellifontano.

Primaticcio si dimostra fortemente implicato nella regia della traduzione incisoria anche, e in particolar modo, delle sue proprie composizioni destinate alla decorazione del castello: egli affidò infatti i suoi disegni originali a solamente due incisori “fidati”, Léon Davent e Fantuzzi, che ne riprodussero assai fedelmente almeno una sessantina, testimoniando la sua attività tra il 1532 e il 1537419.

L’interesse che spinse Primaticcio a far incidere le sue invenzioni é confermato dalla stretta collaborazione che intrattenne anche con alcuni calcografi tra i quali il cosiddetto Maestro “FG”, attivo non a Fontainebleau, ma in Italia420. Il confronto fra le incisioni di questo artista e i disegni corrispondenti rivela delle profonde affinità sul piano tanto compositivo quanto stilistico, e permette di formulare l’ipotesi che anch’egli avesse accesso agli originali. Un’ulteriore prova, insomma, di quanto Primaticcio desiderasse accrescere la diffusione delle sue opere a raggio più ampio possibile da Fontainebleau e di quanto fosse cosciente dell’importanza del ruolo del medium incisorio. Questi fogli, molto elaborati, del Maestro “FG” rappresentavano veramente il supporto ideale: essi menzionavano chiaramente l’autore delle composizioni originali e la loro localizzazione, riproducendole fedelmente e nel corretto senso di lettura, senza inversioni. La tecnica calcografica, inoltre, assicurava risultati meno liberi e fantasisti dell’acquaforte e offriva una precisione e un’abbondanza di dettagli impossibile da ottenere tramite un’altra tecnica: ciò può forse spiegare perché Primaticcio abbia trasportato i suoi disegni durante uno dei suoi numerosi viaggi in Italia per farli tradurre a burino da un professionista.

Il secondo polo di diffusione delle novità di questa inesauribile fucina é rappresentato da un gruppo di calcografi attivi a Parigi la cui produzione, che prosegue per numerosi anni - dal 1540 fino all’incirca al 1580 – si diede a sfruttare i modelli bellifontani in direzione strettamente commerciale: Pierre Milan, René Boyvin, l’orafo Etienne Delaune, Jacques Androuet Du Cerceau, diramarono attraverso la loro opera di “ornemanistes” i temi e i motivi di questa declinazione francese del manierismo: arte elitaria, dai temi alti e dalla tecnica ultraraffinata, attraverso le incisioni e le raccolte, soprattutto quelle, numerosissime, di modelli destinati alle arti decorative, i libri illustrati o le loro preziose e decoratissime legature, l’Ecole de Fontainebleau esercitò un fascino che si estese a tutti i livelli artistici: l’artigianato popolare fa allora eco alle opere più ambiziose, il successo del nuovo stile e la curiosità per le sue realizzazioni più artificiose comincia a dilagare attraverso tutti i paesi europei e a tutti i livelli di produzione artistica421.

Mai si era assistito ad un rinnovamento così radicale, così ingegnoso e ben promosso degli elementi e strutture aniconici o paraiconici in una corrente artistica: esso si era espresso inizialmente nelle cornici, e più precisamente in quelle della galleria, in cui la mescolanza di stucchi e di zone dipinte permetteva una meravigliosa dovizia di combinazioni. Il decoro di contorno é rapidamente dotato di una vitalità e di una prolissità che lo promuovono allo stesso grado d’importanza, e dunque d’interesse, della composizione principale. Tutte le formule decorative praticate fino a quel momento vi si ritrovano mescolate in una sorta di accumulazione che richiedeva una capacità organizzativa notevolissima, di un’alta abilità che denotava essa stessa una preziosità tutta manierista: cascate di frutti e ghirlande, putti e motivi astratti che apparivano qui per la prima volta: i cosiddetti “cuoi”, o cartocci, ritagliati in forme geometriche dotate però di un’energia interna che li fa, appunto, accartocciare ai lati. Il tutto dinamizzato dalla formicolante presenza di figurette costantemente libere e scatenate nell’intrallacciarsi fra loro e ai vari elementi.

