Le imagini delle donne auguste

Le imagini delle donne auguste intagliate di Enea Vico, vero e proprio tour de force - nonché capolavoro - calcografico fu pubblicato dal suo autore, in associazione con il Valgrisi, nel 1557541. Come si accennava, la presenza di Vincenzo nell’indirizzo di stampa sembra da doversi circoscrivere all’ambito della semplice impressione delle lastre: una collaborazione editoriale - tra l’artista, incisore affermato e già stampatore in proprio di alcune delle sue opere, autore del testo come delle illustrazioni, e che dunque riveste il ruolo primario nella concezione, redazione e, naturalmente, illustrazione dell’opera, e lo stampatore, che doveva risolvere non pochi problemi pratici, mettendo a disposizione la sua officina - volta alla ripartizione dei costi e dei rischi, nonché, ovviamente, dei guadagni.

Non era il primo titolo che il Vico scriveva (e illustrava) sull’argomento: nel 1548 aveva stampato, pare per suo proprio conto, Le imagini con tutti i riversi trovati et le vite de gli imperatori tratti dalle medaglie et dalle historie de gli antichi, che consistevano in 74 tavole calcografiche raffiguranti i ritratti dei dodici Cesari e 551 versi delle loro monete, classificate secondo il metallo di conio, accompagnate da un’introduzione del patrizio veneziano Antonio Zantani. Un’edizione latina dell’opera, arricchita di nuove illustrazioni, seguì nel 1553, con il titolo Omnium Caesarum verissime imagines. Nel 1550, presso Gabriele Giolito De’Ferrari erano invece apparsi, ma senza illustrazioni, eccezion fatta per il bel ritratto calcografico di Cosimo I, i Discorsi sopra le medaglie de gli antichi, il primo trattato puramente “tecnico” del Vico, che, da artista qual’era, si cimentava ora in veste di antiquario, e in cui erano già presenti allusioni polemiche ad “alcuni moderni” a lui contrapposti, segno che l’argomento doveva essere stato oggetto di personale dibattito già in precedenza e che, nonostante il reciproco evitarsi che emerge dalle loro opere, lui e l’Erizzo dovevano necessariamente conoscersi di persona542.

Ritornando alle cinquantaquattro “tra avole, zie, madri, sorelle mogli, figliuole et nipoti de Imperadori” – da Marzia, nonna di Giulio Cesare a Domizia, moglie di Domiziano - la trattazione delle loro vite, ideale filiazione di quella dei Cesari, ne riproponeva, pur con significative varianti, lo schema compositivo: una tavola in cui é incisa in una moneta l’effigie della donna illustre, precede, di volta in volta, la narrazione della sua biografia. Se, come suggerisce lo stesso Vico nell’introduzione del libro, la fedeltà all’oggetto antico é considerata importante, ancora di più però, sembra essere risultata l’urgenza di dargli una forma, ovvero di far sì che il lettore avesse sempre la possibilità di vedere quanto viene descritto dal testo: poco importa se il volto in questione é stato tratto da una moneta, da una gemma o da una statua, ciò che conta é che i suoi tratti corrispondano a quelli pensati dagli artisti romani piuttosto che a quelli immaginati dai moderni.

Le medaglie si pretendono “simigliantissime all’originale”, grazie ad un’accurata resa plastica, in cui il sapiente gioco chiaroscurale fa scorgere anche il più piccolo dettaglio: é infatti possibile leggere con chiarezza l’intensità dei volti, tangere pressoché lo spessore del metallo e ammirare persino le minime cornici perlinate che circondano il tondo. Volutamente fantastica, invece, anche se non casuale nel preciso articolarsi attorno ad ogni moneta, é la ricchissima e varia decorazione che, nel citare il vasto repertorio di ghirlande di frutta e fiori, di cariatidi e amorini che già incorniciavano i cartigli degli “Imperatori”, lo rinnova, utilizzandolo quale elemento costitutivo di costruzioni architettoniche di straordinaria evidenza plastica, nelle quali l’incessante alternarsi di dettagli sempre diversi dissimula le poche tipologie compositive individuabili nella sequenza dell’opera. Le più comuni fra esse vedono la moneta posta entro ridondanti composizioni manieristiche di gusto antiquario che si sviluppano in alzato, formando sorte di nicchie, oppure essa diviene parte integrante di teche marmoree poggianti su semplici lastre di marmo, o su sarcofagi delicatamente scolpiti, o, infine, é raffigurata quale fulcro di elaborati cartouches, ispirati agli stilemi manieristi di Mantova prima e nell’esplosione di Fontainebleau poi.

Comuni a tutte le decorazioni sono le brevi iscrizioni in capitale romana, sorta di epigrafi che integrano quanto é possibile leggere nelle iscrizioni intorno ai tondi: esse recuperano il gusto tridimensionale dell’iscrizione classica, come già accadeva nel frontespizio, in cui é riprodotta, con scrupolosa fedeltà, un’urna funeraria risalente all’epoca claudia, oggi conservata al Louvre, che il Vico poté vedere nella collezione del cardinal Della Valle. In questa vera e propria epigrafe manierista, il titolo appare incorniciato ed inciso con gli stessi caratteri usati per l’equivalente monumentale cui s’ispira: la scrittura stessa si fa così immagine pittorica, diventando parte integrante dell’oggetto tridimensionale che la contiene, elemento visivo prima ancora che testuale.

