IV.3 - Riflessi bellifontani nell’illustrazione libraria: Parigi

Dopo un alternarsi e mescolarsi di influenze tedesche ed italiane durante i primi decenni del secolo, le prime avvisaglie del Rinascimento apparvero nel libro illustrato francese intorno al 1530, nelle edizioni di alcuni librai specializzati nella produzione e nel commercio dei Libri d’ore, genere che, assicurando una certa stabilità di mercato, poté permettere ad editori parigini quali Simon Vostre e Thielman Kerver di tentare allettanti innovazioni nelle illustrazioni di opere le cui nuove edizioni che si susseguivano a stretto intervallo di tempo. Concorrenti dei librai più affermati, essi cercano di attirare, grazie ad un’iconografia rinnovata, una clientela più aperta alle novità. Il felice connubio di una tradizione ornamentale gotica e di motivi rinascimentali italiani di gusto antichizzante, pervaso ancora da una netta influenza tedesca, riscosse immediatamente grande successo e gli editori che si erano arrischiati nella produzione di figurati in questo stile “moderno”, si ritrovarono ben presto a rifornire il mercato della quasi totalità del nord della Francia e persino a far giungere i loro libri “ultimo grido” in qualche città e monastero inglese e tedesco. Dopo aver aperto la strada alle novità, il libro d’ore parigino continuò a riprodurre se stesso, senza grandi cambiamenti, fino alla fine del secolo439.

E’ il libro d’ispirazione profana a ricevere il passaggio di consegne, surgendo a protagonista della seconda tappa dell’evoluzione dell’illustrazione xilografica e, ben presto, calcografica. Intorno al 1530, infatti, il carattere tipografico romano, il piccolo formato elegante e maneggevole e le figure mitologiche dell’Antichità costituiscono l’ultima moda nel mondo dell’edizione parigina.

Lo stile più propriamente “rinascimentale” ed italianizzante comincia ad imporsi nelle illustrazioni delle traduzioni dei best-sellers “classici”, come le Métamorphoses di Ovidio e le Fables di Esopo, e nelle edizioni di opere d’ispirazione umanistica di sicuro successo, come i Triomphes del Petrarca e le sempre più numerose raccolte di emblemi440. Alcuni editori come Denis Janot, Etienne Groulleau, Gilles Corrozet e Jacques Kerver cominciarono a specializzarsi nella pubblicazione di volumi figurati quasi in ogni pagina, incoraggiati dal fatto che il numero delle incisioni, il piccolo formato, la diminuzione del prezzo degli esemplari e l’alfabetizzazione crescente del pubblico urbano garantivano loro una clientela sempre più estesa ed affamata di novità [Fig. 34-35] 441.

Le piccole ed eleganti vignette dal tratto sottile spesso inserite in cornici delicatamente intagliate, che decorano queste edizioni, ebbero grande successo ed enorme diffusione: sovente prestate o cedute da atelier in atelier e quindi reimpiegate o utilizzate come modelli da cesellatori, pittori su vetro, su smalto e su ceramica, contribuirono in larga parte a diffondere le nuove formule decorative. I minuscoli personaggi abbigliati all’antica che le popolano hanno sottili estremità, una grazia nervosa e atteggiamenti un po’affettati, in cui si possono cominciare ad individuarsi caratteristiche prettamente francesi.

Talvolta, persino artisti di più alta caratura, come Jean Cousin o Jean Goujon, sembra non abbiano disdegnato di consacrare il loro talento al disegno per matrici xilografiche destinate all’editoria, ma non abbiamo alcuna indicazione certa, qualora ciò sia avvenuto veramente, del loro reale contributo.

I loro nomi sono stati citati a proposito di alcuni dei capolavori del libro parigino illustrato del quinto decennio, usciti grazie ai tipi di Jacques Kerver: il De la signification des notes hiéroplyphiques del leggendario Orus Apollo (1543), un’opera anch’essa appartenente - nonostante il pretesto di illustrare il mistero dei geroglifici egizi - al genere emblematico, in cui piccole illustrazioni sono accompagnate da una breve spiegazione. Nelle migliori di queste xilografie, che si presentano come veri e propri quadri in miniatura, vi é un sapientissimo controllo dello spazio, un nuovo gusto e interesse per il paesaggio campestre e per la raffigurazione della natura: sono le stesse caratteristiche che descriverebbero i contemporanei “paesetti” del Fantuzzi e che fra qualche anno si potrebbero applicare alle incisioni di Delaune. Per la loro indiscussa qualità risultano difficilmente attribuibili ad un illustratore di routine, ed é per questo che vi si vorrebbe vedere la mano di Cousin [Fig.36] 442.

