Scheda 4

Orlando furioso. Di M. Lodovico Ariosto, tutto ricorretto, & di nuove figure adornato. Alquale di nuovo sono aggiunte Le Annotationi, gli Avvertimenti, & le Dichiarationi di Girolamo Ruscelli, La Vita dell’Autore decritta dal signor Giovambattista Pigna, gli Scontri de’ luoghi mutati dall’Autore doppo la sua prima impressione, La Dichiaratione di tutte le favole, il Vocabolario di tutte le parole oscure, Et altre cose utili & necessarie.

[con proprio frontespizio :] Annotationi et avvertimenti, di Girolamo Ruscelli, sopra i luoghi difficili, et importanti del Furioso. Con l’Espositione di tutte le favole, & di tutti i nomi proprii de i Luoghi, Et con tutti i passi dall’Autore imitati, o tradotti, o tolti da altri famosi scrittori. Con un pieno Vocabolario per quei che non sanno lettere Latine, o Toscane

In Venetia : appresso Vicenzo Valgrisi nella bottega d’Erasmo, 1556

In –4; 2 parti : I: [24], 556 p.; II: [120] p.

Segn. : I : *4, **4, ***4, A-Z8, a-k8 l-n4o2; II : a-l4 M-P4

Illustrazioni

Frontespizio architettonico composto da due erme femminili laterali poggianti su un alto zoccolo, reggenti un architrave su cui poggia un frontone semicircolare al cui centro campeggia il ritratto dell’Ariosto laureato, racchiuso in un ovale e circondato da una cornice recante l’iscrizione “Il divino Ludovico Ariosto” e verso cui due figure alate distese ai due lati del frontone offrono corone d’alloro. Al centro, il titolo é collocato su un finto drappo fissato ai due lati dell’architrave. Nella metà inferiore due putti sorreggono la marca del Valgrisi anch’essa alloggiata in un clipeo. Nello stilobate, l’indirizzo di stampa é alloggiato in un cartiglio ovale.

Cornici di cm 10,5x5,6 a “strap-work” di due diversi decori, popolate da festoni e putti in cui sono alloggiati l’ “argomento” all’inizio di ogni canto.

Quarantasei xilografie di cm 16,5x10,5 circa inserite in cornici di cm 21,5x14 circa, di due decori differenti: in uno la sottile struttura architettonica é popolata da putti musicanti alternati a trofei e ghirlande; nell’altro a mascheroni, figure alate e ad altri personaggi alloggiati nelle volute della cornice.

Le 46 illustrazioni raffigurano sinteticamente i seguenti soggetti754:

Canto I: 1) a sin. Rinaldo e Ferraù; a ds. Ferraù e Argalia; a sin. Rinaldo e Ferraù sullo stesso cavallo inseguono Angelica; 2) Angelica é sdraiata a terra mentre il suo cavallo pascola; 3) a sin. Sacripante presso la riva di un fiume; Sacripante e cavallo a terra, Bradamante ed Angelica; 4) al centro: Angelica e Sacripante a cavallo e Bradamante che si allontana; 5) a sin.: tenda con re e fuori figure, Rinaldo, Orlando altre tende e soldati; 6) colline, città, mare e navi; esercito; Rinaldo contro Sacripante e Angelica in fuga.

Canto II: 1) Rinaldo contro Sacripante e valletto tra loro; Sacripante sale su Baiardo; al centro Angelica a cavallo con eremita; a destra: Angelica fugge; 2) a sinistra, foresta; a ds. Rinaldo a cavallo si dirige verso Parigi; messaggero e Gradasso a cavallo; a ds. Rinaldo in ginocchio; 3) Parigi attorniata da mura; Bradamante e Pinabello; 4) Mare, fiume, Calais; a ds.: insenatura con una nave; l’Inghilterra.

Canto III: 1) Melissa e Bradamante dentro ad un cerchio magico disegnato a terra; diavoli e schiere di uomini tra cui si riconoscono Alberto e Ruggierino; 2) al centro: Melissa e Bradamante verso una città; al centro e a ds: Pinabello trascina un altro cavallo; 3) Città bagnata da fiume (Bordeaux) 4) Bradamante e Brunello verso il palazzo di Atlante. Al centro scorre la Garonna.

Canto IV: 1) Bradamante e Brunello a cavallo verso sin. ; oste e altri fuori dalla cantina guardano in alto verso l’Ippogrifo; 2) a sin. Brunello spunta da dietro un albero; al centro: Bradamante su un cavallo imbizzarrito guarda l’Ippogrifo; 3) a ds. Bradamante, Atlante e l’Ippogrifo; Bradamante ha incatenato Atlante e i due salgono sul colle sul quale sorge un palazzo; 4) al centro: Gradasso, Sacripante, Prasildo e Iroldo giungono a piedi con un cavallo; Ruggiero trattiene Bradamante rivolta verso l’Ippogrifo; 5) Davanti all’ingresso di un palazzo, Atlante si china di fronte a Bradamante; in cielo Ruggiero vola via sull’Ippogrifo; Guinigi e Pinalbello a cavallo; il mare, altra riva sulla destra; la chiesa di S. Andrew e sotto si scorgono le mura di una città (Berwich).

Canto V: 1) scudiero che si dirige verso il centro dove giungono Rinaldo e Dalinda a cavallo. La scena é separata dal resto da un muro; 2) duello dentro un recinto; a sin. Rinaldo colpisce Polinesso; Lucarnio e Ariodante assistono; oltre la cinta muraria spettatori e il re assistono al passaggio di Rinaldo.

Canto VI: 1) Ruggiero lega l’Ippogrifo ad un albero; 2) al centro: Ruggiero si china su di uno specchio d’acqua: 3) si allontana sull’Ippogrifo; 4) combatte contro dei mostri; 5) a sin. Palazzo con colonne; montagne nello sfondo.

Canto VII: 1) scontro tra Ruggiero ed Ersilla; 2) ponte e fossato; al centro: Ruggiero; a destra: Melissa a cavallo; 3) a ds. Melissa e Ruggiero vicino a fiume; al centro: palazzo con colonne, al cui interno é riunita una tavolata; Alcina riceve Ruggiero.

Canto VIII: 1) scontro all’interno di un recinto, Astolfo contro altri; 2) Ruggiero fugge a cavallo; 3) al centro: ancora Ruggiero a cavallo; 4) Angelica in mare a cavallo; 5) a sin. le sponde d’Inghilterra e Francia. Astolfo e Melissa in volo sull’Ippogrifo.

Canto IX: il Mare del Nord, Inghilterra (Irlanda ed Ebridi), Paesi Bassi (Anversa). Al centro, vascello tra i flutti con Orlando. 1) Orlando sulla riva e Olimpia in mare in barca.

Canto X: 1) a ds. riva con vascello su cui vi é Bireno, Olimpia e un’altra figura femminile; Bireno si allontana da una tenda al cui interno dorme Olimpia; 2) il vascello si allontana; 3) l’isola di Alcina e l’isola di Logistilla; 4) Inghilterra, Irlanda e mare con battaglia.

Canto XI: 1) Ruggiero e Angelica; 2) a sin. Angelica e pastore; a ds. Ruggiero presso una fontana e scene con cavallo, Ruggiero, Angelica, gigante e Bradamante; 3) Olimpia esposta al mostro marino legata sulla spiaggia; Orlando contro il mostro marino; Olimpia e Oberto.

Canto XII: 1) Orlando a cavallo; 2) il palazzo di Atlante; 3) Orlando, Ferraù e Angelica; 4) Anglante e Manilardo sconfitti da Orlando; città nello sfondo.

Canto XIII: 1) All’interno di una grotta, Orlando scaglia una tavola contro i briganti; 2) Isabella e Gabrina davanti al fuoco; 3) a sin. palazzo, di fronte Ruggiero e Bradamante; Orlando, Isabella e uomini impiccati ad un albero; Gabrina scappa nel bosco.

Canto XIV: 1) Rodomonte sotto una tenda di fronte a Agramante. Dietro la tenda si dispiega un esercito; 2) Mandricardo in diversi combattimenti; 3) Mandricardo e Doralice; 4) Parigi assediata.

Canto XV: 1) Agramante e i suoi soldati attaccano la porta di una torre; 2) mare; 3) mappa a volo d’uccello dell’Africa, dell’Arabia, della Persia e dell’India.

Canto XVI: 1) Damasco ed Antiochia. Al centro, Grifone bacia Orrigile in presenza di Martano; 2) Roma e Gerusalemme; dall’altro lato di un corso d’acqua Agramante assedia Parigi.

Canto XVII: 1) Parigi e battaglie; 2) giostra tra le mura di Damasco.

Canto XVIII: 1) vendetta di Grifone; sulla ds interno di città (Damasco ?); 2) numerose città: Laizzo, Lidia ecc.; il mare e Cipro; 3) Altri combattimenti presso Parigi.

Canto XIX: 1) Zerbino, Dardinello, Medoro e Cloridano a cavallo; vari battaglie e scontri; 2) città nell’angolo destro; Guidon Selvaggio.

Canto XX: 1) sin: Guidone e Alessandra; a ds. Guidone e Marfisa; Guidone e Astolfo; 2) combattimenti all’interno delle mura circolari di Alessandretta; mappa a volo d’uccello dell’Europa meridionale e Asia Minore.

Canto XXI: 1) Ermonide, Zerbino e Gabrina; 2) Ermonide ucciso da Zerbino 3) Pinabello, Zerbino e Gabrina.

Canto XXII: 1) Zerbino e Gabrina a cavallo; a sin. Pinabello a terra; Astolfo e Bradamante 2) il palazzo di Atlante; Ruggiero e Bradamante; Aquilante, Grifone, Sansonetto e Guidon Selvaggio; mappa a volo d’uccello d’Inghilterra, Fiandre, Franconia, Bohemia, Ungheria, Tracia e altri paesi.

Canto XXIII: 1) a ds. Bradamante distesa, a fianco, due cavalli al pascolo; 2) Bradamante e Astolfo; 3) mura di di Montalban al cui interno vi sono Bradamante e Ippalca; numerose scene che vedono protagonisti Ippalca, Rodomonte; Isabella; Zerbino; Orlando; Mandricardo; a ds. mura di Altaripa; 4) il boschetto di Angelica e Medoro; Astolfo sull’Ippogrifo.

Canto XXIV: 1) scene di pazzia d’Orlando; numerose scene che vedono protagonisti Zerbino, Isabella, Odorico, Corebo, Aimone, Mandricardo, Doralice, Rodomonte ecc.

Canto XXV: 1) Doralice e Rodomonte guidati dal nano; 2) gli stessi giungono presso una fontana 3) città in fiamme in cui entra Ruggiero; Ruggiero e Rinaldo; 4) Le mura della città di Agris, verso cui si dirigono nuovamente Ruggiero e Rinaldo; 5) Ruggiero e Rinaldo incontrano Marfisa.

Canto XXVI: 1) Aldigiero, Ruggiero, Rinaldo di fronte a Marfisa; 2) al centro i medesimi personaggi impegnati in battaglia; 3) a sin. Marfisa, Ruggiero, Aldigiero, Ricciardetto, Malagigi e Viviano presso la fonte di Merlino; 4) al centro gli stessi banchettano; 5) altre scene che vedono protagonisti Ippalca, Ruggiero, Marfisa, Mandricardo, Rodomonte.

Canto XXVII: 1) Rodomonte e Mandricardo seguono Doralice; 2) a sin. Parigi sotto assedio in cui entrano Uggieri, Olindo e Brandimarte; al centro Carlo Magno; a ds. l’arcangelo Michele e la Discordia nel monastero; 3) al centro, luogo dello scontro dei cavalieri: Agramante in trono; Doralice, Marfisa, Ruggiero e Marsilio; 4) vari episodi nello sfondo che vedono protagonisti Ruggiero, Sacripante, Rodomonte e l’oste.

Canto XXVIII: 1) Rodomonte all’ostello con l’oste e altri personaggi 2) Rodomonte a letto 3) Rodomonte su una nave percorre il corso della Saona, lambendo Lione, Vienne, Valence, Avignone, la Provenza e Arles; sulla ds. Isabella, Rodomonte e il frate eremita.

Canto XXIX: 1) a ds Rodomonte, Isabella e l’eremita a cavallo; a sin. di nuovo Isabella e Rodomonte; 2) lotta tra Rodomonte e Orlando presso uno stretto ponte; Rodomonte cade in acqua e Orlando risale; 3) a ds. palazzo all’interno del quale Rodomonte taglia la testa ad Isabella; 4) scene della pazzia di Orlando; Angelica e Medoro.

Canto XXX: 1) a ds Orlando nudo trascina un cavallo per le zampe; a sin. Orlando nel fiume e altre scene della sua pazzia; 2) Duello tra Ruggiero e Mandricardo; 3) altri episodi che vedono protagonisti Doralice, Ruggiero Agramante; Mandricardo; sullo sfondo, accampamenti e la città di Montalban.

Canto XXXI: 1) battaglie di cavalieri: Rinaldo, Guidon Selvaggio, Alardo, Ricciardetto; 2) altri episodi di battaglia presso accampamenti e città.

Canto XXXII: 1) Marfisa a cavallo trasporta Brunello legato; a sin. palazzo all’interno di mura (di Arles): Ruggiero; Marfisa consegna Brunello ad Agramante che 2) lo fa impiccare ad un albero; 3) Montalban : in un palazzo Bradamante si dispera per Ruggiero; al centro Bradamante e il Guascone; la città di Caorse; 4) altri episodi con protagonista Bradamante.

Canto XXXIII: 1) a sin. palazzo di cui il signore illustra a Bradamante il significato degli affreschi; Ullania raggiunge Bradamante; 2) Bradamante batte gli spasimanti della regina di Svezia 3) numerose altre scene tra cui Rinaldo e Gradasso che duellano; Astolfo sull’Ippogrifo libera il senapo dalle arpie.

Canto XXXIV: 1) Astolfo e l’Ippogrifo; Astolfo e l’ombra di Lidia nella caverna delle donne ingrate; 2) Astolfo blocca la porta dell’antro con dei tronchi che taglia servendosi della spada; si lava in una fonte; 3) giunge in Paradiso, dove, in uno splendido palazzo S. Giovanni gli consegna il senno di Orlando.

Canto XXXV: 1) S. Giovanni mostra ad Astolfo un fiume su cui degli uccelli si precipitano a raccogliere con il becco bigliettini che il tempo lascia cadere; 2) all’interno di un palazzo vi sono le tre parche e, di nuovo, Astolfo e San Giovanni ; 3) a sin. una ninfa raccoglie due bigliettini da altrettanti cigni bianchi; il tempietto a pianta circolare dell’Immortalità; 4) Fiordiligi invoca l’aiuto di Bradamante contro Rodomonte che viene sconfitto; 5) presso Arles altri episodi che vedono protagonista Bradamante, Serpentino e Grandonio.

Canto XXXVI: 1) Bradamante colpisce Marfisa; 2) a sin. all’interno di un palazzo, Ruggiero, Ferraù, Marfisa e Agramante; a ds.: Ruggiero si scontra con Bradamante; 3) Ruggiero, Bradamante e Marfisa nello sfondo.

Canto XXXVII: 1) Ruggiero, Bradamante e Marfisa a cavallo; 2) incontrano le tre fanciulle prigioniere di Manganorre; 3) I tre insieme ad Ullania si dirigono verso il castello di Manganorre.

Canto XXXVIII: 1) Ruggiero, Bradamante e Marfisa a cavallo 2) tende dell’accampamento sotto le mura di Arles; Marfisa s’inginocchia al cospetto di Carlo; Turpino battezza Marfisa; 3) Rinaldo affronta Ruggiero; 4) Astolfo organizza l’esercito di Nubia.

Canto XXXIX: 1) Rinaldo e Ruggiero duellano all’interno di un recinto al cospetto di un folto pubblico di soldati e cavalieri; Agramante rompe il patto e si ritira; Astolfo assedia Biserta in cui giunge Orlando; scene di battaglia con i paladini: Orlando, Astolfo, Oliviero, Brandimarte, Dudone, Sansonetto ecc.

Canto XL: 1) battaglia navale: sulle navi Dudone, Sobrino, Agramante ecc. 2) scene di guerra tra Arles e Marsiglia; navi sul mare e Biserta cinta da mura attorno a cui infuria la battaglia.

Canto XLI: 1) Dudone affronta Ruggiero; 2) a sin.: Oliviero; Brandimarte e Astolfo; navi colte dalla tempesta : Ruggiero é accolto dall’eremita nella sua grotta; 3) altre scene di battaglia nello sfondo.

Canto XLII: 1) Agramante e Orlando; Gradasso e Orlando combattono a cavallo; 2) Orlando assiste Brandimarte morente; 3) Basilea; Costanza; Mantova; il palazzo del mantovano.