Alla sensibilità plastica e chiaroscurale che caratterizza le tavole con i profili, si contrappone la linearità calligrafica delle pagine in cui sono illustrati i versi delle medaglie coniate in onore di alcune delle donne auguste: realizzati con un tratto nitido, essi sono incasellati entro uno schema precostituito e numerati in modo che si possa essere facilmente ritrovare, nelle pagine seguenti, il testo di commento ad essi riferito, suddiviso secondo tale numerazione.

Il gusto del Vico per la naturale armonia tra decorazioni, illustrazioni e contenuto del libro, che finisce per precedere e sopraffare la giustificazione teorica, s’incontrava con la professionalità di Vincenzo per concepire un prodotto che, al di là di un compendio di fonti lettterarie, di un trattato di antiquaria e un repertorio numismatico, si presentasse come una sequenza visiva di exempla di vizi e virtù, che offrisse, come spiegata il Vico al lettore (e – immaginiamo - soprattutto alle sue lettrici)

‘“ad un tratto et diletto e utile grandissimo. Et appresso penso, che non minore piacere haverete non senza utile, leggendo i gesti loro in contemplare ancora le imagini poste innanzi a ciascuna delle vite”’

svolgendo in sostanza quella funzione etico-didascalica considerata lo scopo principale dello studio antiquario in generale.

Il Discorso sopra le medaglie antiche di Sebastiano Erizzo

Due anni più tardi uscirono dai torchi del Valgrisi, ma in una mise en page decisamente più sobria, altre riproduzioni di monete antiche, questa volta a corredo del lungo, ambizioso e molto discusso Discorso sopra le medaglie antiche di Sebastiano Erizzo, l’altro protagonista, insieme al Vico, dell’attualissima disputa monete versus medaglie che animava la comunità “numismatica” e antiquaria internazionale543.

E’ nell’introduzione, il vero e proprio Discorso, che l’Erizzo formula la sua risposta alla teoria del rivale, impegnandosi a dimostrare il fine puramente celebrativo delle monete imperiali romane e greche; la successiva Dichiaratione, invece, é costituita dal minuzioso commento ad una serie di 247 medaglie romane, da Augusto a Costanzo, riprodotte tramite matrici xilografiche e di cui si fornisce la descrizione, insieme alla trascrizione e al commento dell’iscrizione, alla specifica del metallo del conio, del luogo di battitura, ad informazioni storiche sul personaggio e alle ipotetiche interpretazioni delle iconografie, soprattutto nel caso delle iconografie dei versi.

L’opera é certamente meno sontuosa di quella del Vico e venne piuttosto contestata dalla comunità scientifica che avallò ben presto le posizioni di quest’ultimo. La discussione non dev’essersi però interrotta a questo punto, come dimostra la seconda edizione del Discorso, apparsa nel 1568, rielaborata in più punti, non soltanto nelle dichiarazioni, ma anche nell’introduzione e la terza, del 1571, in cui si aggiungeva una terza sezione, la Dichiaratione delle antiche monete consulari, una descrizione, priva d’illustrazioni di parecchie centinaia di monete coniate durante il periodo repubblicano.

La stampa fu affidata questa volta a Giovanni Varisco, dal momento che l’Erizzo non doveva essere rimasto del tutto soddisfatto dei servizi resigli dal Valgrisi: in una lettera del 20 aprile 1562, infatti, attribuiva gli errori criticatagli nei disegni e nel testo della prima edizione proprio al tipografo, “ch’io sono l’autore et non il mercatante, che lo fece stampare”.

Cinque piccole xilografie, infine, ornano ognuna l’inizio di ciascuno dei Trionfi petrarcheschi del 1560: l’edizione sembra essere con tutta probabilità un’iniziativa editoriale di Nicolò Bevilacqua, che ne firma la dedica e che ristamperà le vignette – che non sono di grande originalità, dal momento che pur dotate di una certa vivacità, s’ispirano piuttosto pedissequamente a quelle del corredo giolitino di dieci anni precedente - in edizioni a suo solo nome nel 1565 e ancora nel 1568544.

Notes
541.

Cfr. in particolare Cavalca 1995. Nel 1558 esce a Venezia una versione latina del testo dal titolo Augustarum imagines, senza indicazioni di stampa, ma probabilmente reimpresso dallo stesso Valgrisi. Le tavole furono nuovamente tirate nel 1619 da Giovanni Battista Du Val che aveva acquistato i rami.

542.

Per il Vico “antiquario”, cfr. Missere Fontana 1994, 1994-95 e 1995, Bodon 1997; Cunnally 1999, con schede delle edizioni a pp. 211-214; cfr. anche la bibliografia aggiornata in Callegari 2005, pp. 138-39.

543.

L’Erizzo, rampollo di un’antica famiglia patrizia veneziana e allievo del Feliciano a Padova, ricoprì vari uffici cfr. Brigantini, in S. Erizzo, Le Sei Giornate, Roma, 1977, “Nota biografica”, pp. XXX-XXXI ; ad vocem in DBI, vol. XLIII, pp. 198-204 ; Palumbo Fossati 1984. Per la bibliografia delle sue edizioni numismatiche, cfr. Cunnally 1999, pp. 188-89.

544.

Per la tradizione iconografica a stampa dei Trionfi petrarcheschi, cfr. V. Essling-E. Müntz, Pétrarque, Paris, 1902 ; Tenenti 1957, pp. 473-74 ; J. B. Trapp, Illustrations of Petrarch’s Trionfi from Manuscript to Print and to Print to Manuscript, in Incunabola. Studies in Fifteenth Century Books presented to L. Hellinga, ed. M. Davies, London, 1999, pp. 507-547.