La diffusione e ricezione delle invenzioni e dei modelli di Fontainebleau assunsero in Veneto e a Venezia alcuni dei loro caratteri più originali. Non si può stabilire con esattezza il momento in cui le incisioni dell’Ecole cominciassero a circolare con una certa assiduità in Laguna, ma é certo che dovettero essere conosciute prima del 1550, si sarebbe tentati di affermare già verso il 1545, affiancandosi dunque alle istanze di aggiornamento proposte dall’opera diretta dei “romanisti”.

E’ tanto più importante per il nostro discorso, poi, poter supporre che già durante la prima metà del quarto decennio le invenzioni del Primaticcio avessero la possibilità di diffondersi in Italia, tramite incisioni realizzate direttamente sulla base di disegni originali. La sua maniera, fatta di figure allungate e sinuose, in cui il vocabolario “anticamente moderno” e “modernamente antico” del suo maestro, Giulio Romano, é fatto evolvere nella direzione della decantazione progressiva e del raffinamento stimolato dalle esperienze emiliane e dalle finezze parmigianinesche che già avevano riscosso l’attenzione del Rosso, reinterpreta il canone michelangiolesco seguendo un ideale di eleganza longilinea che accentua il contrasto tra i corpi, agili e smisurati e le estremità sottili e graziosamente atteggiate422.

Era un’interpretazione che doveva suscitare grande interesse a Venezia, dove, negli stessi anni, proprio Parmigianino e Michelangelo rappresentavano, come si diceva, due poli d’ispirazione insostituibili, sebbene opposti.

In una sorta di circolo virtuoso, a Venezia giungeva così una seconda e altrettanto feconda mediazione di quegli stessi maestri maestri che artisti ed incisioni avevano già cominciato a diffondere sin dal decennio precedente.

Notes
406.

Vasari-Milanesi 1968, V, p. 343

407.

Cfr. G. Dillon in Tiziano a El Greco 1981, p. 300. Bibliografia aggiornata sugli incisori attivi a Venezia in Callegari 2005.

408.

Cfr. S. Béguin, L’Ecole de Fontainebleau. Le Maniérisme à la cour de France, Paris, 1960 ; Fontainebleau 1972 e in particolare A. Chastel, Fontainebleau formes et symboles, pp. XIII-XXVIII ; L’Art de Fontainebleau, dir. A. Chastel, Paris, 1975; Zerner 1996, pp. 67-153 con bibliografia aggiornata.

409.

Cfr. Cox-Rearick 1995.

410.

Il Rosso aveva fatto tappa a Venezia nel maggio del 1530, in viaggio verso la Francia. Lazare de Baïf dovette essere nuovamente incaricato delle negoziazioni con l’artista e fu forse lo stesso Michelangelo ad averlo raccomandato all’ambasciatore dopo aver deciso di non recarsi lui stesso alla corte francese. Sempre secondo Vasari, Rosso eseguì un disegno per l’Aretino, raffigurante Marte dormiente in compagnia di Venere, spogliato dalle Grazie e da alcuni amorini, che é probabilmente il foglio del Louvre. Se quest’opera rimase veramente qualche tempo nelle mani dell’Aretino, gli artisti veneziani avrebbero potuto vederla e costituirebbe dunque uno dei migliori e più precoci testimonianze di opere manieriste a Venezia. Cfr. Vasari-Milanesi 1568, V, pp. 162 e 167; D. Franklin, Rosso in Italy. The Italian Career of Rosso Fiorentino, New Haven and London, 1994, p. 260.

411.

Cfr. D. e E. Panofsky, The Iconography of the “Galerie François Ier” at Fontainebleau, “Gazette des Beaux Arts” 1985, II, pp. 113-190. S. Béguin-J. Guillaume-A. Roy, La Galerie d’Ulysse à Fontainebleau, Paris, 1985 ; Zerner 1996, pp. 70-98.

412.

Per il ruolo del Primaticcio a Fontainebleau, cfr. Zerner 1996, pp. 106-121 ; Primatice 2005 con bibliografia precedente completa ed aggiornata.

413.