Canto XLIII: 1) a sin. la fontana del palazzo del antovano; l’oste offre la coppa di vino a Rinaldo; 2) percorso di Rinaldo verso Ostia e poi verso Lampedusa; funerali di Brandimarte.

Canto XLIV: 1) in una grotta, Rinaldo e Ruggiero si riconciliano in presenza dell’eremita di Orlando e di Sobrino; 2) scene di battaglia tra Biserta, a sin. e Parigi, a ds. separate dal mare che Astolfo sorvola sull’Ippogrifo; Ruggiero in Levante nella battaglia tra bulgari e greci.

Canto XLV: 1) a ds. Ungiardo é avvisato della vittoria di Ruggiero; a sin. all’interno di un palazzo, Ruggiero dorme; al centro la porta della città di Novengrado; 2) all’interno delle mura episodi che vedono protagonista Ruggiero, Teodora e Leone. 3) Parigi e Carlo Magno in trono; 4) Duello tra Ruggiero e Bradamante 5) Ruggiero vaga nel bosco

Canto XLVI: 1) Melissa e Leone a cavallo 2) ritrovano Ruggiero nel bosco 3) si dirigono tutti verso Parigi in cui é riunita la corte di re Carlo; 4) nozze di Bradamante e Ruggiero; 5) duello di Ruggiero e Rodomonte.

Reimpiegate complete di cornici in :

Orlando furioso

Edizioni in-4 pubblicate dal Valgrisi nel 1558, 1560, 1562, 1565, 1568, 1572 e 1573

A partire dall’edizione del 1565 sono state aggiunte cinque nuove tavole, delle stesse dimensioni e medesima impostazione pluriepisodica, relative agl’altrettanti Cinque Canti.

Reimpiegate prive delle cornici in 

Orlando furioso

Edizioni in-8 pubblicate dal Valgrisi nel 1556, 1565 e 1566

A partire dall’edizione del 1565 sono stati aggiunte cinque nuove tavole, delle stesse dimensioni e medesima impostazione pluriepisodica, relative agl’altrettanti Cinque Canti.

Orlando furioso di M. Lodovico Ariosto. Tutto ricorretto, & di nuove figure adornato, Co i nuovi discorsi di Girolamo Ruscelli nel principio de’ Canti.

In Venetia : appresso Vicenzo Valgrisio & Baldassarre Constantini, 1557 (Alcune edizioni portano nella sottoscrizione il solo nome del Valgrisi e la data in numeri romani anziché arabi)

In –24 lungo; 2 parti : 1031 p., [24] p.; Segn. : I : A-Z12, II : a-x12

Illustrazioni

46 piccole vignette xilografiche all’inizio di ogni canto, che riprendono l’episodio centrale, o in primo piano, delle tavole delle edizioni in-4, seguendone la stessa impostazione iconografica ma come se ne fossero stati “ritagliati”. L’illustrazione non é più chiaramente multiepisodica, ma raffigura un singolo episodio.

Reimpiegate in :

Orlando furioso

Edizioni in-24 pubblicate dal Valgrisi nel 1563 e nel 1570.

L’edizione 1563 contiene un carta ripiegata di cm. 8,5x10 con il profilo dell’Ariosto, tratto dal prototipo tizianesco, inserito in una cornice ovale.

Nell’edizione 1570 sono stati aggiunte cinque nuove tavole, delle stesse dimensioni, relative agl’altrettanti Cinque Canti.

Nessun genere letterario codificato quanto il poema cavalleresco ha goduto il privilegio di essere esibito al pubblico dei lettori con un corredo d’illustrazioni così copioso, così vario e così tempestivamente aggiornato con l’evolvere della sensibilità e dei gusti. Nel suo articolarsi e rinnovarsi, un tale evento segue per di più una parabola che si accompagna, per tutta la sua estensione, in parallelo con la storia della grafica e dell’arte del libro e anzi ne rappresenta uno dei capitoli più cospicui, certamente il più nutrito per ciò che attiene alla pratica illustrativa di testi letterari.

Isolata in un primo tempo sul frontespizio del romanzo o del poema cavalleresco, l’illustrazione non pretende che a un richiamo allusivo al loro contenuto, in genere suggerito mediante la figura del protagonista o con la rappresentazione di duelli o battaglie. Alla tavola del frontespizio si aggiunge più tardi, nelle edizioni protocinquecentesche, un numero variabile di piccoli legni che in testa ai singoli canti o intercalati alle ottave invitano a sostare volta a volta sull’immagine di un personaggio o sulla scena madre di un episodio, quasi in una sequenza di fotogrammi narrativamente concatenati. Questa seconda fase è documentata, nella prima metà del Cinquecento, dalle stampe del Morgante, dell’Orlando innamorato, del Mambrino e del Furioso e tocca forse il momento più alto con i legni introdotti nella seconda edizione del Baldus folenghiano (1521) a seguito di un concordato intervento, da parte dell’autore, dell’incisore e dello stampatore, che dà luogo a una puntuale integrazione del testo e assolve altersì una funzione di commento e di stimolo interpretativo755.

Domanda e offerta, istanze dei lettori e proposte della nascente industria tipografica trovano una nuova ragione d’incontro sul terreno dei romanzi e dei poemi di cavalleria, prospettandosi in termini differenti, dal Quattrocento al Cinquecento, le condizioni di un’attività pubblicistica prosperante in connessione diretta con la crescita delle attitudini ricettive e degli interessi dei lettori e, specificamente, con l’ampia diffusione e popolarità della letteratura cavalleresca.

Nello specifico caso italiano, la diversificazione stessa dei formati e delle tipologie del libro cavalleresco, con una preferenza per le edizioni in-4 e in-8 stampate spesso in caratteri romani e poi in corsivo, il numero delle edizioni, la persistenza anche per il romanzo colto fino alla seconda metà del Cinquecento della tematica carolingia già resa popolare dalla letteratura dei cantari e della forma in ottava rima, sono tutti elementi che dimostrano un pubblico più ampio del solo ceto nobiliare, e reso composito dalle modalità diverse della lettura – in particolar modo quella socializzata, ad alta voce - oltre che dalle forme tipografiche differenziate che i libri di cavalleria italiani assumono fino al Seicento756.

Un reciproco rapporto di causa ed effetto collega, nel XVI secolo, la fortuna del Furioso all’ingente numero delle edizioni illustrate del poema (circa l’80% delle cinquecentine catalogate), con riflessi che si estendono alle opere di qualche epigono dell’Ariosto, come La morte di Ruggiero, del Pescatore, che più degli altri é vicino agli appassionati del genere cavalleresco.

A ciacuno il suo Furioso

In favore della particolare popolarità dell’Orlando Furioso presso una cerchia più ampia di riceventi basta citare il numero enorme di edizioni, circa 150, la maggior parte delle quali stampate a Venezia, che questo testo ha conosciuto durante l’arco del secolo : fra il 1524 e il 1590 si può documentare almeno una nuova edizione quasi ogni anno, tuttavia si riscontrano assai sovente da tre a cinque edizioni (1542, 1543, 1549, 1551, 1554 e più oltre), in un anno - il 1556, data della princeps valgrisina persino otto757. Tra il 1542 e il 1560, il solo Giolito, come vedremo, ne sforna ventisette edizioni, cui si devono aggiungere una traduzione spagnola (1553), nonché altre due edizioni che furono eseguite da altri editori su commissione della stessa casa editrice758. Nei decenni che trascorrono tra il 1530 e il 1569 il numero delle edizioni cresce costantemente, mentre tra il 1570 e il 1589 cala leggermente per diminuire notevolmente nell’ultima decade del secolo : se tra il 1560 e il 1569 vennero pubblicate ventotto edizioni diverse e fra il 1580 e il 1589 pur sempre diciassette, tra il 1590 e il 1599 se ne contano solo sei e il loro numero cala ulteriormente in maniera evidente a partire dagli anni ‘30 del XVII secolo759.

Ma che l’Orlando Furioso sia stato un testo assai diffuso e popolare, non é solo ricostruibile dal numero delle edizioni, ma, soprattutto dalle esplicite constatazioni dei contemporanei760.

Nel dialogo di Pellegrino, Il Carrafa (1584), che segna l’inizio della controversia Ariosto-Tasso, Carrafa rimanda, contro gli argomenti di Attendolo sulla superiorità della Gerusalemme Liberata, alla straordinaria fama dell’Ariosto :

‘“non solo in Italia, ma quasi nel mondo tutto, poiché il suo Orlando è stato tradotto in tante lingue che non solo la spagnuola, la francese e la tedesca, ma altre insino all’arabica (se é vero quel che si dice) é stata vaga di cantarlo o di ragionarlo, il che non é avvenuto (per quel ch’io sappia) di nessun altro libro nell’età nostra e forse nelle passate”761

Le asserzioni – almeno secondo le nostre conoscenze bibliografiche odierne – saranno nel dettaglio, inesatte ; nondimeno é significativo che in un dialogo che cerca di dimostrare la superiorità estetica del poema eroico tassiano, vengono tematizzati in modo esplicito sia la diffusione che il successo dell’Orlando Furioso.

Ancora un decennio più tardi, nel 1593, Guarini si riferisce esplicitamente al numero delle edizioni come prova del successo : “stampato le migliaia delle volte”762.

Anche lo stesso Tasso si vede costretto a fare un’affermazione analoga ebbene infatti Ariosto si sia allontanato dai modelli dell’antichità e dalle regole aristoteliche

‘“é letto e riletto da tutte le età, da tutti i sessi, noto a tutte le lingue, piace a tutti, tutti il lodano, vive e ringiovinisce sempre nella sua fama e vola glorioso per le lingue de’ mortali”763.’

Il commento del Tasso implica, oltre alla constatazione generale del successo, un’interessante osservazione riguardo al pubblico interessato al poema ariostesco – osservazione che all’epoca non era affatto incontestata – e cioè che tutti, e quindi necessariamente anche i lettori più svariati, abbiano trovato un diletto particolare nella sua lettura. Considerazioni analoghe, d’altronde, si riscontrano nelle prefazioni a numerose edizioni coeve, come ad esempio in quella del Guerra del 1568:

‘“Vediamo tutto il giorno haversi in mano il suo leggiadro Poema da ogni sorte di persone: & vediamo, ciascheduno cavarne gusto eguale à la sua capacità”764

Il processo di ricezione si poteva dunque differenziare benissimo a seconda della specificità dei lettori. Questo concetto viene elaborato ancora più estesamente nell’anonimo Giudicio fatto sopra il Furioso che apparve per la prima volta nell’edizione di Gobbi del 1580, più volte ristampata:

‘“Il Furioso di M. Lodovico Ariosto che fin qui tante volte da tanti in tante forme è stato dato alla Stampa, è opera così ben da voi conosciuta (Benigni Lettori) che non v’ha alcun grado di persona, grande, mezzano, o picciolo, na v’ha alcun dotto, nè mezzanamente versato negli studi, nè alcuno ignorante, ilquale pur che sappia leggere, non prenda gusto, & dilettatione in questo Poema”765

Già nel XVI secolo, dunque, non solo il grande numero di edizioni era considerato un criterio particolare per il successo, ma si enucleava anche una duplice tipologia di lettori che si differenzia a seconda del ceto sociale o secondo il grado d’istruzione. A seconda della ricezione differenziata a seconda dei due gruppi di pubblico – “dotti” e “indotti” – nello stesso testo si legge, un po’ più oltre:

‘“Riconoscono essi dotti l’imitazione & quanta felicità habbia questo autore avuto in saper tanto soavemente & con tanta leggiadria spiegare i suoi concetti. Et coloro che non son dotti, riconoscono la bellezza delle favole, & delle inventioni, & si compiacciono nella dolcezza dei nomi e lo vanno per ogni parte cantando”766

Si é di fronte all’evidente distinzione tra la ricezione del “dotti”, riferita al modo di realizzazione estetica, e l’interesse degli incolti, orientato sostanzialmente al contenuto, distinzione che é senz’altro plausibile dal momento che fino a tutto il Cinquecento inoltrato i cantari popolari erano recitati pubblicamente, e che quindi i personaggi e le storie dell’Orlando furioso erano familiari anche ai ceti più distanti della cultura, benché sicuramente non lo fosse la loro specifica realizzazione estetica767.

Che poi i destinatari delle stampe del Furioso fossero eterogenei per classe sociale e livelli culturale, e, fattore ancor più rilevante, come gli editori del tempo avessero una chiara idea del diverso tipo di fruizione del testo che ne sarebbe derivato é chiaramente testimoniato dalla differenziazione dei formati: gli in-4, tanto lussuosi e densi di bagaglio, quanto costosi, e gli in-8, certamente più maneggevoli ed economici ma meno curati nella loro veste editoriale768.

Ma vi sono autori che si esprimono in maniera ancora più dettagliata riguardo alla struttura del pubblico: Giuseppe Malatesta, raccontava, inventandone proabilmente alcuni particolari, un viaggio avvenuto in area padana, verso Venezia. Giunto in un’osteria

‘“Trovai quivi una masnada di briganti, tra i quali era l’oste, che leggendo un libro, non si degnò pur di alzare il viso per mirarmi [...]. E perché stavo digiuno e famelico, domandai subito da far collazione, e da rinfrescar i cavalli, a che mi fu risposto con quel verso dell’Ariosto:’ ‘In casa non ci é biada, pan né vino.’ ‘[...] Pregai poi l’oste, che di grazia mi imprestasse alquanto il suo libro e egli avventatatomelo così dispettosamente e col viso dell’armi: “Togliete, mi disse. Era questo il Furioso il quale io lessi con piacere, e molto soavemente mi passai più d’un hora di tempo che durò quella pioggia.’

Finita la pioggia, l’oste costringe il Malatesta a pagare la sosta e la lettura

‘“[...] e dall’ora in qua ho fatto, come quei cani che scottati dall’acqua bollente temono poi della fredda, perché in quante osterie sono andato, che per tutto, Dio grazie, ci ho trovato il Furioso, io non sono mai più assicurato di leggerlo, dubitando pure, poiché tutti gli osti lo tengono, che da vero non ci fusse questa usanza di pagar in conto della scotto la sua lezione”769

L’aneddoto, forse inventato per corroborare la propria difesa del Furioso, testimonia di un’usanza, quella dei libri e degli intrattenimenti offerti ai viaggiatori nelle osterie, della quale vi é forse traccia fin dentro il Furioso, al canto XXVIII, nella novella raccontata ad Astolfo dall’oste Giocondo770, che sembra aver tutta l’aria di essere ambientata in un contesto reale, poi ripreso anche dal Cervantes nel Don Quijote 771 .

Fondandosi sempre sul medesimo argomento, ovvero le continue riedizioni del poema, gli innumerevoli commentari, le ‘tavole’ che furono allegati al testo per semplificarne la ricezione, anche il Malatesta testimonia l’alta considerazione che il poema gode presso tutti i ceti della popolazione

‘“fino alla ciurma dell’infima plebe cosi studiosa di questo poema, che molti fra loro vi sono, i quai, non sapendo leggere, nè appena combinare, voglion pur tutto il giorno distratiare i versi del Furioso, & impararne qualche stanza a mente, per poter la poi biscantare sù la ribecca, o su’l gravicembalo”772

e ne sottolinea addirittura l’ “insaziabilità” dei fruitori, che non cessano di “gustarlo”.

Questa tradizionale modalità dell’intrattenimento colto e popolare italiano del Cinquecento, a volte con accompagnamento musicale é forse anche la ragione della preferenza accordata in Italia all’ottava sulla prosa per la scrittura del romanzo, a differenza di quanto avviene in Spagna o in Francia773.

Nell’estate del 1581, Michel de Montaigne descrive così, in italiano, un’improvvisatrice durante un intrattenimento conviviale a Bagni di Lucca

‘“Invitai tutti alla cena, perché li banchetti in Italia non é altro ch’un ben leggiero pasto in Francia. Parecchi pezzi di vitella, e qualche paro di pollastri, é tutto. Ci stettero a cena il colonnello di questo vicariato sig. Francesco Gambarini, gentiluomo bolognese, mio come fratello: un gentiluomo francese, non altri. Fuori che feci mettere a tavola Divizia. Questa é una povera contadina vicina duo miglia dai Bagni, che non ha, né il marito, altro modo di vivere che del travaglio di loro proprie mani, brutta, dell’età di 37 anni. La gola gonfiata. Non sa né scrivere né leggere. Ma nella sua tenera età avendo in casa del patre un zio che leggeva tuttavia in sua presenza l’Ariosto, et altri poeti, si trovò il suo animo tanto nato alla poesia, che non solamente fa versi d’una prontezza la più mirabile che si possa, ma ci mescola le favole antiche, nomi delli dei, paesi, scienzie, uomini clari, come se ella fusse allevata alli studi. Mi diede molti versi in favor mio. A dire il vero, non sono altro che versi, e rime. La favella elegante, e speditissima”774.’