Nel 1546, nel pieno del periodo dell’intenso italianismo che pervade la corte francese, Kerver pubblica la traduzione dell’Hypnerotomachia a cura di Jean Martin, con un corredo illustrativo anch’esso “tradotto” secondo il migliore stile bellifontano, si pensi solo al frontespizio: nel loro insieme, le xilografie riprendono quelle della celebre edizione aldina del 1499, ma con una tale libertà ed intelligenza da farne veramente il risultato di un’appropriazione meditata una “belle infedele”, tanto quanto la sua equivalente letteraria. Curiosamente, infatti, la traduzione - lingustica come iconografica - é riuscita ad imporre all’intoccabile Polifilo quell’operazione logica che era necessaria a trasformarlo in un libro illustrato “normale”: ha dato al disegno quel che era del disegno e alla lingua quel che era della lingua, sia sul piano della distribuzione che su quello della rappresentazione. A cinquant’anni dal primo “scandalo”, anche in Francia il Polifilo diventa un “caso”, avvolgendo nel mistero il nome dell’autore delle sue illustrazioni, che, nonostante i numerosi tentativi attributivi, resta ancora anonimo [Fig.36-37] 443.

Nonostante si sia voluta vedere la mano di Cousin in molti dei migliori “figurati” parigini dell’epoca, l’unica testimonianza riguardante la sua attività come illustratore riguarda il suo proprio Livre de perspective, pubblicato nel 1560, alla fine della sua vita [Fig.38] 444.

Si hanno invece prove certe della collaborazione di Jean Goujon alla realizzazione di alcune tavole della descrizione dell’Entrée di Enrico II a Parigi nel 1549, pubblicata a Parigi da Jacques Roffet, capolavoro della xilografa francese del Cinquecento che riveste una doppia importanza: innanzitutto come opera d’arte in sé, e poi come unica e preziosa testimonianza grafica di una manifestazione di prima importanza come quest’avvenimento, occasione di un vero e proprio manifesto dell’arte classicheggiante445 [Fig.39].

Oltre al suo Polifilo, la Parigi manierista ebbe anche la sua Fabrica. Nel trattato di anatomia di Charles Estienne, il De dissectione partium corporis, pubblicato a Parigi nel 1545 da Simon de Colines (il testo era redatto fin dal 1539, dunque antecedente a quello del trattato del Vesalio, ma la stampa era stata interrotta dal diverbio con l’autore delle tavole, il chirurgo Etienne de la Rivière), le illustrazioni si suddividono in più serie: oltre a scheletri e scorticati, le più interessanti sono quelle dei libri II e III, molte delle quali realizzate a partire da legni assemblati446. Nelle matrici, che ripropongono alcune composizioni tratte dalla serie degli “Amori degli dei” di Giulio Romano, da Perino del Vaga e da Rosso, tutte incise dal Caraglio, sono state infatte interpolate, attraverso appositi tasselli, le parti strettamente anatomiche [Fig.41-42]. Se dal punto di vista scientifico, l’interpretazione visiva é totalmente inaffidabile, quasi incredibile se si considera la contemporaneità con l’opera del Vesalio, da quello artistico, il valore é certamente innegabile: nel trattato di un medico che era il figlio di un celebre stampatore ed umanista, Henri Estienne, figliastro di Simon de Colines e fratello di un altrettanto famoso editore, Robert, l’immagine anatomica si fa elegante testimone del successo e della circolazione delle incisioni tratte dai maestri della Maniera e il trattato stesso doveva essere probabilmente destinato ad una lettura più contemplativa che professionale, da parte di lettori eruditi e di spirito aperto e curioso dei nuovi progressi delle scienze.

La definizione e lo studio del libro illustrato bellifontano restano campo vergine per gli studi futuri: la complessità delle questioni e dei problemi che solleva la sua esistenza – ancora del tutto incerta, se si pensa che le opere realizzate devono rappresentare un’infima parte del materiale figurativo destinato alla stampa, compresi progetti il cui contesto originale resta alquanto problematico – obbliga a individuare piuttosto elementi di un “comune sentire” che chiaramente doveva pervadere anche disegnatori, xilografi ed incisori al servizio dell’editoria447.

Riflesso sontuoso delle fantasiose ed elaborate composizioni degli “ornemanistes” di Fontainebleau sono invece le legature che rivestono i libri delle collezioni reali o di quelle dei più raffinati bibliofili del tempo448.