Per l’incisione a Fontainebleau, cfr. Zerner 1969 e 1996, pp. 125-145 ; Boorsch 1995 ; Jenkins 2005.

414.

Per la nuova concezione del paesaggio a Fontainebleau, cfr. Golson 1969.

415.

L’attività degli incisori propriamente appartenenti al cantiere bellifontano é difficile da datatre con precisione, nonostante un certo numero di elementi sembrerebbe indicare che le prime incisioni risalgano al 1542 e che la prouzione si sia conclusa all’incirca cinque anni più tardi, nel 1547. Lo si deduce innanzitutto dalle date che figurano sui fogli (28 di essi sono datati) ; diversi indizi confermano poi questa datazione, in particolare i soggetti raffigurati e l’evoluzione delle tecniche degl’incisori. Le acquaforti da Primaticcio riproducono unicamente le composizioni che egli realizzò per il castello prima del 1547. Inoltre, se si considera il gruppo nel suo insieme, si nota una progressione stilistica, dall’amatorialità delle opere del Fantuzzi del 1542 (due delle quali datate) fino alle incisioni molto perfezionate e di livello professionale eseguite a Davent nel 1547.

416.

Penni collaborò in particolar modo con l’incisore Jean Mignon realizzando un gran numero di disegni specificamente destinati all’incisione, soprattutto dopo il 1545. Cfr. Zerner 1996, pp. 142-45.

417.

Nella maggior parte dei casi, le incisioni hanno sì valore documentario delle composizioni del maestro, ma dei disegni preparatori piuttosto che delle realizzazioni definitive : gli affreschi e le loro cornici ornamentali, probabilmente elaborati su fogli diversi, vengono sistematicamente dissociati una volta tradotti ad acquaforte, e l’incisore opera molto spesso in maniera originale per completare una metà mancante della cornice o inserendo un paesaggio al posto dell’affresco. I compartimenti della galleria e le decorazioni inventate da Rosso non erano affatto degli “ornamenti”, nel senso di un dispiegamento di motivi di una densità semantica sufficientemente debole da potersi applicare ad una grande varietà di contesti, dei motivi “passe-partout”: al contrario, quasi ogni elemento decorativo della galleria era scelto in rapporto con quelli a lui vicini, per delle ragioni di senso oltre che di forma. E’ attraverso l’omogeneizzazione grafica, la riduzione del formato e la decontestualizzazione semantica, che gl’incisori hanno loro imposto una metamorfosi che gli hanno permesso di entrare nella circolazione del repertorio ornamentale vero e proprio.

418.

Per l’arazzo di Vienna, cfr. Zerner 1996, pp. 93-95.

419.

Davent eseguì almeno una cinquantina d’incisioni, mentre il Fantuzzi una decina, nell’ultimo periodo della sua carriera d’incisore, tra 1544 e 1545. Esse documentano soprattutto i decori del Padiglione di Pomona, della Galleria bassa, del Portico e del Vestibolo della Porta dorata, della Camera della duchessa d’Etampes, dei Bagni, e del Cabinet du Roi. Cfr. Jenkins 2005, p. 40.

420.

Tutte le incisioni di questo maestro sono stampate su fogli che presentano una filigrana italiana. I disegni originali avrebbero potuto essere spediti o consegnati nelle sue mani direttamente dal Primaticcio durante uno dei suoi viaggi in Italia effuati a più riprese durante il quinto decennio. Cfr. Romani 1997 e Jenkins 2005, p. 44.

421.

Cfr. Gravure française 1995, pp. 296-382 ; J. Thirion, Rosso et les arts décoratifs, “Revue de l’art”, 13 (1971), pp. 32-47; Fuhring 1995. Per il ruolo di diffusore della maniera bellifontana nel Nord europa svolto da Etienne Delaune, cfr. Eisler 1965.

422.

L’espressione, che rimonta all’Aretino é stata poi ripresa dal Vasari. Sul ruolo svolto da Primaticcio come diffusore nel Veneto delle novità bellifontane, cui dà un contributo decisivo, cfr. Romani 1997. Per l’esportazione di modelli parmigianineschi in Francia, cfr. Béguin 2003.