La semplicità della frugale cena italiana, la povertà dell’amblematica Divizia, l’eleganza della sua “favella”, l’esteriorità della sua poesia sono altrettanti caratteri dell’Italia dei viaggiatori moderni che nel diario di Montaigne iniziano a prendere forma: il mito dell’improvvisazione é un altro di essi.

Uno dei presupposti della capacità d’improvvisare versi é la memoria, che spesso viene sostenuta tanto dall’accompagnamento musicale, tanto dalle immagini: in questo senso tutte le testimonianze raccolte sulla diffusione popolare del Furioso, imparato a memoria e cantato nelle strade e nelle piazze fin dal suo primo apparire,

‘“se oggi fusse perduto il Furioso del tutto, non mancherebbero le schiere degli uomini che lo serbano a mente da capo a piede di parola in parola” 775

se seguono le tracce del travolgente successo di un’opera straordinariamente nuova e fatta per piacere al pubblico di tutti i livelli, riportano a modelli di ricezione e consuetudini di lunga durata sui quali s’inserisce con slancio straordinario la diffusione del poema ariostesco.

L’Orlando illustrato

Il Furioso fu illustrato tardi. Trascorsero più di venticinque anni dalla prima edizione del 1516 prima che ne comparisse una veramente ornata di figure.

A differenza delle opere degli autori classici e dei tre sommi poeti trecenteschi, che avevano una tradizione figurativa cui potersi rifare, tradizione che affondava le sue radici nelle illustrazioni miniate dei codici, la stessa cosa non si poteva dire del poema ariostesco, il cui unico precedente era l’Orlando Innamorato del Boiardo, e, molto tempo prima, le figurazioni del mondo cavalleresco e cortese dell’epos bretone-carolingio776.

Non era facile tradurre in immagini la ricchissima invenzione ariostesca, come non era facile dare un volto e un corpo a tutti i personaggi evocati da un’inventiva senza precedenti, né tantomeno rendere la continua frammentazione della narrazione. All’artista illustratore si offriva dunque un larghissimo campo d’azione ma lo si sottometteva al tempo stesso ad enormi difficoltà: come facilmente si smarrisce il lettore – ma perdersi nel Furioso é talmente bello, quasi come perdersi nelle calli di Venezia: si scopre sempre qualcosa di nuovo ! – così gl’illustratori, nella complessità dell’intreccio, negli episodi che si accavallano gli uni sugl’altri, fra un numero grandissimo di personaggi le cui azioni, iper-dinamiche e totalmente prive di pause, richiederebbero molteplici campi pittorici.

Malgrado ciò il Furioso troverà ottimi illustratori, che in certi casi - e pensiamo sarà facile dimostrare che l’edizione valgrisina ne sia il migliore - rendono giustizia non solo alla straordinaria fantasia del suo autore, ma anche a quell’intimo e profondo rapporto, che certo dovette esistere, tra l’Ariosto e le arti figurative del suo tempo777.

L’editio princeps dell’Orlando Furioso apparve a Ferrara nel 1516, per i tipi di Giovanni Mazzocchi778. Come in tutte le edizioni anteriori al 1532, il poema é suddiviso in 40 canti. Il testo, disposto su due colonne, é preceduto da un frontespizio recante la marca dello stampatore con le iniziali “I. M.”. Unico ornamento, una grande xilografia con l’impresa del poeta: uno sciame d’api fuggenti da un ceppo sotto cui é acceso un fuoco, il tutto entro una cornice lineare con, sui lati, scuri e martelli tenuti insieme da una serpe, che racchiude, ripartito nei quattro angoli, il motto dell’Ariosto: “Pro Bono Malum”, forse un velato rimprovero all’ingratitudine di Ippolito d’Este, cui il poema é dedicato. La stessa xilografia orna anche la seconda edizione del 1521 stampata a Ferrara da Giovanni Battista da la Pigna779.

L’edizione non autorizzata, stampata a Milano nel 1524 da Agostino da Vimercate, é ornata in principio da due xilografie, di sapore popolare e dai nitidi contorni al tratto: l’una nel frontespizio rappresenta sullo sfondo un castello turrito e in primo piano quattro figure coronate, due uomini e due donne, uno dei quali a cavallo; l’altra, nel verso della prima carta, a piena pagina, raffigura un guerriero a cavallo780. Nell’ultimo foglio vi sono altre due xilografie che non hanno nulla a che fare di particolare con l’Orlando Furioso e potrebbero figurare in qualsiasi romanzo cavalleresco. Provengono infatti da altri libri: il cavaliere armato, per esempio, era già apparso nel Buovo d’Antona del 1500 e fu poi ripetuto in altri libri ancora, come La vendetta di Falconetto historiata 781.

Anche l’edizione veneziana del 1525 dovuta a Bindoni e Pasini é ornata da una piccola xilografia, anch’essa assai generica782.

L’edizione stampata da “Sisto libraro in Venezia” nel 1526 é invece ornata da un legno diviso in quattro scomparti, questo si, illustrante altrettanti episodi del poema: é il primo tentativo, seppur ancora decisamente rudimentale, d’illustrare l’Orlando furioso 783.

La prima edizione che si può considerare veramente come illustrata é quella, anch’essa non autorizzata, stampata a Venezia nel 1530 da Nicolò d’Aristotele da Ferrara, detto lo Zoppino, che ne aveva già immessa sul mercato un’altra, sei anni prima784. In essa, 36 piccole xilografie all’inizio di ogni canto, racchiuse da una sottile cornice rettangolare, rappresentano singoli episodi del poema: i personaggi, accanto a ognuno dei quali é indicato il nome in forma abbreviata, prevalgono decisamente sul paesaggio che non viene rappresentato se non con qualche tratto sommario [Fig.1].

L’edizione Zoppino non é certamente un capolavoro, né per il disegno delle incisioni, né per il loro valore interpretativo, né tantomeno per la loro forza espressiva, ma essa può a tutti gli effetti essere considerata come una tappa di transizione fra le affrettate stampe precedenti e le più accurate che seguiranno.

Sempre in versione “non autorizzata”, nel 1536 lo Zoppino immette sul mercato veneziano la versione finale dell’opera (1532) aggiungendo al corredo sei nuove xilografie. Tale serie sarà riutilizzata in molte delle edizioni che a partire dal 1532 si susseguono senza soluzione di continuità, spesso più di una all’anno785.

La terza ed ultima edizione originale dell’Orlando Furioso, in quarantasei canti, riveduta e corretta – l’ultima corretta dall’Ariosto, che morì il 6 giugno dell’anno seguente e suo ultimo tormento, scontento perché “mal servito e assassinato”, come scrisse Galasso Ariosto a Pietro Bembo due giorni dopo la morte del padre – era stata infatti stampata a Ferrara da Francesco Rosso da Valenza, il 1 ottobre 1532786.

Anche questa, come le due precedenti apparse a Ferrara, non é illustrata, ma presenta un nuovo elemento decorativo mai apparso nelle precedenti edizioni e destinato ad immensa fortuna: il ritratto dell’Ariosto, di profilo, inciso sul modello disegnato da Tiziano che comparirà poi in quasi tutte le altre edizioni successive alla morte del poeta, copiato e ricopiato, talvolta pedissequamente tanto da non distinguerlo dall’originale, talaltra così liberamente da non ricordarlo più se non nella posizione di profilo, inserito nelle cornici più varie ed elaborate787.

Tiziano aveva avuto modo di conoscere l’Ariosto in occasione delle sue frequenti visite a Ferrara, a partire dalla fine del secondo decennio. L’autografia del ritratto é comunque documentata dalla lettera che Giovanni Maria Verdizotti, discepolo di Tiziano, inviò ad Orazio Ariosto il 27 febbraio 1588:

‘“Ora vede V. S. quanto amo e stimo questo parente, del quale le mando un ritratto in carta stampata di due copie che mi donò già l’ecc. Tiziano che le dipinse, e fece questo disegno nel primo libro che si stampò del suo Furioso, o per dir meglio, nelle prime edizioni”788

ma é l’indubbia qualità del disegno a rivelare la mano del maestro.

Il ritratto é racchiuso in una ricca cornice del più pieno gusto rinascimentale ferrarese, adorna di trofei d’armi, di centauri, di cavalli marini firmata da Francesco De Nanto e probabilmente già realizzata in precedenza per un’altra edizione; un’identica cornice, anch’essa firmata dal De Nanto, inquadra il titolo [Fig.2].

Il Furioso “condensato”: l’edizione Giolito

‘“A Messer Gabriel Iolito. Il Furioso d’oro e figurato, del quale la nobile vostra cortesia mi ha fatto dono, mi é suto in due gradi grandemente grato : l’uno per amor di chi l’ha composto, l’altro per conto di colui che l’ha fatto imprimere più tosto da principe che da libraio. Onde la memoria di sì famoso autore ve ne è molto tenuto, imperò che per voi è pur non ridotto ne la propria perfezione, ma illustrato con l’eccellenze di quegl’ornamenti di cui é dignissimamente degno. Or aviatene allegrezza tra voi medesimo, imperò che in così alta spesa appare il merito de le fatiche altrui. La riverenza che dimostrate a quelle e la generosità de l’animo vostro. Onde si può dire che fate mercanzia più d’onore che d’utile. Di Vinezia, il primo di giugno 1542”789

Così Pietro Aretino ringraziava Gabriel Giolito per l’omaggio di una copia, recapitatagli fra le primissime diffuse, della prima edizione dell’Ariosto giolitino in-4 del 1542.

Questa edizione riveste la massima importanza nella storia dell’editoria italiana del Cinquecento, dal momento che segna una tappa nell’enorme successo che il poema incontrò a Venezia. Proprio nella fase montante di questo successo, il Giolito ne pubblicò non meno di ventisette edizioni, senza menzionare tutte le altre opere ariostesche da lui realizzate, giungendo a impegnarsi anche in una complessa operazione di promozione internazionale in castigliano del poema, stampato nel 1553790.

Secondo i più recenti studi, fu proprio questo prolifico editore il principale responsabile della canonizzazione editoriale del poema ariostesco, ovvero della presentazione del Furioso ai lettori del Rinascimento come nuovo classico, come “classico moderno”, concetto fondativo di una nuova idea di letteratura e di un mutamento della storia del gusto791.

La dedica di Gabriele al Delfino di Francia affermava infatti apertamente che il Furioso era una delle rare opere moderne che avesse raggiunto la perfezione dei poemi classici. In tale operazione va sottolineato poi il risultato più clamoroso del recente installarsi di Lodovico Dolce nella casa della Fenice, dato che egli é da considerarsi il primo (anche cronologicamente) degli ammiratori ed imitatori veneziani del poema792. Il Dolce aveva pubblicato un’Apologia contro i detrattori dell’Ariosto fin dall’edizione torinese stampata da Giovanni Giolito, padre di Gabriele ancora durante la sua attività torinese, ed era destinato a lasciare un segno profondo nella politica editoriale della Fenice, soprattutto per la sua incrollabile fiducia nei valori letterari incarnati dal capolavoro ariostesco793.

La curatela e i corredi esplicativi del Dolce, pubblicati in coda e con frontespizio a parte apparivano dunque essenziali per porre in risalto la qualità del testo e il suo valore, degno del trattamento riservato agli autori classici: é anche attraverso la proposta di una stessa, curatissima, veste editoriale, infatti, che si attua il fenomeno della cosiddetta affiliazione ai grandi autori trecenteschi toscani, presentati con la medesima enfasi e cura dei classici dell’antichità, dell’assai più recente opera ariostesca794. Il commento del poligrafo veneziano, che costituiva una vera e propria zona intermedia tra il lettore e l’opera, offrendo al pubblico una sorta di percorso esegetico obbligatorio, un modello interpretativo predefinito, incontrò l’interesse del pubblico a dal punto da essere stampato più volte da altri editori, fuori Venezia durante il privilegio, e a Venezia a privilegio scaduto795. Anche se il testo principale, ovvero il Furioso, non era pubblicabile in esclusiva a Venezia, l’investimento del Giolito su questo test-chiave della cultura italiana del Cinquecento fu estremamente accorto e orchestrato e tendente all’esclusiva, cui si mirava con la richiesta di un privilegio per tutte le caratteristiche grafiche innovative che era possibile proteggere.

L’edizione del 1542 reca infatti nel frontespizio la menzione “Con gratia e privilegio”, ma non poteva certo essere il testo ad aver ricevuto, in quest’occasione, legale protezione. Il privilegio era stato infatti concesso agli intagli: probabilmente i due magnifici frontespizi illustrati adoperati per la serie dei Furiosi in-quarto e in-ottavo, come pure i legni, di non grandi dimensioni, che andarono per la prima volta ad illustrare l’argomento dei vari canti, inaugurando una presentazione del testo, la prima a fruire di un metodico ed apposito apparato illustrativo, che avrebbe riscosso una grande fortuna, ricordata persino dal Vasari

‘“Non furono anco se non lodevoli le figure che Gabriel Giolito, stampatore di libri, mise negli Orlandi Furiosi, perciò che furono condotte con bella maniera d’intagli”796. ’

Il privilegio, ottenuto il 16 dicembre 1541, dimostra l’ampiezza del disegno editoriale di Gabriele, nonché i capitali investiti: all’interno di una lunga sequenza di richieste soddisfatte, si registra la concessione decennale

‘“a Gabriel Gioli per alcuni intagli novi, con li quali ha ornati il Petrarca, et il Furioso, et molti altri libri sotto le pene alli contrafacenti contenute nelle loro supplicatione”797.’

I due frontespizi riccamente illustrati, ed entrambe recanti la marca della Fenice, ebbero certamente un impatto considerevole sulla successiva vicenda grafica dei frontespizi ariosteschi: per quello in-4, basterà ricordare come venne imitato fedelmente, o, per meglio dire, integralmente copiato, sia da Antonio Blado a Roma nel 1543, sia da Bernardo Giunti a Firenze, nell’anno successivo, città ove il privilegio veneziano non aveva naturalmente nessun effetto [Fig. 3-4].

E’ probabile, inoltre, che incluse nel privilegio, ottenuto per “intagli” già adoperati per altri libri, fossero le celebri iniziali parlanti con soggetti mitologici, impiegate anch’esse nel Furioso 798 [Fig.5].

Grazie alla richiesta di questo privilegio, é dunque possibile afferrare l’essenza dell’innovativa proposta editoriale del Giolito, ai suoi esordi di carriera: non soltanto essa era legata alla proposta di alcuni dei testi più importanti della letteratura volgare, in connessione strategica, ma incentrata sul rinnovamento della veste grafica delle loro edizioni: Giolito percepiva lo spazio della novità in una più moderna e accattivante – sebbene non lussuosa, perché inevitabilmente troppo costosa – mise en page. Era sostanzialmente l’ulteriore sviluppo della tradizione editoriale del romanzo cavalleresco “istoriato”, ormai scaduto a prodotto popolare, tramite l’affiliazione al modello classico, e il più alto: una soluzione mediana per la quale era pronto un vasto pubblico, che lo stesso Giolito avrebbe fedelmente servito per decenni.

L’intervento illustrativo appare allora cruciale: specie nel caso di testi estesi come il Furioso, esso rivestiva non solo il semplice ruolo di decorazione, ma di vera e propria scansione della lettura e di “cifra mnemonica” del contenuto799.

Le allegorie del Dolce, collocate preventivamente all’inizio di ogni canto, avevano la funzione di creare una griglia di riferimento, entro la quale ogni personaggio, fissato in un momento preciso della storia,a ssumeva, agl’occhi del lettore un rigido significato morale, e diveniva per questo, un modello di comportamento, ispirato, molto spesso, ad una visione manichea e semplificata della società, in cui prevalevano accenti misogini e ripetute condanne della passione amorosa. Lo stesso Giolito, rivolgendosi nel 1542 al suo illustre dedicatario, evidenziava, all’insegna del sepre più ricorrente motivo dell’utilitas della stampa, questo bipolarismo tra “virtù” e “vizio”, che emergeva dalla lettura del testo:

‘“qui la prudenza e la giustizia d’ottimo prencipe; qui la temerarietà e la trascuragine di non savio re accompagnata con la tirannide; qui l’ardire e la timidità; qui la fortezza e la viltà; qui la castità e la impudicizia; qui l’ingegno e la sciocchezza; qui i buoni e i rei consigli sono in modo dipinti e espressi, ch’io ardisco dire, che non é libro veruno, del quale non é più frutto, et con maggiore diletto imparar si possa quello che per noi fuggire e seguitar si debba”’

Le quarantasei immagini che aprono ciascuna un canto rivelano una particolare attenzione alla materia poetica e una nuova sensibilità nei confronti della complessità strutturale e contenutistica del testo che accompagnano, tanto da lasciar supporre che l’autore di tale programma iconografico si sia consapevolmente trasformato in uno speciale lettore ed esegeta del testo, e che, attraverso un preciso progetto di rielaborazione delle tecniche narrative del Furioso e una rigorosa e accurata selezione della materia da illustrare, ne abbia offerto al proprio pubblico una chiave interpretativa privilegiata, capace di aiutarne la lettura e la comprensione.