Durante gli ultimi dieci anni del regno di Francesco I, infatti, alcuni legatori cominciarono ad elaborare sul cuoio tutta una serie di decori dorati di stile completamente nuovo, degni di figurare nelle collezioni degli amatori d’arte più aperti alle creazioni artistiche più recenti, primo fra tutti Jean Grolier, tesoriere del regno, ma anche lo stesso sovrano, che istituì tra le mura della stessa reggia una ricca biblioteca, e altri membri della corte449. Gli artigiani delle botteghe sembrano essere stati soprattutto francesi, ma nel 1531 il fiorentino Luigi Alamanni risulta incaricato di acquistare dei ferri per “estamper” i libri, ed evidente appare l’influenza dei modelli del libro “de la science de portraicture” di un altro fiorentino attivo nel cantiere, Francesco di Pellegrino450.

A partire dal 1543, la biblioteca reale intraprende un vasto programma di legature, in particolare per i libri greci. Non conosciamo l’ubicazione dell’atelier che ne fu incaricato, ma fu soprattutto attivo durante il regno di Enrico II, e la particolare tecnica impiegata permette di supporre la collaborazioni di artigiani d’origine italiana o greca come anche di alcuni dei copisti dei manoscritti [Fig.43-44] 451.

Sui piatti di queste legature si ritrovano dunque gli stessi motivi elaborati per i decori architettonici o le arti applicate: esse erano infatti state realizzate per essere esposte in bella mostra in una delle gallerie di Fontainebleau, accanto ad altre opere d’arte, come attesta la testimonianza di Belleforest che celebra la

‘“Richesse des livres, tableaux, effigies et choses rares qui sont en ceste bibliothèque”452

L’attività di questo atelier non può essere decontestualizzata da quella di altri legatori parigini contemporanei che eseguirono decorazioni simili (e di cui almeno uno utilizzava gli stessi ferri per la doratura) e che rispondevano alle numerose commesse di una clientela di appassionati, in particolare stranieri, tra cui i Fugger, fatto che attesta la diffusione e l’apprezzamento su scala europea delle loro realizzazioni. Se ora un certo numero di botteghe cominciano ad essere ben noti e le loro opere identificabili, se il milieu degli amatori é sufficientemente conosciuto, restano ancora da precisare le modalità della creazione dei decori dei legatori: i ruoli, rispettivamente, del possessore del libro, del legatore, dell’indoratore ed eventualmente di artisti esterni all’ambiente editoriale che avrebbero potuto fornire modelli e disegni possono essere stabiliti solamente in riferimento alle pratiche e ai modelli degli ambienti artistici contemporanei.

Notes
439.

L’influenza italiana rinnova l’estetica del libro francese grazie alle edizioni di Geoffroy Tory, mentre é un editore come Chrétien Wechel o un personaggio poliedrico come il geografo ed incisore delle illustrazioni delle sue proprie opere come Oronce Finé che si fanno tramiti dell’influenza tedesca e basileese sul libro parigino del quarto decennio. Cfr. A. Bernard, Geoffroy Tory, peintre et graveur, premier Imprimeur royal, réformateur de l’orthographe et de la typographie sous François I, Paris 1857 (rééd. Nieuwkoop, 1963) ; Brun 1969, pp. 31-65.

440.

Cfr. Anninger 1994 ; per le edizioni francesi delle Metamorfosi, cfr. G. Duplessis, Essai bibliographique sur les différentes éditions des oeuvres d’Ovide ornées de planches publiées au XVe et XVIe siècles, Paris, 1889 ; Ovide en France dans la Renaissance, éd. H. Lamarque e A. Baïche, Toulouse, 1981A. Moss, Ovid in Renaissance France. A Survey of the Latin Editions of Ovid and Commentaires Printed in France before 1600, London, 1982 ; il materiale sulle edizioni a soggetto emblematico in Francia é assai numeroso, cfr. la bibliografia specifica in Sharrat 2005, pp. 362-64.

441.