Vi é innanzitutto una rielaborazione di forme: la narrazione per figuras dell’edizione della Fenice sembra infatti mettere in atto una serie di tentativi per disciplinare la presunta tendenza all’espansione senza misura e all’accumulo caotico della materia del poema, e rispondere alle continue sospensioni, deviazioni, digressioni e interruzioni che ne caratterizzano il testo: la limpidezza e la chiarezza dell’apparato iconografico avrebbero finito, infatti, per riflettersi sull’opera dell’Ariosto e consegnare al pubblico e, come vedremo, ad altri artisti, un’immagine altrettanto “ordinata” del poema. A differenza di quanto accadrà nell’edizione Valgrisi, infatti, dove il lettore é messo di fronte ad illustrazioni intessute di personaggi e di episodi che si susseguono senza soluzione di continuità, nelle illustrazioni plurinarrative del Giolito, la cui dimensione é invece piuttosto ridotta, occupando poco meno della metà dello specchio di stampa, ci si trova di fronte ad una scena semplice, la maggior parte delle volte costituita da non più di due nuclei episodici distinti, in cui raramente uno stesso personaggio compare più di una volta (rispondendo alla tanto dibattuta norma retorica dell’unità d’azione anche in pittura), disposti sui vari piani prospettici, non secondo l’ordine temporale dei fatti, così come questi si susseguono nel racconto dell’Ariosto, ma in base alla libera scelta dell’illustratore, che assegna il posto di primo piano all’episodio che reputa più importante all’interno di tutto il canto800. In questo modo la prospettiva diviene una “forma – doppiamente – simbolica”, ovvero di disposizione delle forme nello spazio secondo regole che sono matematicamente esatte ma, al tempo stesso, determinate dalla posizione liberamente scelta di un punto di vista soggettivo, che può muoversi nello spazio (e nel tempo) da sinistra a destra o dal primo piano verso lo sfondo801.

A questa considerazione si aggiunga, tenendo a mente i materiali paratestuali che accompagnavano l’edizione, un secondo grado simbolico che é strattamente collegato alla condizione di lettore eccezionale in cui si trova l’illustratore del Giolito, cioé alla sua possibilità di rielaborare la materia narrativa, di “riscrivere” il poema sulla base di queste vere e proprie imagines agentes cui é affidato il compito di “condensare” la materia del canto e richiamarla alla mente del lettore: in tal senso la sistemazione prospettica si trasforma in un codice espressivo attraverso il quale diventa possibile risistemare, sui diversi piani dello spazio, gli episodi di ogni canto secondo un nuovo ordine gerarchico, svincolato da ogni ragione di sviluppo cronologico-narrativo: maggiore sarà infatti la distanza di un personaggio dallo spettatore, minore sarà, allora, l’importanza attribuitagli. E’ questo, uno dei primi esempi dell’impiego della cosiddetta vignetta “plurinarrativa”, destinata ad avere grande successo nell’illustrazione del poema802.

In questa ricerca di semplificazione della complessa architettura poetica, l’illustratore ricorre alla realizzazione di veri e propri cicli narrativi, composti da tre o più incisioni, dedicati interamente alla narrazione delle gesta di un unico personaggio, come nel caso delle avventure di Ruggiero sull’isola di Alcina (cui sono dedicate le illustrazioni del VI, VII e VIII canto [Fig.6-7]), o quelle di Grifone a Damasco, che l’Ariosto racconta, con varie interruzioni, nei canti XVI, XVII e XVIII [Fig.8-10]: soprattutto in quest’ultimo caso, l’illustratore giolitino crea una storia nella storia, che si sviluppa nell’arco di tre incisioni, a discapito dei vari altri episodi narrati nei tre canti, estranei alla vicenda del cavaliere cristiano e quindi esclusi dalla scena o posti in secondo piano.

Per non creare una sorta di caos tra i molteplici piani narrativi che l’Ariosto mette in gioco nel corso di tutta l’opera, in queste xilografie si é insomma scelto di tradurre in immagine solamente quel materiale poetico che apparteneva al tempo presente della narrazione di primo grado, mentre elimina, a dispetto dell’importanza attribuita loro, le numerose “digressioni” narrative, fatte di racconti, storie e flashback su personaggi minori o totalmente slegati dalla trama principale che invece tanta fortuna avranno nelle illustrazioni delle stampe settecentesche. In questo modo l’apparato iconografico tenta qui di ricondurre l’apparente molteplicità d’azione del Furioso ad una varietà di episodi, come Aristotele suggeriva nella sua Poetica.

A questo proposito appare significativo un passo tratto dalla Vita redatta dal Pigna, un paratesto che comparirà in moltissime delle edizioni cinquecentesche, la valgrisina compresa, nel quale, rispetto all’originale collocazione dei Cinque Canti, egli formulava una propria ipotesi sulle tecniche di lavoro ariostesche, giustificando la varietà d’azione con la teoria aristotelica degli episodi:

‘“Cominciò l’Ariosto un altro poema [...] del quale [...] cinque canti si leggono, che il Palagio del Signore delle Fate hanno nel primo aspetto. Egli dicea che questa era un’orditura e che deliberato avea di traporvi abbattimenti e viaggi e altre somiglianti cose, che componimento le dessero. Dal che comprender si può qual fosse la via del comporre da lui usata. Primieramente molti episodi, atti a essere allargati, raccoglieva in uno, e le azioni poi vi frametteva, che gli paressero a dare spirito al rimanenete bastevole”’

Il progetto sottostante a questo corredo, dunque, sembra essere proprio quello di ricomporre l’ “orditura” del poema, liberandola da tutti quegli episodi che non costituiscono l’azione principale dell’opera. A farne le spese saranno anche episodi celeberrimi o digressioni che avevano già avuto un tal successo di pubblico da esser stati ripubblicati in opuscoletti a parte, come ad esempio la storia di Astolfo e Giocondo, ovvero la Historia del re di Pavia [Fig.14] 803.

‘“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, / le cortesie, l’audaci imprese io canto”’

era il celeberrimo proponimento dell’Ariosto: singolare caratteristica del corredo giolitino appare invece essere la completa censura di tutta quella materia amorosa che si mescola con la faccia “alta ed eroica” - come la definiva il Giolito nella sua dedica al Delfino Enrico II – della composizione: lo sforzo creativo dell’apparato iconografico del Giolito coincide infatti, almeno nella maggior parte dei casi, con la creazione di un immaginario eroico, i cui protagonisti, rivestiti di abiti classicheggianti, si destraeggiano continuamente in ardimentosi duelli (su 46 illustrazioni ben 22 sono dedicate ad una scena di disfida armata) e solitarie, ardue imprese. Le figure dell’eroe (e dell’eroina) diventano allora i rappresentanti immediati di tutta quanta la materia poetica e l’immagine del Furioso finisce per coincidere con la sua immagine “epica”: proprio in un momento in cui il mitico mondo della cavalleria per de la sua centralità istituzionale, esso viene relegato nell’immaginario letterario e si trasforma in un modello etico-morale da offrire come paradigma civilizzatore alla nuova società cinquecentesca804.

Di conseguenza, all’interno di questo apparato iconografico vengono sacrificati gran parte degli episodi di contenuto patetico, amoroso o lascivo narrati nel poema e con essi censurato l’elemento femminile: persino Angelica, inafferrabile oggetto del desiderio maschile, subisce un notevole ridimensionamento, risultando sempre raffigurata in un piano secondario, legato allo svolgersi di qualche altra azione. L’unica donna in grado di reggere il ruolo di protagonista al pari degl’altri personaggi maschili é proprio colei che per tutto il romanzo, a parte rari momenti, tiene nascosta la propria vera identità, fingendo di essere un uomo: si tratta chiaramente di Bradamante, continuamente ritratta in atteggiamenti virili, la cui vicenda amorosa con Ruggiero viene totalmente sacrificata e tenuta lontana dagl’occhi dello spettatore, e tal punto che neppure il felice e tanto desiderato ricongiungimento finale tra i due amanti e il loro successivo matrimonio, narrati nell’ultimo canto del poema, si sono trasformati in un soggetto da rendere visibile.

Molto interessante, a questo proposito, appare il caso rappresentanto dal breve ciclo figurativo costituito dalla VI, VII [Fig.6-7] e VIII illustrazione, dedicato alle avventure di Ruggiero sull’isola di Alcina, da cui sono state eliminate tutte le scene dell’incontro tra il cavaliere pagano e la bellissima maga e della passione nata tra questi due giovani amanti, mentre al loro posto lo spettatore ammira – o meglio, é costretto ad ammirare – le continue prodezze dell’eroe: prima il suo combattimento contro la schiera dei vizi, poi contro Erifilla e, infine, contro il servo di Alcina e i suoi animali.

Un artista come Nicolò dell’Abate, che, intorno agl’anni 1548-1550 si dedicò alla decorazione del palazzo bolognese Torfanini si lasciò suggestionare proprio da questi tre canti del Furioso, da cui scelse, per il loro significato esplicitamente allegorico-morale, il momento dell’arrivo di Ruggiero alla corte di Alcina e della sua fuga al palazzo di Logistilla805. Per il pittore modenese le incisioni del Giolito dovettero costituire un importante referente iconografico da seguire sia a livello formale che contenutistico: Nicolò non solo seguì il modello di narrazione simultanea e continuata delle xilografie giolitine, ma in alcuni casi dimostrò palesemente di avere sott’occhio le pagine illustrate durante la realizzazione di alcuni particolari: é ciò che avviene, ad esempio, per il combattimento tra Ruggiero ed Erifilla che il pittore ripropone assai fedelmente sullo sfondo del primo degli affreschi del salotto dedicato al Furioso. Ciò che invece nell’affresco cambia profondamente rispetto al modello originario, e che risulta essere un buon punto d’osservazione per indagare sulla natura del progetto giolitino, é la soluzione di porre in primo piano, come soggetto principale dell’opera, non già il combattimento tra il cavaliere e la gigantessa, ma quello dell’incontro tra Ruggiero e la maga.

L’illustratore giolitino, invece, interessato all’aspetto eroico di tutta quanta la vicenda, compie un lungo salto narrativo, omettendo qualsiasi riferimento all’incontro fra l’eroe pagano e la sua incantatrice, e tanto più ai loro amori, a cui l’autore dedica invece ben più di trenta stanze delle complessive ottanta di cui é composto il canto (IX-XLI), e riprende il filo della storia con la rappresentazione, in secondo piano, sul margine sinistro, del omento in cui Bradamante consegna alla maga Melissa l’anello magico che libererà Ruggiero dall’isola incantata (stanze XLVI-XLIX).

Le illustrazioni giolitine ebbero un successo pari alle edizioni che decoravano: esse furono copiate da moltissimi editori e stampatori successivi che cavalcarono il momento d’oro del poema ariostesco, non solo a Venezia o in tutta Italia ma anche in Francia.

Non stupisce che le edizioni lionesi di Guillaume Rouillé, fino a pochi anni prima collaboratore della bottega giolitina, si fregino di due corredi – uno per le edizioni in-4 della traduzione in castigliano ad opera dell’Urrea, e uno, miniaturizzato, alla moda lionese, per le incredibili edizioncine italiane in –16 - realizzati dall’illustratore di fiducia dell’ “Escu de Venise”, Pierre Eskrich, ma in tutto e per tutto dipendenti da quello veneziano806 [Fig.12].

Il primo Orlando furioso di Rouillé, pubblicato nel 1550 in associazione con Macé Bonhomme, é la prima edizione francese della traduzione in catalano del poema ariosteo ad opera di Jeronimo de Urrea807. Lo scopo dell’operazione editoriale sembra essere stato squisitamente commerciale, a causa di quella che i due editori definivano nell’epistola al lettore “La carestia y falta que ay destos libros en estos Reynos”. Sembra infatti che nel cosmopolita ambiente culturale lionese, vi fosse un’attiva cerchia di spagnoli che li avesse spinti ad intraprendere l’impresa di diffusione di un testo che avrebbe esercitato una grande influenza sulla letteratura spagnola: nell’epopea, nel “romancero” e persino nella “comedia”. I collaboratori editoriali e gli amici spagnoli dei due editori li aiutarono nel lavoro di correzione delle bozze e redassero dei commentari moraleggianti aggiunti ad ogni canto, oltre che degl’indici

‘“A se allegado a esto las rogarias de nuestros amigos y señores Españoles y otras naciones, las quales emos querido obedecer por parecernos justas, como par la aiuda que nos an dado en la correcion de libro, añadiendo a cada canto Morales argumentos y una tabla muy copiosa, como podres ver en lo leiendo”’

Nell’epistola a Jeronimo de Urrea inserita nella seconda edizione del 1556, Bonhomme conferma che la scelta degli editori fu orientata proprio da questa cerchia di amici di tutte le nazioni alla quale faceva allusione la dedica del 1550

‘“Si que ia persuadé de quelques uns, le fey mettre sur noz presses, y faisant adiouter a chacun canto un sommaire pour plus prompte intelligence de la matière; ce que à mon avis n’aurez trouvé mauvais si d’aventure (comme je pense) ils sont parvenus iusques à vous”808

La nuova edizione spagnola del Furioso che i due associati produssero nel 1556 si arricchiva rispetto alla precedente di una sorta di manuale di grammatica e fonetica castigliana, oltre che di un vocabolario intitolato Breve introduccion para saber e pronunciar la lengua castellana con una exposicion en la Thoscana de todos los vocablos difficultosos contenidos en el presente libro hecho todo por el S. Alfonso Ulloa.

Quest’ultimo nome é decisamente sintomatico della continuità dei rapporti fra Lione e Venezia e in particolare tra Rouillé e il Giolito: L’Ulloa era infatti uno dei più prolifici poligrafi – lavorò anche per Valgrisi – autore di numerose traduzioni in italiano di scrittori spagnoli e portoghesi. A lui, il Giolito aveva affidato la redazione dei commenti e dei paratesti oltre che di un’introduzione al vocabolario spagnolo di cui aveva dotato la sua traduzione dell’Urrea del 1553[Fig.13] 809. Sono queste aggiunte che Rouillé aggiunge, insieme ad alcune modificazioni nel testo stesso della traduzione, alla propria riedizione nel 1556.

E’ una delle molte testimonianze di come l’attività editoriale in spagnolo degli stampatori lionesi presentasse spesso un sostrato italiano: si può dunque supporre che tale produzione, oltre che alla comunità spagnola a Lione, intendesse rivolgersi anche al numeroso e dinamico pubblico spagnolo residente allora in tutta Italia, ma vista l’estesissima rete commerciale del Rouillé e i suoi addentellati nella Penisola Iberica, possiamo esser certi che la reinterpretazione delle xilografie veneziane datane dal prolifico plagiatore lionese dovette giungere, in direzione opposta, non solo in Spagna e Portogallo, ma da là, persino nel Nuovo Mondo.

Rouillé impiegò invece il corredo di 51 minuscole vignette per le numerose edizioni del Furioso in-16 che immise sul mercato dal 1556 al 1580, trasformando il nuovo “classico” italiano in un prezioso e raffinato libricino che, alla stregua dei suoi petrarchini, intendeva rivolgersi in primo luogo ad pubblico femminile, come ben testimonia la dedica della prima edizione, indirizzata alla “di sangue illustre, dotta e molto studiosa” Madame De Thermes e suggerita al Rouillé dal Symeoni che aveva commentato

‘“Conciosa che, essendo il suggetto del libro Bradamante et Ruggiero (questo fedele et celebratissimo nell’arme, et quella gentilissima et costante donna nell’amore et travagli del marito, io non saprei hoggi nominarvi due consorti più simili a Ruggiero et a Bradamante, che monsignore e madama di Termes”810

L’edizioni giolitine divennero poi un frequentatissimo ed allettante serbatoio di materia iconografica per i maolicari, e fra tutti Giacomo Mancini, detto “il Frate”, un artefice molto affermato e attivo a Deruta intorno alla metà del Cinquecento: molte sono le sue pregevoli opere “istoriate”, databili attorno al 1545, a fregiarsi delle riproduzioni di vignette della giolitina del 1542, il che dimostra come fossero lui, la sua bottega e altresì la committenza che lo orientava, culturalmente assai aggiornati, se si considera che la fonte iconografica era stata edita solamente tre anni prima811 [Fig.11].

L’edizione Valvassori

Del 1548 é la prima stampa del Furioso eseguita da Gian Andrea Valvassori, detto Guadagnino, che abbiamo già incontrato in qualità d’incisore, cartografo, libraio e stampatore812. Il titolo é circondato da fregi, al centro della pagina un globo racchiude le sue iniziali, mentre all’inizio di ogni canto compaiono delle xilografie che prendono a modello quelle dell’edizione giolitina813. Nel 1553 il Valvassori emette una nuova edizione con un corredo interamente rinnovato : le xilografie, di dimensioni appena più grandi, sono di più spiccata originalità e rappresenteranno un modello cui guarderà il nostro illustratore al soldo del Valgrisi. L’anno seguente le stesse matrici vengono inquadrate da un’elaborata cornice a volute e mascheroni, nel pieno dello stile degli stucchi della Maniera imperante veneziana, ma in fondo assai distraenti dalla scena raffigurata. In edizioni più tarde, come ad esempio in quella del 1567, le cornici decorative si allargano ad impadronirsi di quasi tutta la pagina814.

In alcune delle vignette più indipendenti dall’impianto giolitino, l’illustratore presta grande attenzione ai particolari del testo, sovrappopolando la superficie a sua disposizione nello sforzo di rappresentare il maggior numero possibile di episodi : é quello che accade ad esempio nell’immagine relativa al Canto XI [Fig.15-16], in cui si cerca di stipare almeno una dozzina di momenti narrativi distribuendoli secondo tre gruppi principali e indirizzando l’occhio del lettore da una scena all’altra zigzagando attraverso ilpaesaggio, come si farebbe seguendo un fiume su di una carta geografica. La taglia delle figure, diminuisce naturalmente con l’aumentare della distanza, tuttavia, a differenza della presentazione degli episodi in molte delle illustrazioni multi-narrative del Giolito, qui la tecnica adottata é quella di una narrazione continua e le scene si susseguono dal primo piano verso lo sfondo seguendo il procedere della narrazione815.

Il Furioso Valgrisi

Le prime edizioni valgrisine del Furioso, declinate nei due formati in –4 e in-8, videro la luce nel 1556, un’annata eccezionale per il poema ariostesco, che conobbe, tra Lione e Venezia ben otto edizioni diverse816.

Il Ruscelli, oltre a firmare la dedicatoria ad Alfonso d’Este, corredò il testo ariostesco di una serie notevole di apparati, volti essenzialmente all’esplicazione linguistica, ortografica e grammaticale, nonché al commento puntuale dei canti. Ne risultava un prodotto per molti versi allettante, in cui gli spazi dedicati al paratesto venivano ad occupare una porzione ingente, comprendendo, oltre ai testi del Ruscelli, anche la tradizionale biografia di G. B. Pigna e alcune osservazioni di Simone Fornari. L’edizione del testo era per altro arditamente innovativo sotto il profilo testuale, in quanto Ruscelli, consulente editoriale di professione e maniacalmente attento ai problemi di ortografia e grammatica, era intervenuto sulla lezione tràdita dichiarando di aver visto in casa di Galasso, fratello di Ludovico, un esemplare del Furioso del 1532 “per tutto notato et postillato di mano dell’autore stesso”, e servendosi delle postille, aveva di fatto prodotto un testo arbitrario ed inservibile817.

In tal senso, così come l’edizione giolitina curata da Dolce, questa del Valgrisi conferma il salto di qualità registrato dall’Orlando furioso nel sesto decennio, corrispondente alle attese di un pubblico variegato oltre che immenso, non necessariamente erudito, ma propenso a leggere il poema con attggiamenti tutt’altro che consumistici e, anzi, a fondarvi ampie e articolate acquisizioni culturali. I presupposti teorici e metodologici che hanno mosso l’impresa si possono in parte desumere dalla lettera dedicatoria all’ “Illustriss. et Eccellentiss. Signore, il Signor Donn’Alfonso d’Este, Principe di Ferrara”. A spingerlo a tale impresa, oltre alle “doti” di quello che egli “obligatamente” definisce “divino scrittore”, é anche l’appassionato interesse per la poesia, “ la più importante per dimostrar la perfettion d’una lingua”. Per tali ragioni egli aveva letto e riletto il Furioso per quindici o sedici anni, riflettendo su ogni minimo aspetto dell’opera e confrontandosi a questo riguardo con “quanti begli ingegni, et persone dotte ha avuto l’Italia ne’tempi miei”818. Gli Scontri de’luoghi mutati dall’Autore doppo la sua prima impressione pretenderebbero di dar ragione alle “varianti” d’autore, mentre alla fine di ogni canto, prima delle puntuali Annotazioni, viene segnalato il numero di ottave presenti. Questa premura per l’agevole fruizione da parte del lettore é la stessa che giustifica la presenza di alcune note marginali, in corpo minore, a fianco delle ottave, che creano i rinvii interni, e, avvisando in qual punto del poema si ritrovi questo o quel personaggio, aiutano a districarsi nella selva della narrazione. Né meno rilevante é l’attenzione esegetica per quelle che Pio Rajna, secoli dopo, avrebbe chiamato le Fonti dell’Orlando furioso (1876), come mostrano i “molti luoghii, tolti, et felicemente imitati in più autori, dall’Ariosto nel Furioso”.

Era lo stesso Ruscelli ad alludere alla novità degl’intagli :

‘“Nelle figure, avvertano ancor quei che non sanno le regole della pittura ch’elle son fatte tutte con molta ragione di perspettiva, e che da piedi di tutto il quadro le figure de gli huomini, de’ cavalli, e dell’altre cose sono fatte più grandi, e poi quanto più vanno verso l’alto, più si vengono diminuendo. Et questo perché quelle figure che nel foglio stanno così colcate, si imaginano nella perspettiva che stiano in piedi, e chi tiene il libro in mano viene ad averle più basse più vicine a lui, e così a dilungarseli di mano in mano”’

Ed é in effetti l’uso disciplinato della prospettiva, vantata novità di questo figurato, a rendere ottimamente i modi del procedere compositivo dell’Ariosto che dalla sua ideale specola sorveglia, raggruma e districa la propria materia operando stacchi e dissolvenze o rentrées e flashback, tanto spaziali quanto temporali, con una consumata tecnica e un morbido ma intenso utilizzo degli “scambi” dei suoi binari narrativi, da richiamare tipici criteri filmici. Ciò che tra l’altro caratterizza i legni valgrisini e li distingue da tutti gli altri é il loro ambizioso impianto di “cattura totale” del narrato, risolta sfruttando la prospettiva come attivo elemento spazio-temporale organizzato in coerente e precisa sequenza d’immagini dal moto elicoidale, veramente volteggiando in sella all’ippogrifo, che sfumano gradatamente verso l’orizzonte.

La successione temporale viene risolta attraverso un susseguirsi di piani prospettici senza che emergano soluzioni di continuità: essi creano una profondità spaziale mediante un impercettibile, progressivo e dinamico passaggio dal primo piano, punto di avvio narrativo, fino allo sfondo formicolante, nel campo lungo, del momento di approdo conclusivo. A salvaguardare un necessario filo discorsivo sotto il profilo iconico, quale motivo conduttore e dipanatore, interviene una singolare gestione dello spazio compositivo che viene animato e innervato secondo una gestione sinusoidale che si sforza, con un certo successo, di riprodurre il modulo creativo a “voluta ascendente” dell’Ariosto.

L’illustratore prolunga, ben al di là della cornice, l’inesausto mondo di avventure che sa bene essere inafferrabile se non, parzialmente, per fughe di sequenze che non sono meno allusive che descrittive, ricreando così quella circolarità discorsiva che é una delle cifre distintive del poema.

Per evitare il rischio della dispersione della congerie dei dati figurativi ammassati e stipati nella tavola xilografica, l’illustratore ha condensato in certi nuclei tematici e in particolari immagini fortemente connotate e ritornanti, un surplus di significazione così da ribadire una struttura elementare di fondo tramata di rispondenze analogiche e tale, a volte, da sopperire magistralmente, con risorse iconiche, alle difficoltà “da giuntura” invalicabili nel testo. Queste tavole, mirando a compendiare nel loro spazio, in sincronia con l’episodio principale, le vicende di minore rilievo e qualche addentellato con la materia dei canti adiacenti partecipano insomma, nel loro piccolo, a quella rivoluzionaria modernità consistente nella “trasformazione dello spazio in un procedere nel tempo” rappresentando una sequenza irreversibile di eventi in cui il tradizionale mondo dell’essere viene re-definito come un processo di eventi”819, tutte formule, queste, che si confanno perfettamente alla natura complessiva e alla struttura ultima del Furioso. Il Furioso del Valgrisi é in questo secolo certamente il più rispondente allo spirito del poema820.

Gl’inserti di carte geografiche e di vedute “ a volo d’Ippogrifo”

Grazie alla pluralità dei soggetti raffigurati in ciascuna di esse, le illustrazioni valgrisine appaiono rivestire, al di là di ogni funzione decorativa, un evidente ruolo ricapitolativo, di “sommario” liminare o di cifra mnemonica paratestuale, apportando così un complemento sostanziale all’“argomento” di ciascun canto proposto al lettore in un’ottava ad hoc - che, precedendo la prima strofa, si configura come spunto autonomo di poesia inquadrata in un’apposita cornice - e soprattutto al riassunto in prosa. Si crea in questo modo una vera e propria tessitura icono-testuale che instaura un movimento dinamico tra parola e immagine e che utilizza il testo come pre-testo per la creatività autonoma dell’esegeta e dell’illustratore, che non esita a ricorrere a vere e proprie vedute aeree o a introdurre brani di carte geografiche per indicare contemporaneamente – imponendo allo schema multinarrativo un estremo tour de force – i molti, diversi e lontani luoghi in cui la narrazione si svolge. In questo ricorso alla carta geografica, l’illustratore valgrisino si dimostra ancora una volta fedele a quella del poeta, dal momento che sembra ormai ato accertato che l’Ariosto avesse stablito i numerosi itinerari dei suoi personaggi direttamente su delle mappe.

L’interessante é notare che non solo esiste una corrispondenza sufficiente, se non rigorosa, tra il testo del poema e il dettaglio delle immagini cartografiche, ma anche una filiazione di queste ultime da documenti cartografici disponibili ad un illustratore attivo alla piena metà del Cinquecento821. In quest’epoca che vive l’apogeo delle grandi scoperte ed esplorazioni, servirsi di brani di carte per illustrare un’epopea le cui avventure si svolgono ai quattro angoli del mondo conosciuto rispondeva senza dubbio al gusto di un pubblico curioso di documentarsi e tenersi aggiornato822. Certo, a ben vedere, il planisfero da dove si traggono le porzioni di carte non tiene conto degli aggiornamenti successivi di una rappresentazione della Terra in rapido mutamento: scelta tra le più accorte, dal momento che essi si sarebbero rivelati contradditori alla descrizione ariostesca.

Strumento prezioso a fornire un supporto visuale alle relazioni dei numerosi quanto favolosi spostamenti spazio-temporali dei personaggi ariosteschi, la carta geografica allargava al contesto geografico la percezione di un itinerario che per definizione si presenta come lineare: in questo modo, parallelamente alla lettura di tale o talaltro canto, sulle xilografie valgrisine il lettore é in grado di seguire con gl’occhi il percorso dell’eroe di turno: Rodomonte o Rinaldo in terra di Francia o d’Italia, o, ancor meglio, dal momento che il tragitto é più lungo e frammentato, quello di Astolfo attraverso l’Oceano Indiano, l’Arabia, l’Egitto, la Palestina, la Siria Cipro, l’Asia minore e l’Europa contientale fino in Inghilterra e, da là, in Francia, diventa verificabile tappa dopo tappa, passo dopo passo, attraverso i tre pezzi di un vero e proprio “puzzle cartografico”, a riflesso della narrazione, ripartita principalmente su tre canti.

Su di un totale di 46 tavole, otto illustrazioni, quelle dei canti XV, XVI, XVIII, XX, XXII, XXVIII, XLIII e XLIV, comportano dei disegni plausibilmente tratti da carte geografiche. Poste sempre in secondo piano e collocate nella parte superiore dell’incisione, le “carte” ne occupano, approssimativamente, dal quarto alla metà della superficie. Il ventaglio della loro scala va dalla pianta della città al mappamondo, passando attraverso le carte regionali. L’esattezza del tratto, schematizzata, é variabile in rapporto alla cartografia dell’epoca e spesso piccoli personaggi occupano la superficie della pianta. L’illustrazione del canto XV offre una composizione su tre livelli: in basso, il re Agramante e i suoi luogotenenti attaccano una delle porte fortificate di Parigi durante l’assedio che i Saraceni hanno posto alla città di Carlomagno; il secondo piano, al centro a destra, raffigura l’imbarco del duca Astolfo d’Inghilterra nel regno medio-orientale della fata Logistilla per ritornare in patria: é l’inizio della sua odissea che possiamo seguire sulla carta che occupa tutta la larghezza della tavola, estendendo la sua descrizione dal Chersoneso al Mediterraneo orientale, da Est a Ovest e dall’Asia minore, a Nord, all’Africa australe a Sud. La xilografia che apre il canto XVI, come la narrazione dell’Ariosto, prosegue nella descrizione delle avventure di Grifone in vicino Oriente, che terminavano il canto XV. Trattata normalmente, in spazio tridimensonale, e non come una carta geografica, la metà inferiore dell’illustrazione riunisce, ai fianchi del protagonista in preda alla gelosia, il suo rivale Martano e la perfida Origile; oltre ad un richiamo a Gerusalemme, i luoghi indicati sono Rama, Damasco e Antiochia. A prima vista, il sito dell’assedio di Parigi, raffigurato sull’altra metà dell’immagine e la cui cronologia degli avvenimenti evocati si legge con una certa difficoltà, sembrerebbe aver ricevuto lo stesso trattamento spaziale: é una veduta “cavaliera” della città e dei suoi dintorni, con, in secondo piano, la Piccardia, al centro, e la Gran Bretagna e la Scozia a sinistra. La Parigi di Valgrisi, necessariamente molto schematica, si mostra fedele alle descrizioni del poema, pur presentando qualche elemento topografico le cui forme, proporzioni e localizzazione concordano con la configurazione delle più antiche planimetrie conosciute della capitale, ma non sono in nessun luogo menzionati dall’Ariosto, prova che l’illustratore doveva poter disporre di un documento cartografico asai preciso da poter riprodurre823. Come tutte le piante di città del Cinquecento che offrono tutte una vista prospettica, obliqua e discendente, in un compromesso fra la verticale e l’orizzontale, qui gli edifici sono raffigurati in alzato, le mura della “rive droite” descrivono un semi-cerchio di diametro superiore a quello della cinta della “rive gauche”, tre isole più piccole a monte e due isolotti a valle s’aggiungono all’ île de la cité e oltre al “ponte di San Michele sono raffigurati ilponte accanto (Petit-Pont) e quello di fronte (pont Notre-Dame). La direzione Sud-Nord del corso della Senna durante la sua traversata intra-muros é interpretata secondo la convenzione che orienta le carte con il Nord verso l’alto.

Nell’illustrazione relativa al canto XVIII ritroviamo la stessa immagine della città, meno dettagliata e in dimensioni ridotte, ma orientata allo stesso modo e che, in questo caso, condivide la visuale cartografica con la costa orientale del Mediterraneo. In seguito alla carneficina che Grifone compie a Damasco (raffigurata in primo piano) e a diversi altri avvenimenti il cui momento culminante é il torneo organizzato in suo onore dal re Norandino (in secondo piano), il terzo piano é dedicato alla raffigurazione cartografica del litorale (Palestina, Siria), lungo il quale si svolgono altre peripezie precedenti un primo imbarco di paladini, tra cui Astolfo e Marfisa, verso la Francia, oltre che dell’isola di Cipro, scalo dei viaggiatori prima che una tempesta non li svii dalla meta del loro viaggio. Lungo la riva orientata verso ovest, la succesione delle località costiere é fedelmente rispettata, a parte l’inversione di Tripoli e Tortosa: le antiche Mamuga, Larissa e Lidia era possibile trarle dalla Quarta Asiae Tabulae di Tolomeo. Infine, nel quarto ed ultimo piano é raffigurato il ritorno a Parigi (a destra), da cui Rodomonte riesce a scappare gettandosi nella Senna; Cloridano e Medoro, escono dal campo trincerato (a sinistra) alla ricerca del corpo di Dardinello che, ucciso da Rinaldo, é rimasto sul campo di battaglia che, d’improvviso é inondato dal chiaro di luna; ll’alba sono sorpresi da Zerbino.

La tavola del canto XX si riallaccia alla storia di Astolfo e dei suoi compagni nella città delle donne omicide. In alto, una carta del Mediterraneo si dispiega verso ovest, al di sotto, sulla destra, é raffigurata la nuova partenza degli eroi – ad eccezione del duca inglese – dal porto di Alessandretta, le cui acque, che sono quelle di una “vista” del bacino, comunicano con il mare raffigurato in rappresentazione cartografica. La nomenclatura di quest’ultima segue da vicino l’enumerazione del poema: dopo Cipro, Rodi, il Mar Egeo, la Morea, la Sicilia, l’Italia e persino l’antico porto toscano di Luni, dove i paladini cambiano d’imbarcazione per Marsiglia. Il toponimo supplementare di “Candia” (Creta, nel poema), identifica l’isola del re Minosse menzionata da Guidon Selvaggio nel suo lungo excursus sulle origini e la fondazione di Alessandretta. La zona della carta corrispondente ad una Francia “stirata” serve da palcoscenico a numerosi episodi che si svolgono sul suolo francese percorso da Marfisa e che implicano, tra gl’altri, Gabrina, Pinabello e Zerbino.