Denis Janot adotta una nuova formula illustrativa destinata a grande successo nel Théâtre des bons engins di Guillaume de La Perrière (1539) e nell’Hécatomgraphie con i versi di Gilles Corrozet dell’anno seguente : tutte le pagine sono incorniciate da bordure delicatamente incise e ornate e le centinaia di vignette sono di un’eleganza tutta francese. Nelle Métamorphoses d’Ovide, il cui titolo annuncia delle “nouvelles figures et hystoires” appaiono delle numerose e raffinate vignette di piccolissimo formato, eseguite al tratto con grande vivacità e spirito, che diventeranno la cifra delle sue edizioni. In esse le figure hanno estremità sottili e presentano un allungamento, una grazia nervosa, un atteggiamento un po’ affettato che le differenziano nettamente da quelle basileesi. La loro influenza fu straordinaria e non smisero di essere copiate o imitate tanto a Parigi che nei centri provinciali. Lo stesso stile si ritrova nelle vignette dell’Amadis des Gaules del 1540. Durante l’arco del quinto decennio, dai torchi di Janot compaiono ormai ogni anno una o più edizioni illustrate in ogni pagina: nel 1542 le Fables d’Esope, edizione estremamente rara e preziosa, ornata di 100 xilografie con un impiego sistematico dei neri in zone di tinta unita e dei paesaggi stilizzati; nel 1543 il Tableau de Cebès, nel 1544 l’Harmonie Evangelicae con 97 illustrazioni incise alla perfezione, nel 1546, infine l’Apulée. Gilles Corrozet collabora fornisce il testo per i Blasons domestiques, apparsi nel 1539, ornati da una serie di vignette particolarmente espressive, mentre Groulleau, pur servendosi dei fondi d’atelier di Denis Janot li arricchisce di nuove xilografie, attestando così la sua collaborazione con incisori contemporanei. Di particolare bellezza sono poi le Figures de l’Apocalypse, edite nel 1547 da Jeanne de Marnef, vedova di Janot, ornate da ricche cornici che, suddivise in due da un legno trasversale, alloggiano testo ed immagine in due registri differenziati, in un insieme decorativo di rara eleganza. Cfr. Brun 1969, pp. 49-58 ; per Janot, cfr. H. Omont, Catalogue des éditions françaises de Denys Janot, libraire parisien (1529-1545), Nogent-le-Rotrou, 1899; S. Rawles, Denis Janot, Parisian Printers (fl. 1529-1544). A bibliographical Study, PhD Thesis, University of Warwich, 1976, 2 t., per Corrozet, in attesa della bibliografia ragionata di prossima pubblicazione ad opera di M. Vène, cfr. il fac-simile de L’Hecatongraphie (1544) e degli Emblemes du Tableau de Cebes (1543) con uno studio critico di A. Adams, Genève, 1997.

442.

Cfr. Golson 1969; Zerner 1996, pp. 302-3.

443.

Hypnerotomachie, ou Discours du songe de Poliphile, Paris, Kerver, 1546. Cfr. C. Popelin, Le Songe de Poliphile, Paris, 1883, 2 voll. ; Brun 1969, pp. 53-54 ; F. Colonna, Le Songe de Poliphile, ed. anastatica con introduzione e commento critico di G. Polizzi, Paris, 1994 con completa bibliografia precedente ; Zerner 1996, pp. 303-5 ; Andreoli 2001 e 2002.

444.

Livre de perspective de Jehan Cousin senenois, maitre painctre a Paris, Paris, Le Royer, 1560. Nella sua prefazione, lo stampatore J. Le Royer dichiara infatti che é stato lo stesso Cousin a fornirgli “les figures pour l’intelligence d’iceluy necessaires, portraittes de sa main sur planches de bois”; l’intaglio delle tavole é stato eseguito da Royer (o, piuttosto, da lui terminato, in quanto cominciato da suo cognato Aubin Olivier) ed esse dovevano “servir aux rudes et ignorans qui voudront en cognoistre quelque chose, et satisfaire à l’instante poursuite de mes bons seigneurs et amys, amateurs de cest Art”. Quanto alla “seconde oeuvre: auquel seront representees les figures de touts corps, mesmes des personnages, arbres, et paysages, pour entendre et cognoistre en quelle situation, forme et grandeur ils doivent estre representez selon cest art” che Cousin annunciava, sarà suo figlio a portarla a compimento (almeno parzialmente dal momento che non tratta che delle figure) a sua volta alla fine della carriera, nel 1595, con la pubblicazione del Livre de pourtraicture, che ebbe strepitoso successo. Cfr. la scheda di W. Mc Allister Johnson in Fontainebleau 1972, n. 679, p. 464. Si potrebbe agevolmente scorgere la mano di Cousin in splendide edizioni quali l’Usage et description de l’holomètre di Abel Foullon stampato a Parigi da Beguin nel 1555, uno dei più bei libri scientifici dell’epoca, o nell’Henrici II Galliarum regis elogium di Pierre Paschal, stampato da Vasconsan nel 1560, ma la documentazione riguardante Cousin é talmente scarsa e frammentaria e la sua poliedricità artistica talmente incredibile da rendere del tutto arbitrarie tali tentativi di attribuzione. Su Jean Cousin, cfr. Brun 1969, pp. 56-58; Zerner 1996, pp. 227-307: 300-307 in particolare, per quanto riguarda il libro illustrato.

445.