Il canto XXII é preceduto da un’incisione la cui parte cartografica situa, bene o male, le ultime tappe dell’interminabile viaggio di Astolfo, iniziato fin dal canto XV. Evocando per la prima volta l’episodio iniziale del canto nella parte alta dell’illustrazione, la pianta, definita dal Mar Nero ad Est, dall’Inghilterra ad Ovest, le due bocche del Reno a Nord e i Balcani a Sud, presenta numerosi errori e lacune. Per raffigurare il tragitto del duca da Alessandretta a Londra, l’illustratore sembra essersi servito in maniera decisamente troppo libera di una carta dell’Europa centrale derivata da un erroneo prototipo tolemaico, come quelle realizzate da cartografi veneziani ed italiani a lui contemporanei, tra cui lo stesso Giovanni Andrea Valvassore, o Antonio Salamanca824.

Il canto XXVIII vede Rodomonte in qualità di unico protagonista: nell’illustrazione relativa, eccolo, in primo piano in basso a destra, in un ostello sulla riva della Saona impegnato ad ascoltare l’oste che lo intrattiene con i suoi racconti, in una vivace scena di genere; o che, l’indomani, riprende il suo cammino verso l’Africa, il cui percorso é tracciato sulla pianta in alto. L’itinerario é definito chiaramente dai versi ariosteschi: discela lungo la Saona in barca, a cavallo nella valle del Rodano via Lione, Vienne, Valance, Avignone, poi, dall’altra parte del fiume, Aigues-mortes fino a qualche lega da Montpellier dove il Saraceno incontrerà la sventurata Isabella che giunge dalla Provenza. Di questi toponimi la carta valgrisina ne nomina solo alcuni (“Lion”, “Vienna”, “Valenza” e una più generica “Provenza”), preferendo nominare altri luoghi del littorale mediterraneo, in particolare “Arli” e “Narb.[onne]”, per visualizzare sulla carta i due luoghi tra i quali esiterà Agramante nel momento di battere in ritirata da Parigi. La raffigurazione dei due affluenti del Rodano (l’Isère e la Durance) e quella delle tre isole nel delta del fiume, sembrano invece essere d’origine esclusivamente cartografica, derivate in particolare da una carta di strettissima origine “locale”, ovvero la Nova totius Galliae descriptio del “dauphinois” Oronce Finé (1525), con cui questo brano cartografico presenta sorprendenti affinità anche a livello del tracciato dei contorni825. Per quanto riguarda l’orientaento della carta, con il Sud in alto, sembra invece essere il frutto dell’applicazione del principio, generalmente rispettato nell’insieme delle raffigurazioni carografiche delle tavole valgrisine, secondo cui l’ordine cronologico dei momenti della narrazione é suggerito da un percorso ascendente, dal basso della carta verso l’alto, e spesso a zig-zag, della loro evocazione e che qui coincide con il senso di una progressione nel tempo. In linea di principio, invece, le scene incluse negli spazi cartografici derogano da questa convenzione, come si é visto nel caso dell’assedio di Parigi: all’occorrenza, l’incontro tra Rodomonte e Isabella (sulla destra e in mezzo alla carta), avviene tramite movimenti concentrici, da destra a sinistra, raffigurati notevolmente più in basso che la costa della Langue d’oc, che non offriva spazio sufficiente.

Per la stessa ragione della carta del Midi della Francia, anche quella d’Italia che figura sulla xilografia dedicata al canto XLIII é invertita: essa comincia (a Nord, in basso) con il corso del Po, all’incirca a perpendicolo rispetto a Mantova, per terminare (a Sud, in alto) alla frontiera fra il Lazio e la Campania: stiamo seguendo i passi di Rinaldo verso Lampedusa, grazie ai numerosi riferimenti forniti dall’Ariosto, ripresi nella quasi totalità dall’illustratore. Il paladino discende in barca “il re dei fiumi” fino a Ravenna, toccando numerose località fra cui, naturalmente, Ferrara, e poi, dopo Ariminio (=Rimini), Montefiore e Vrb. [ino], giunge a Ro. [ma] e al porto di Host.[ia].

Siamo giunti infine al canto XLIV, la cui tavola contiene un vasto insieme di siti che dovrebbero presumibilmente esser tratti da documenti cartografici contemporanei: essa presenta in realtà un vero e proprio “caso limite” in cui le reminescenze di tale configurazione geografica definita dalle carte si riducono alla loro più semplice espressione. In basso a destra, su di una costa tunisina d’invenzione, appare la silhouette (una fortezza dalle mura merlate) di Biserta. La scena si svolge durante l’assedio, coronato dalla vittoria finale, con cui i cristiani avevano cinto la capitale di Agramante, aiutati dalle truppe del Senapo, alias il Prete Gianni, imperatore d’Etiopia. Al di sopra delle onde che sono supposte rappresentare un mar Mediterraneo decisamente troppo stretto, Astolfo, cavalcando l’ippogrifo, sorvola da destra a sinistra la Sardegna e la Corsica per ritornare in Francia, di cui una raffigurazione convenzionale di Parigi la maggior parte della superficie. In definitiva, questa zona é quindi orientata, grosso modo, con l’Est verso l’alto. L’orientamento del litorale provenzale, dopo una sorta di curva artificiale, si dirige verso Nord, con la localizzazione di Marsiglia, alfine di permettere la raffigurazione dello sbarco di un gruppo di cavalieri (Rolando, Oliviero, Rinaldo, Sobrino e Ruggiero), di ritorno dai combattimenti di Lampedusa e quella di Roccaforte, fortezza immaginaria tra Perpignan e Carcassonne, dove il duca Aimone e Beatrice portano Bradamante.

Non é invece quasi possibile parlare di orientazione a proposito della parte superiore dell’immagine, che mostra il teatro di un altro assedio, quello di Belgrado: la sola notazione topografica utile a localizzare la piazzaforte é la confluenza del fiume Sava e del Danubio. In alto a destra vi é la rappresentazione dela città nella quale Ruggiero, eroe, al fianco dei Bulgari, della battaglia di Belgrado, si ritrova il giorno dopo ed é fatto prigioniero da Ungiardo, un alleato dell’imperatore greco Costantino: attribuendo alla città il nome di Novengrado, l’illustratore anticipa qui la narrazione del canto seguente, particolare che testimonia, una volta di più, l’indubbia familiarità che doveva intrattenere con il testo che era chiamato ad illustrare. Se é infatti vero che l’impressione d’insieme resta piuttosto confusa, conviene altresì tener presente che nel poema la topografia della regione di Belgrado manca stranamente di dati che ne permettano una facile definizione. Si tratta insomma di una veduta “a volo d’uccello”...parzialmente trattata alla maniera di una carta geografica, mentre, inversamente, i cartografi contemporanei si limitavano a sovrapporre degli elementi di figurazione prospettica (catene di montagne, corsi d’acqua, vignette di città) alla proiezione geometrica.

Confrontando poi quest’ultima tavola con quelle dei canti IX e X, appare evidente come queste non offrano tutt’al più che delle configurazioni arbitrarie di luoghi geografici estratti dal loro contesto. Dedicata all’episodio di Olimpia, la pianta del canto IX riunisce Anversa, Dordrecht, la Zelanda, l’Inghilterra, l’Irlanda e l’isola di Ebuda (assimilabile a una delle isole dell’arcipelago delle Ebridi). Quanto alla tavola relativa al canto X, essa traccia una “mappa” piuttosto ellittica del viaggio di Ruggiero – dal favoloso estremo Oriente fino in Europa – ridotta alle isole delle fate Alcina e Logistilla, d’Inghilterra, d’Irlanda e d’Ebuda: ancora una volta, il disegnatore lascia libero sfogo alla sua immaginazione, tanto per la disposizione dello spazio propriamente geografico evocato, che per la forma (convenzionale) delle isole.

L’articolazione delle carte con il resto della composizione riveste tanto la forma di una semplice giustapposizione (canti XVI e XXII e della rappresentazione doppia del canto XVIII, da una componente all’altra), tanto di una continuità organica, che deriva dal trapasso delle azioni tra la carta geografica e l’elemento non cartografico che la precede (canti XV, XX e XXVIII), da cui deriva qualche rischio di confusione nell’interpretazione del disegno. Altro particolare degno di nota il fatto che la scelta degli avvenimenti che accompagnano queste carte – nel caso, chiaramente, che il loro soggetto vi si presti – privilegia l’episodio (o gli episodi) principale/i del canto che illustrano.

Le attribuzioni: da “un figurato” in famiglia a Donato Bertelli

Le tavole valgrisine hanno goduto di una certa attenzione – fatto raro per un corredo editoriale – fin dalla storiografia settecentesca : é stato il Baruffaldi, il “Vasari” ferrarese, ad averle attribuite per primo a Dosso Dossi:

‘“nuovo alimento diede all’ira di Battista il vedere che Ludovico Ariosto, il quale desiderava una ristampa del suo Furioso, in forma solenne impegnò il Valgrisio ad appoggiare al Dosso i disegni di tutta la serie dei fatti che in quel poema si cantano, per far intagliare in legno su d’essi tante tavole da anteporre a ciascun canto, il che poi succedette dopo la morte dell’Ariosto [...] Ed infatti sono le dette tavolette così finemente intagliate sul disegno del Dosso che danno conoscimento in una occhiata di quanto si contiene in ciaschedun di que’ canti”826

Nel 1807, un altro Baruffaldi, pronipote del primo, nella vita dell’Ariosto ribadiva la stessa attribuzione:

‘“Lodovico dell’opera del Pittore medesimo Dosso Dossi si servì per disegnare, in altrettante tavole figurate da stamparsi, tutte le storie contenute in ciaschedun Canto del Furioso”827.’

E’ provato che il Dosso conosceva bene l’Ariosto, amicizia testimoniata anche dal Vasari nella vita del pittore ferrarese

‘“Quasi ne’medesimi tempi che il Cielo fece dono a Ferrara, anzi al mondo, del divino Lodovico Ariosto, nacque il Dosso pittore nella medesima città; il quale, se bene non fu così raro tra i pittori come l’Ariosto tra i poeti, si portò nondimeno per si fatta maniera nell’arte, che oltre all’essere state in gran pregio le sue oper in Ferrara, meritò anco che il dotto poeta, amico e dimestico suo, facesse di lui onorata memoria ne’ suoi celebratissimi scritti. Onde al nome del Dosso ha dato maggior fama la penna di messer Lodovico che non fecero tutti i pennelli e colori che consumò in tutta la sua vita”828

Ed infatti l’Ariosto lo celebra, nel canto XXXIII del Furioso, insieme ai più insigni pittori del secolo :

‘“E quei che furo a’ nostri di’, o sono ora, / Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino, / duo Dossi, e quel ch’a par sculpe e colora, / Michel, più che mortale, Angel divino; / Bastiano, Rafael, Tizian, ch’onora / non men Cador, che quei Venezia e Urbino; / e gli altri di cui tal l’opra si vede / qual de la prisca età si legge e crede”’

Come dire che l’Ariosto, dopo aver riconosciuto la grandezza universalmente acclamata di Leonardo, Raffaello e Michelangelo, abbia sentito ugualmente importanti gli artisti veneti ed emiliani, nei quali poteva più intimamente riconoscersi per cultura e per gusto artistico829. Una stessa matrice, infatti, sembrerebbe accomunare i personaggi ariosteschi, sempre così inafferrabili e fascinosi, che si muovono sullo sfondo di boschetti incantati, di palazzi dove il sortilegio ha preso il posto della realtà, con i personaggi altrettanto misteriosi ed inquietanti dei pittori ferraresi, anche loro immersi in una natura descritta con accenti favolistici ed irreali.

A partire dal Settecento la paternità del Dosso non viene mai seriamente discussa o smentita, anzi viene accettata senza riserve dagli eruditi dell’Ottocento, dai compilatori degli annali delle edizioni del Furioso e ripetuta nei cataloghi delle celebrazioni ariostesche830

Pur se é lecito istituire confronti tra l’immaginario ariostesco e quello di Dosso831, la traduzione erudita che lo vorrebbe l’autore delle nostre belle xilografie, tralascia di considerare un dato certo come...la morte: Dosso muore infatti nel 1542, ed é dunque piuttosto inverisimile che i suoi presunti disegni per le illustrazioni del Furioso siano rimasti inutilizzati fino al 1556832.

All’inizio del secolo scorso, si propone dunque di correggere il tiro, propendendo piuttosto per un’attribuzione all’altro dei “duo Dossi”, ovvero Battista -anch’egli, in fondo, ricordato dall’Ariosto nella sua enumerazione - in nome di argomentazioni esclusivamente stilistiche, quali il suo classicismo romanista, la sua minuzia nella resa dei particolari che coincideva - insieme soprattutto al suo spiccato senso del paesaggio, sua riconosciuta specialità - con le doti di un disegnatore di arazzi qual’era appunto il Dosso “minore”833. Un’attribuzione, questa a Battista, che, nell’inesauribile tensione a “fare nomi e cognomi”, ritorna ciclotimicamente in auge, con tentativi di esser rafforzata con argomenti squisitamente letterari o puramente stilistici, magari tentando in maniera un po’ pirotecnica, d’intravvedere nelle iniziali “D.B.” della tavola relativa al Canto I, una delle centinaia di sigle alfabetiche con cui l’illustratore ha contraddistinto i personaggi per facilitarne l’identificazione da parte del lettore, proprio quelle del cognome e nome dell’artista, invece che, molto più semplicemente come “Duca di Baviera”834.

E’ proprio sulla base di questo stesso monogramma, insieme alle presunte analogie con le vedute a volo d’uccello e i brani di carte geografiche presenti, come abbiamo visto, in molte delle tavole valgrisine, che Paola Coccia ha proposto di attribuirle a Donato Bertelli, stampatore, editore, calcografo, cartografo e mercante di stampe attivo a Venezia tra il 1558 e il 1592 circa835. Sebbene quest’ipotesi si presenti decisamente più verisimile rispetto a quella che vede protagonisti i due Dossi (é la prima ad associare alle xilografie dell’Orlando furioso quelle del Decamerone Valgrisi e a collocarle in un ambito che risente delle novità bellifontane) essa, nonostante qualche elemento di vaga assonanza tra le “vedute” del Bertelli e le tante raffigurazioni di città delle nostre xilografie, non ci sembra affatto sostenibile, e proprio su quelle basi stilistiche su cui si vorrebbe fondare.

Notes
754.

Le descrizioni seguono il senso del succedersi dei diversi piani dell’illustrazione (contrassegnati da numeri : 1) primo piano ; 2) secondo piano ecc.), che, come si vedrà, corrispondono ad altrettanti momenti narrativi all’interno del canto.

755.

Cfr. Faccioli 1984, p. 342.

756.

Le forme del romanzo cavalleresco sono l’ideale per la fruizione tramite la lettura ad alta voce, e la scelta dell’ottava per la narrazionelunga nel caso italiano é l’esito particolare di una tradizione di letture narrative nella quale evidentemente il dato sonoro e la metrica che struttura la voce narrante hanno un ruolo quasi altrettanto importante per i contenuti stessi del racconto lungo. Cfr. Beer 1987, pp. 235-246.

757.

Per gli annali delle edizioni del Furioso, cfr. Agnelli-Ravegnani 1933. Cfr. anche Mostra bibliografica ariostea 1974

758.

Cfr. Bongi 1890-97 e Nuovo-Coppens 2005, pp. 222-225.

759.

Dopo un inizio relativamente lento – tra la prima edizione e la seconda del 1521 non ne é documentata nessun’altra – nel 1524 si contano tre nuove edizioni a cui seguono, ancora prima della versione definitiva del 1532, altre dodici edizioni (una nel 1525, tre nel 1526, due nel 1527, una nel 1528, quattro nel 1530 e una nel 1531) che attestano l’enorme processo di diffusione di questo testo che sarebbe dovuto continuare per altri sessant’anni. L’andamento produttivo veneziano, che si rivolgeva anche, chiaramente, all’esportazione, segue dunque un andamento parabolico la cui punta massima é da collocare nel decennio 1556-1565. Cfr. Pace 1987.

760.

Sulla fortuna e i lettori dell’Orlando furioso resta riferimento fondamentale Fumagalli 1912, da integrare ora con Beer 1987, Ferroni 1989 e Hempfer 2004, pp. 34-37. Per la canonizzazione del Furioso a “classico”, cfr. Javitch 1991.

761.

C. Pellegrino, Il Carrafa, o vero della epica poesia. Dialogo di Camillo Pellegrino. All’illustrissimo Signor Marco Antonio Carrafa [I ed. 1584], in Trattati di Poetica e di retorica del Cinquecento, a cura di B. Weinberg, Bari, 1970-74, 4 voll., vol. III, pp. 307-344. Per le traduzioni francesi e spagnole del Furioso, cfr. infra.

762.

G. B. Guarini, Il Verrato secondo ovvero replica dell’Attizzato Accademico Ferrarese In difesa del Pastorfido. Contra la seconda scrittura di Messer Giason De Nores, intitolata Apologia, Firenze, Filippo Giunta, 1593, p. 288.

763.

T. Tasso, Discorsi dell’arte poetica e in particolare sopra il poema eroico (1587), in T. Tasso, Prose, a cura di E. Mazzali, Milano-Napoli, 1959, p. 372.

764.

L. Ariosto, Orlando Furioso di M. Ludovico Ariosto, nuovamente ricorretto ; con nuovi argomenti di M. Ludovico Dolce, Venezia, Guerra, 1568, p. 3.

765.

Giudicio fatto sopra il Furioso di M. Lodovico Ariosto. A’ Lettori, in Orlando Furioso, Venezia, de’Gobbi, 1580, ff. 2r-3r.

766.

Ibidem

767.

Cfr. F. A. Ugolini, I cantari d’argomento classico, Genève-Firenze, 1933, pp. 10 sgg.

768.

Risulta chiaro ad una semplice comparazione fisica tra i volumi del Furioso editi nei due formati come quelli in-4 risultino generalmente più curati e dunque oggetti pregiati, mentre i volumi in-8 si presentano per lo più come prodotti di seconda scelta, spesso stampati su carta di qualità scadente ed in caratteri poco leggibili, poiché impressi con punzoni ormai consumati. Anche la rilegatura, quando é conservata, appare, salvo casi eccezionali, di scarso valore, così come all’interno mancano i margini per eventuali postille, le spaziatura sono ridotte, le illustrazioni poco limpide e frequenti gli errori di stampa. Per quanto riguarda i contenuti, le edizioni in-4 erano integrate ed arricchite con quei lavori eruditi paralleli al poema che venivano sacrificati nei formati minori per carenza di spazioe per ridurre al minimo il numero delle pagine da inserire nel volume. Un ulteriore elemento che concorre a consolidare l’ipotesi di una destinazione “popolare” delle edizioni cinquecentesche del Furioso in-8 e di una destinazione più “alta” di quelle in-4 si ricava da un altro dato di fatto: a tutt’oggi siamo in possesso di un numero maggiore di volumi in-4 poiché, considerati oggetto di pregio, vennero custoditi con cura nelle biblioteche private, contrariamente a quanto avvenne per le edizioni in formati minori, attualmente più rare e più malridotte. I formati minori (in-12 e in-24, gli unici due tentativi in-16 sono del Rouillé, a Lione), appaiono solo a partire dal decennio 1556-65, ma sempre in pochissime unità: in effetti, sia la lunghezza materiale del poema, sia la tendenza ad accompagnarlo con le illustrazioni e con un certo contorno di scritti, ostacolavano la possibilità di una stampain -16 o in-24 e, in certa misura anche in-12. Fino al quinto decennio del secolo, per il formato in-8 furono generalmente utilizzati esclusivamente i caratteri gotico e semigotico, che poi caddero in disuso, mentre per il formato in-4 si utilizzò il carattere romano o tondo. Dopo tale data fu assunto il carattere corsivo, sia per le edizioni in –4 che in-8. Per i formati minori e minimi si preferì invece usare il romano o tondo fin dal quinto decennio. Cfr. Pace 1987.

769.

G. Malatesta, Della nuova poesia o vero delle difese del Furioso del Signor Gioseppe Malatesta, Verona, delle Donne, 1589, p. 139.

770.

E’ interessante notare come la novella, estrapolata dal corpo del romanzo, conobbe poi una sua fortuna separata, nel corso del secolo, come stampina di poche carte in-4. Il titolo di queste stampe, tutte anteriori al 1530, é Historia del re di Pavia, il quale avendo ritrovato la regina in adulterio se dispose insieme con i suoi compagni cercar più paesi. Cfr. Sander 1942, nn. 5491-5494.

771.

M. Cervantes, El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha, a cura di L. A. Murillos, Madrid, 1978, parte I, cap. 32, pp. 393 sgg.

772.

G. Malatesta, Della nuova poesia o vero delle difese del Furioso del Signor Gioseppe Malatesta, Verona, delle Donne, 1589, p. 147.

773.

Cfr. Beer 1987, p. 237. Sulla tradizione dell’ottava rima, cfr. G. Kezich, I poeti contadini, Roma, Bulzoni, 1986.

774.

M. de Montaigne, Journal de voyage en Italie en 1580 et 1581, in A. D’Ancona, L’Italia alla fine del secolo XVI, Città di Castello, 1889, p. 535. Sulla popolarità del Furioso, cfr. ancora nel Journal, la descrizione arcadica della campagna di Empoli (p. 471):

“Il liuto in mano, e fin alle pastorelle l’Ariosto in bocca”

775.

G. Malatesta, Della nuova poesia o vero delle difese del Furioso del Signor Gioseppe Malatesta, Verona, delle Donne, 1589, p. 139.

776.

Cfr. N. HARRIS, Bibliografia dell’Orlando innamorato, Modena 1988.

777.

Per il rapporto tra l’Ariosto e le arti figurative, cfr. il bel saggio di Gnudi 1975 ; sull’Ariosto “visualizzato”, cfr. Lee 1977 e W. R. Lee, Ariosto’s Roger and Angelica in Sixteenth-Century Art: Some Facts and Hypotheses in Studies in Late Medieval and Renaissance Painting in Honor of Millard Meiss, New York 1977, I, pp. 302-319 e, sempre dello stesso autore, Adventures of Angelica, “Art Bulletin”, LIX (1977); Savarese 1979; R. Cesarini, Ludovico Ariosto e la cultura figurativa del suo tempo, in Studies in the Italian Renaissance Essays in Memory of Arnolfo B. Ferruolo, a cura di G. P. Biasin, A. N. Mancini e N. J. Perella, Napoli, 1985, pp. 145-166 e il saggio di P. Barocchi, Fortuna dell’Ariosto nella trattatistica figurativa, in Critica e storia letteraria – Studi offerti a Mario Fubini, Padova, 1970, pp. 388-405. Per un panorama generale sulle interpretazioni grafiche, cfr. Rouches 1925; Hofer 1945; Bellocchi-Fava 1961; Illustrazioni del Furioso 1974; Mussini 1992; Zanetti 1992.

778.

Cfr. Agnelli-Ravegnani 1933, pp. 17-19.

779.

Ibidem, pp. 19-21. Il fregio, ora identico, ora con leggere varianti, apparirà in seguito nelle edizioni dello Zoppino del 1524, di Bindoni (1525), dello Scinzenzeler a Milano (1526), di Sisto Libraro (1526), e in quelle di Venezia del 1526 e di Firenze del 1528. Ibidem, pp. 22-23; 25-28 e 30-32.

780.

Ibidem, pp. 21-22.

781.

Libro chiamato Buovo [...] d’Antona, Milano, Valerio e Hieronimo da Meda, 1500 (?), in-4 e Vendetta de Falconeto historiata, Milano, Joanne de Castiliono, 1512, in-4.

782.

Cfr. Agnelli-Ravegnani 1933, pp. 25-26.

783.

Ibidem, p. 26.

784.

Ibidem, pp. 22-23 e 32-33. Le xilografie misurano cm. 4,8x6,6, due invece sono a piena pagina.

785.

Ibidem, pp. 45-47. Il corredo Zoppino sarà in seguito ripreso da altri stampatori: Benedetto de Bendonis (1537), Alvise Torti (1539), Domenego Zio (1539), Pietro Nicolini da Sabbio (1540) e Nicolò Bascarini (1549), cfr. Ibidem, pp. 48-52, 54-55; dell’edizione Bascarini, rarissima, sono noti solo tre esemplari: rispetto al modello, le figure sono più grandi e meglio definite, realizzate con un segno più spigolose.

786.

Cfr. Ibidem, pp. 36-38. La lettera é pubblicata in Delle lettere da diversi Re, et Principi, et Cardinali, et altri huomini dotti a Mons. Pietro Bembo scritte [...], Venezia, 1560, vol. I.

787.

Una copia del ritratto originale fu pubblicato nel frontespizio di un’edizione del Negromante, Comedia di Messer Lodovico Ariosto, Venezia, Bindoni e Pasini, 1555 e un’altra, ancora più rozza, nell’edizione Sessa del 1533 e Torti del 1535, cfr. Agnelli-Ravegnani 1933, pp. 41-42.

788.

Cfr. Mauroner 1943, n. 10, p. 38 che ne attribuisce l’incisione al Marcolini; Muraro-Rosand 1976, n. 50, p. 117.

789.

P. Aretino, Lettere. Libro secondo, a cura di F. Erspamer, Milano, 1998, pp. 740-741. Per il Giolito, cfr. Bongi 1890-95 ; Camerini 1935 ; Dondi 1967 e 1968 ; Quondam 1977 e ora Nuovo-Coppens 2005.

790.

L. Ariosto, Orlando furioso de m. Ludovico Ariosto [...] Traduzido en romance castellano por el S. Don Hieronimo de Urrea [...] Assimismo se ha anadido una breue introducion para saber e pronunciar la lengua Castellana, con una exposicion enla Thoscana de todos los vocablos difficultosos contenidos enel presente libro [...] Hecho todo por el s. Alonso de Ulloa, En Venecia, por Gabriel Giolito de Ferrariis y sus hermanos, 1553. Cfr. Bongi 1890-97, I, p. 414; Agnelli-Ravegnani 1933, p. 333. Per le edizioni spagnole edite a Venezia, cfr. Pallotta 1991.

791.

Cfr. Javitch 1991.

792.

Cfr. C. Dionisotti, Amadigi e Rinaldo a Venezia, in La Ragione e l’arte. Torquato Tasso e la Repubblica Veneta, a cura di G. Da Pozzo, Venezia, 1995, pp. 13-25.

793.

L. Ariosto, Orlando furioso di messer Ludovico Ariosto nobile ferrarese con la giunta, novissimamente stampato e corretto. Con una apologia de Ludovico Dolcio contra ai detrattori dell’autore, et un modo brevissimo di trovar le cose aggiunte. E tavola di tutto quello ch’e contenuto nel libro. Aggiuntovi una breve expositione de i luoghi difficili. In Tridino, se vendeno dal nobile Ioanne Giolito alias de Ferrariis. Et in Turino da Iacobo Dulci detto Cuni, 1536. Per il Dolce, cfr. Di Filippo Bareggi 1988; Borsetto 1989; R. Terpening, Lodovico Dolce, Rrenaissance Man of Lettres, Toronto, 1997; Nuovo-Coppens 2005, pp. 101-4. Negli stessi anni in cui usciva la stampa del Giolito, cominciava a maturare, intorno al Furioso, e più in generale, intorno al genere letterario del romanzo, un’accesa polemica tra coloro che, in nome di un’intransigente applicazione del modello aristotelico, accusavano il poema eriostesco di non osservare la regola dell’unità d’azione, di ricorrere continuamente ad elementi d’inverosimiglianza e di trasgredire le leggi del decorum con numerosi episodi di carattere patetico-amoroso, e coloro che, invece, in nome di una nuova apertura del canone letterario, o di un adattamento, talvolta troppo forzato, del modello epico aristotelico al poema del Furioso, cercavano di difendere e rivalutare la scelta ariostesca. Cfr. Cerrai 2001n p. 100-101.

794.

Delimitato dalle varie lettere di dedica (quella del Giolito al Delfino di Francia, quella del Dolce ai lettori e, dal 1550, quella del Giolito ai lettori), il testo del poema curato dal Dolce era accompagnato da quarantasei brevi allegorie, ognuna delle quali era posta ad apertura di un canto, di cui, di volta in volta, evidenziava le vicende ritenute più importanti e ricche d’insegnamento. Il libro si chiudeva, infine, con una Espositione di tutti i vocaboli et luoghi difficili, un sonetto in lode dell’Ariosto, accompagnato dal ritratto del poeta, una Brieve dimostrazione di molte comparationi et sentenze dell’Ariosto in diversi Auttori imitate e una raccolta di alcune topiche descrizioni naturalistiche, scritte dal Dolce. Con gli apparati che costituivano la sezione finale della stampa, il Dolce offriva dunque ad un gruppo di lettori specializzati e interessati alle strategie di decostruzione e ricostruzione dei testi, un sintetico repertorio di citazioni e topoi, e contemporaneamente metteva in campo, al fine di rivalutare e legittimare il poema ariostesco di fronte alle critiche degli aristotelici una precisa strategia retorica la cui linea si basava sull’evidenziare gli aspetti epici del Furioso e sul rintracciare, se non addirittura talvolta imporre, l’esistenza di strette analogie, strutturali e contenutistiche, tra il poema ariostesco e la produzione classica, in particolare virgiliana (solo in misura assai minore, omerica) e la materia esclusivamente eroica delle Metamorfosi e delle Eroides ovidiane, a discapito dell’intero e complesso corpus di citazioni, rielaborazioni e imitazioni su cui si fondava la scrittura ariostesca. Cfr. S. Zatti, Il Furioso tra epos e romanzo, Lucca 1990; Javitch 1991; Cerrai 2001.

795.

Cfr. Trovato 1991, pp. 221-224 e Richardson 1994, p. 97.

796.

Vasari-Milanesi 1906, vol. II, cap. 127

797.

ASV, Senato Terra, Registri 31 (1540-1541), c. 177r. I privilegi per le illustrazioni e le immagini venivano solitamente richiesti a parte dalle normali serie di titoli, in quanto più costosi nella fabbricazione e di facile imitazione. Chiaramente menzionate sono anche le illustrazioni dei Trionfi del Petrarca, e probabilmente lo stesso superbo frontespizio architettonico, che dall’edizione del 1544 passò in tutte le edizioni petrarchesche in-4 del Giolito. Era del tutto normale che uno stampatore, avendo investito rilevanti somme nella confezione di apparati illustrativi innovativi, li sottoponesse a protezione legale, con il preciso programma di sfruttarli il più lungamente possibile nelle riprese dello stesso titolo. L’ulteriore e geniale sviluppo di quest’abitudine, lucidamente programmato dal Giolito, sta nel pianificare l’allestimento di illustrazioni nel quadro di una produzione tendenzialmente seriale, intuizione che stava alla base della sua organizzazione aziendale, culminata poi nell’invenzione delle collane editoriali, con i loro titoli esplicitamente numerati. Le stesse illustrazioni del Furioso furono infatti reimpiegate per l’edizione del Discorso sopra tutti li primi canti d’Orlando Furioso fatti per la signora Laura Terracina, pubblicato dal Giolito nel 1549. Cfr. Nuovo-Coppens 2005, p. 223-24.

798.

Questa serie di iniziali, insieme alla prima raffigurazione della marca della Fenice erano già apparse nei Commentari di Galeazzo Capella (1539). Le lettere parlanti dell’ “alfabeto mitologico” furono una delle proposte editoriali più largamente imitate – e abusate – dell’editoriale veneziana cinquecentina, diventando una vera e propria moda tipografica cfr. Bongi 1890-97, I, p. 9 e Petrucci Nardelli 1991.

799.

Cfr. Bolzoni 1995 e cap. III.

800.

Sono 13 le illustrazioni che raffigurano una sola scena, la maggior parte (20) ne ritraggono almeno due, 10 tre; due xilografie mostrano quattro episodi e una addirittura cinque.

801.

Cfr. Cerrai 2001, p. 105.

802.

I primi esempi di illustrazione multi-narrativa nel libro del Rinascimento sono probabilmente le vignette di Sebastian Brant per il Virgilio di Strasburgo (Strasburgo, Gruninger, 1502), copiate in un’edizione veneziana del 1537 (Venezia, Giunta, 1537, con diverse ristampe successive). Sebbene lo stile del Nord fosse ormai lontano dai gusti lagunari, le composizioni del Virgilio tedesco, tra l’altro ripubblicato anche a Lione, potrebbero aver introdotto questo genere di narrazione anche in Italia.

803.

La Historia del re di Pavia il qual havendo ritrovata la regina in adulterio se dispose insieme con un compagno de cercare più paesi e far con le femine de altrui, quel che le loro havvano fatto ad ambedui pubblicata fin dagli anni venti dal Pagano e dal Bindoni, non era che un “travestimento” della novella ariostesca ripresa con qualche piccola variante dalle prime due edizioni del poema, quella del 1516 e del 1521. Cfr. Agnelli-Ravegnani 1933, pp. 182-85.

804.

Cfr. Quondam 1983, pp. 600-601 e Sberlati 1994.

805.