I decori effimeri sono una delle forme artistiche più significative del Rinascimento come altrove. Cfr. The Entry of Henri II into Paris, 16 June 1549, éd. D. Mc Farlane, Medieval & Renaissance Texts & Studies, Tempe & Studies, Tempe Arizona, vol. 7. Renaissance Triumphs and Magnificences, New Series, t. 2, 1982 ; Zerner 1996, pp. 306. Per le feste e le entrate francesi, cfr. la bibliografia in Sharrat 2005, pp. 364-66.

446.

C. Estienne, De dissectione partium corporis humani libri tres, una cum figuris et incisionum declarationibus a Stephano Riviero compositis, Paris, S. de Colines, 1545. Il testo é tradotto in francese già dal 1546. Le tavole del Libro I rappresentano scheletri e scorticati raffigurati in dei paesaggi, corredati da un elaborato sistema di legende. Queste matrici composite lasciano spazio a numerosi tentativi d’interpretazione : forse esse erano state concepite in un primo tempo per un impiego diverso e modificate per l’edizione di Estienne, ma la grande omogeneità delle misure, della scala delle figure umane e delle cornici nelle tre serie di legni, dimostrerebbe invece la loro realizzazione proprio per quest’opera. E’ allora possibile che l’incisore si sia riservato la possibilità di modificare la parte anatomica, o di riutilizzare più volte un legno cambiando solamente la parte modificabile ; o, ancora, che pensasse di reimpiegare le matrici per delle illustrazioni che niente a che vedere avessero con l’anatomia. Cfr. Kellet 1955 ; Talvacchia 1999, pp. 161-187 ; Chatelain-Pinon 2000, pp. 263-64.

447.

Si pensi ad esempio al Livre de fortune, mai pubblicato, ma nel disegno progettuale del cui frontespizio si legge già il nome dell’editore Kerver o al disegno, attribuito a E. Delaune raffigurante “Il Parnaso” per Le premier livre des melanges poetiques de I. Vatel del 1576. Cfr. W. Mc Allister Johnson in Fontainebleau 1972, p. 461 e n. 75, p. 75-76.

448.

Cfr. J.-F. Toulet in Fontainebleau 1972, p. 471-77 ; Reliures royales 1999 con bibliografia.

449.

Fin verso la metà degli anni ‘30 del Cinquecento, le legature di lusso erano generalmente ricoperte di tessuto; sulle legature in pelle, la tecnica del ferro dorato impresso “a freddo”, introdotta in Francia all’inizio del secolo, non aveva prodotto che modeste decorazioni. A partire dal 1535, Jean Grolier, tesoriere di Francia, i cui gusti in materia di legature si erano formati nel corso dei suoi precedenti soggiorni in Italia, appare come il principale agente del fiorire della legatura artistica francese. Le legature più rappresentative eseguite su sua committenza – e che dunque prendono il suo nome - durante la prima metà del quarto decennio presentano una struttura ornamentale di filetti che formano degli “entrelacs” geometrici rigorosamente tracciati, completati da ferri dorati che permettono l’identificazione della bottega. Per Grolier, cfr. anche G. Austin, The Library of Jean Grolier. A preliminary catalogue, New York 1971.

450.

Francesco di Pellegrino rappresenta piuttosto bene quegli artisti italiani espatriati in Francia per lavorare che vi si stabilirono definitivamente. Nel suo libro di modelli, La fleur de la science de portraicture. Patrons de broderie façon arabique et ytalique, Paris, Nyverd, 1530, offre una raccolta di 62 motivi – “patrons” – decorativi tratti dall’arte moresca, principalmente utilizzati nella ceramica e nella legatura, e destinati piuttosto ad artigiani professionisti che al pubblico. Rarissimo per il suo contenuto, il libro lo ancora di più per la sua alta qualità e per il fatto che inaugura un nuovo genere ed é il primo autenticamente bellifontano. Cfr. Brun 1969, p. 269; la scheda di W. Mc Allister Johnson in Fontainebleau 1972, n. 685 p. 467. Per i libri di modelli, cfr. supra.

451.

A partire dagli ultimi anni del regno di Francesco I e fin verso il 1575, i libri delle collezioni reali, e in particolare i manoscritti greci, vengono rilegati secondo una particolare tecnica, detta “alla greca”, analoga a quella che era praticata dagli artigiani bizantini che l’avevano introdotta a Venezia più di cinquant’anni prima e le cui caratteristiche principali sono i piatti in legno, un lungo dorso, cuffie debordanti, fermagli e borchie di rame.

452.

Citato da J.-F. Toulet in Fontainebleau 1972, p. 471.