Gli affreschi decorano una piccola stanza, prossima al salone di rappresentanza del palazzo, che fungeva certamente da ambiente di uso privato dove, all’edificante carisma della storia antica, offerto anche alla città nelle pitture all’esterno del palazzo, si sostituiva un modello personale di virtù trionfante sull’irrazionalità delle passioni, adombrato però nella piacevolezza delle “favole” dettate da un libro allora di larga diffusione, consona dunque all’intimità di un gabinetto privato: qui Ruggiero é un campione di sofferte conquiste morali attraverso un itinerario di fantastici perigli e meravigliose risoluzioni. Per questi afrreschi, cfr. E. Lagmuir “L’audaci imprese”. Nicolò dell’Abate’s frescoes from Orlando Furioso, “Storia dell’Arte”, XLII (1981), pp. 139-150 e ora la scheda di W. Bergamini in Nicolò dell’Abate 2005, p. 333 con bibliografia precedente.

806.

Per il Rouillé, cfr. Baudrier 1964, X ; Picot 1906, I, pp. 183-220 ; Salomon 1965 ; Zemon Davis 1966 ; Zemon Davis 1983 ; Giudici 1985 ; Albonico 2000 ; Nuovo-Coppens 2005 ; Andreoli 2006 e cap. IV.

807.

Orlando furioso dirigido al principe Don Philipo nuestro señor, traduzido en Romance Castellàno por don Ieronymo de Urrea. An se añadido breves moralidades arto necessarias a la declaracion de las cantos, y la tabla es muy mas aumentada. En Lyon en casa de Gulielmo Roville, 1550, Imprimiose en casa de Mathias Bonhomme, 1550. Cfr. Baudrier 1964, IX, pp. 177-78, Salomon 1965, pp. 65-68, Agnelli-Ravegnani 1933, p. 332. Per la traduzione dell’Urrea, cfr. H. Vaganay, “Orlando furioso” traduit par Urrea, “Revue hispanique”, t. LXXXI, 1933. Per il ruolo di Lione nell’editoria in spagnolo, cfr. Etayo-Piñol 2000.

808.

Orlando furioso de M. Ludovico Ariosto traduzido en Romance Castellàno por el S. Don Hieronymo de Urrea: con nuevos argumentos y alegorias en cada una de los cantos muy utiles. En Lyon en casa de Gulielmo Roville, 1550, Imprimiose en casa de Mathias Bonhomme, 1556. Cfr. Baudrier 1964, IX, pp. 324-25.

809.

Per l’edizione in castigliano del Giolito, cfr. supra, nota 37. Per l’Ulloa, cfr. Gallina 1955 e Di Filippo Bareggi 1988.

810.

Orlando furioso di M. Ludovico Ariosto, diviso in due parti. La prima contiene XXX Canti. Et la seconda XVI. Insieme con l’aggiunta de i Cinque Canti nuovi. In Lione, Appresso Guglielmo Rouillio, 1556. Cfr. Picot 1906, n. 18, pp. 203-204; Baudrier 1964, IX, 233-34; Agnelli-Ravegnani 1933, p. 336.

811.

Per l’Orlando furioso come fonte per l’ “istoriato” ceramico e le opere ispirate alle xilografie giolitine, cfr. Ravanelli Guidotti 1994

812.

Cfr. Cap. IV, nota 18.

813.

Cfr. Agnelli-Ravegnani 1933, pp. 80-81.

814.

Cfr. Agnelli-Ravegnani 1933, pp. 95-98, p. 110-11, 117-118, 125-126.

815.

Cfr. Falaschi 1975.

816.

Tre le lionesi (Iacopo Fabro, Bastien de Barthélemy Honorat, che copia il frontespizio giolitino e Guillaume Rouillé), cinque le veneziane (due per il Valvassori, una per il Giolito e due, appunto, per il Valgrisi). Cfr. Agnelli-Ravegnani 1933, pp. 96-107.

817.

Il risultato della cura editoriale del Ruscelli parve invece eccellente a tutti i contemporanei, e al dedicatario Alfonso d’Este per primo, che ricompensò il Ruscelli addirittura con 500 scudi. Cfr. Trovato 1991, pp. 282-286.

818.

C. *4r

819.

R. Arnheim, Arte e percezione visiva, Milano, 1971, p. 231.

820.

Per la concezione del tempo e dello spazio del poema ariostesco, cfr. i saggi di Barlusconi 1973, Gnudi 1975 e di M. Beer, Dentro lo spazio del Furioso in Beer 1996, pp. 17-73

821.

Per l’analisi e le carte geografiche utilizzate come fonti di queste illustrazioni, cfr. Doroszlai 1999, e per le conoscenze cartografiche dell’Ariosto, cfr. Idem, Les sources cartographiques et le Roland furieux: quelques hypothèses autour de l’ “espace réel” chez l’Arioste, in Espaces réels 1991, pp. 11-46.

822.

Per citare un solo esempio parallelo, a Venezia, la pubblicazione delle Navigationi e viaggi , l’imponente raccolta di racconti di viaggio di Giovanni Battista Ramusio, era iniziata nel 1550. A partire dalla sua seconda edizione (1554), il primo volume fu arricchito di tre tavole opera di Jacopo Gastaldi, “acciocché – spiega il compilatore – i lettori si servino di quelle per una breve informazione di quanto in esso leggeranno, veggiendo situati i fiumi, monti, città, provincie e capi principali de l’Africa, Arabia, India e isole Moluche”. G. B. Ramusio, Navigazioni e viaggi, Torino, 1978, I, p. 911. L’apparato del volume III (1556) avrebbe comportato sei carte e anche tre piante di città.

823.

Cfr. Doroszlai 1999, pp. 183-84; per le piante di Parigi, cfr. J.-P. Babelon, Paris au XVIe siècle, Paris, 1986, pp. 37-42, e, per le città italiane, C. De Seta, La fortuna del “ritratto di prospettiva” e l’immagine delle città italiane nel Rinascimento, in A volo d’uccello 1999, pp. 28-37.

824.

Cfr. Doroszlai 1999, pp. 186-87.

825.

Ibidem, pp. 187-88.

826.

G. Baruffaldi sen., Vite de’ pittori e scultori ferraresi, Ferrara, 1844, p. 253. Al momento della loro pubblicazione ottocentesca, le Vite giacevano inedite da circa un secolo. Il Baruffaldi, oltre che un inesausto produttore di varia letteratura, un erudito che per le sue ricerche poteva attivare tutta una serie di canali difficilmente accessibili ad altri, a cominciare da una eccezionale biblioteca personale.

827.

G. Baruffaldi jr., La vita di M. Ludovico Ariosto, Ferrara, 1807, p. 252.

828.

Vasari-Milanesi 1906, V, pp. 96-7.

829.

Doveva divampare la polemica su di una legittimazione dei fratelli attuata a così alto livello e tale da risultare scandalosa ai più, se proprio il Dolce, come abbiamo visto tra i più precoci partigiani (e commentatori) del Furioso, poneva in bocca all’Aretino una risentita considerazione al riguardo:

“L’Ariosto in tutte le parti del suo poema ha dimostrato sempre un ingegno acutissimo, fuor che in questa: non dico di lodar Michelangelo, che é degno di ogni gran lode, ma di porre fra il numero di questi pittori illustri, che egli nomina, i due Dossi ferraresi: dei quali uno stette qui in Venezia alcun tempo per imparare a dipingere con Tiziano, e l’altro in Roma con Raffaello, e presero una maniera in contrario tanto gofa, che sono indegni della penna di un tanto poeta”.

Il poligrafo veneziano, se dunque creava così una cattiva fama all’Ariosto come intenditore d’arte, istituiva anche una linea di difesa che si faceva forte, nei confronti di un poeta da lui tanto apprezzato, delle ragioni bnevolmente concesse all’amicizia e, in certo qual modo, al campanilismo, per spiegare la condiscendenza usata verso i Dossi. Ma c’era di più, e di peggio, perché se un simile “errore” poteva essere “ancora tollerabile” ipotizzando appunto che l’Ariosto “dall’amore della patria fosse stato ingannato” non c’erano proprio scuse che giustificassero un abbaglio più madornale ancora (sempre agl’occhi del Dolce-Aretino), quale quello in cui il poeta era incorso assumendo nell’eletta schiera il nome di Sebastiano del Piombo. Cfr. L. Dolce, L’Aretino ovvero dialogo della pittura, Milano, 1863, p. 7.

830.

G. Mazzucchelli, Gli scrittori d’Italia, Brescia, 1753, I, p. 1071; B. Gamba, Serie di testi di lingua, Venezia, 1839, pp. 18-19; J. G. T. Graesse, Trésor des livres rares et précieux, Dresde, 1859, I, p. 198; Brunet 1860-78, I, pp. 433-34; G. Melzi, Bibliografia dei romanzi e poemi cavallereschi italiani, Milano, 1838, pp. 151-52; U. Guidi, Annali delle edizioni e delle versioni dell’Orlando Furioso, Bologna, 1861, pp. 59-61; G. J. Ferrazzi, Bibliografia ariostesca, Bassano, 1881, pp. 70-71; Agnelli-Ravegnani 1933, pp. 98-100; Celebrazioni ariostesche. Catalogo della mostra bibliografica, a cura di B. Fava e D. Prandi, Reggio Emilia, 1951, n. 3; Antologia ariostesca, a cura di L. Capra, Cento, 1974, n. 43; Mostra bibliografica ariostesca, Roma, Biblioteca Angelica, 1974, n. 50; Mostra di edizioni ariostesche, a cura di G. Cagnolati, reggio Emilia, 1974, n. 59.

831.

E’ stato soprattutto il Gibbons, che attribuisce la paternità di almeno quattro delle xilografie valgrisine al suo eroe, a intravvedere in alcune opere del Dosso un preciso riferimento a personaggi ariostei, in particolare Melissa nella Circe della Galleria Borghese, e Fiordiligi (o Melissa o Bradamante) nella Didone Doria Pamphili. Cfr. F. Gibbons, Dosso and Battista Dossi court painters at Ferrara, Princeton, 1968, n. 59, pp. 198-200 e n. 65, pp. 205-206. Né l’inventario di casa d’Este né altri collezioni ferraresi parlano di alcun quadro dossesco con soggetti desunti dal Furioso, ad eccezione della Lotta di Orlando e Rodomonte, oggi conservato ad Hartford (Wadsworth Atheneum), probabilmente una delle copie del famoso dipinto che lo Scannelli vide a Ferrara ed a Roma, ma che si avvicinerebbe piuttosto ad una mano fiamminga. Cfr. A. Mezzetti, Il Dosso e Battista ferraresi, Milano, 1965, n. 225, p. 125; R. Longhi, Officina ferrarese, Firenze, 1965, p. 118. Sempre il Baruffaldi parla anche di alcuni quadri che rappresentavano Alcina e Ruggero dipinti dai due fratelli Dossi per il cont Bonifacio Belvilacqua, ma se n’é persa traccia. Cfr. G. Baruffaldi sen., Vita de’ pittori e scultori ferraresi, Ferrara, 1844, p. 267-68. Per il Dosso, cfr. Dosso Dossi: pittore di corte a Ferrara nel Rinascimento, catalogo della mostra (Ferrara, 1998), Ferrara, 1988.

832.

La paternità del Dosso sembra fondarsi sostanzialmente sull’equivoco della supposta collaborazione del Dosso alle illustrazioni del Triumpho di Fortuna di Sigismondo Fanti, stampato a Venezia nel 1527 (m. v. 1526) da Agostino da Portese per Giacomo Giunta. Era stato Von Hadeln ad avanzare l’ipotesi della paternità dossesca per il disegno del frontespizio, ormai invece concordemente assegnato a Baldassarre Peruzzi. Cfr. D. Von Hadeln, A Ferrarese drawing for a Venetian woodcuts “Burlington Magazine”, 48 (1926), p. 301 e The frontispiece to Sigismondo Fanti’s “Triompho di Fortuna”, “Journal of Warburg and Courtaul Institute” X (1947), pp. 155-159; C. L. Frommel, Baldassarre Peruzzi als Maler und Zeichner, “Beiheft zum römischen Jahrbuch für Kunstgeschichte”, 11 (1967-68), pp. 137-138, n. 100; R. Eisler, The frontispiece to Sigismondo Fanti’s Triompho di Fortuna, in “Journal of Warburg and Courtauld Institute”, X (1974), pp. 155-159; Mortimer 1974, n. 180, p. 257; J. Byam Shaw, Drawings by old masters at Christ Chrurch, Oxford, 1976, p. 117, n. 358; Gentili 1980, pp. 117-120 e Mc Tavish 1981, pp. 70-71. Le numerose illustrazioni nel testo sono di qualità decisamente inferiori rispetto al frontespizio e quasi certamente di altra mano, ma l’ideazione di alcune di esse fu comunque attribuita a Dosso dai Tietze, cfr. H. Tietze-E. Tietze-Conrat, Contributi critici allo studio organico dei disegni veneziani del Cinquecento, “Critica d’arte”, II (1937), pp. 86-87.

833.

Il primo a proporre la correzione é stato il Kristeller, seguito dal Petrucci e da Samek Ludovici. Cfr. P. Kristeller, Kupferstich und Holzschnitt in vier Jahrhundert, Berlin, 1905, pp. 281-82; A. Petrucci 1964, p. 99, nota 92, Samek Ludovici 1974, p. 164. La distinzione fra le mani dei due fratelli é stata più volte argomento di dubbio: grazie alla collaborazione con il fratello, Battista ebbe modo di assorbirne l’influenza, pur riflettendone debolmente le idee nella sua cultura classicheggiante, acquisita nel periodo romano durante il quale fu vicino a Raffaello. Menzionato nei documenti estensi nel 1517 e nel 1520, poi in maniera più continuativa dal 1524, i suoi interventi accanto al fratello, dapprima solo per ruoli secondari, s’intensificarono talmente da rendere talvolta indistinguibile l’operato dell’uno o dell’altro, confusione avvalorata peraltro dalle contradditorie attestazioni dei documenti stessi: dipinti commissionati a Battista risultano poi eseguiti da entrambi, così come altri pagati al Dosso paiono piuttosto di mano del fratello. Verosimilmente ciò si spiega tenendo conto dei rapporti tra i due di cui parla il Vasari – apparentemente non propriamente fraterni (“furono nemici l’uno dell’altro, ancorché per voler del Duca lavorassero insieme”) , per cui Dosso avrebbe sempre mantenuto la responsabilità dell’opera con il compito dell’invenzione, dell’elaborazione degli schizzi, della direzione dei lavori, nonché della correzione e revisione. Il talento di Battista quale pittore di paesaggi é sottolineato dal Lomazzo, che ricorda entrambi i fratelli per “lo sfuggimento dei boschi con raggi del sole che per entro lampeggiano” (G. P. Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura, Milano, 1584, cap. LXII); la sua attività di artista di corte, infine, gli richiese disegni per opere di oreficieria, carri per feste, medaglie e cartoni per arazzi. Proprio in quest’ultima branca Battista dovette specializzarsi allorché venne istituita a Ferrara una fabbrica per tessitura che lavorava anche con maestranze fiamminghe, sotto la direzione dei Karcher. Cfr. A. Mezzetti, Il Dosso e Battista ferraresi, Milano, 1965, n. 121, p. 55.

834.

Cfr. Baldan 1988 e Sarigu 2001. Il monogramma, o meglio, le iniziali puntate “D. B.”, appaiono sul lato sinistro della composizione, al di sotto della tenda del duca Namo – il duca di Baviera, appunto – e si distinguono appena, per la loro grafia, dalle altre lettere indicanti i personaggi.

835.

Cfr. Coccia 1991. L’attività calcografica del Bertelli é attestata da alcune edizioni di tavole raffiguranti vedute di città, pubblicate tra il 1569 e la metà dell’ottavo decennio. In particolare, Coccia scorge notevoli affinità tra le xilografie valgrisine e alcuni particolari di vedute de Le vere imagini et descrittioni delle più nobili città del mondo, incise dal Bertelli nel 1569 e in cui compare il medesimo monogramma puntato “D. B.”. Anche sommati ad altri particolari - quali le raffigurazione dei cavalieri, degli eserciti, delle case dal tetto appuntito di provenienza nordica (che però Coccia scorge nelle vedute di Lione e Ginevra, che in fondo, nordiche sono !) e dai fiumi di cui si ritraggono le onde – non ci sembra davvero abbastanza per prendere seriamente in considerazione la proposta. Molto più degna di nota, invece, ci sembra l’osservazione in merito ai manierismi grafici di provenienza nordica, ai tipi allungati e calligrafici derivanti dal Rosso o da Primaticcio che rimanderebbero alle incisioni bellifontane, presenti nelle xilografie delle edizioni valgrisine e che la studiosa pone in relazione alla mediazione della produzione grafica di un artista come Battista Del Moro, permeata di cultura romano-veneta e di riferimenti al manierismo internazionale.