Appendice II : La marca del serpente sul Tau

Vincenzo Valgrisi utilizzò fin dall’inizio della sua carriera, diverse versioni di una marca raffigurante il serpente attorcigliato ad un bastone a forma di tau sorretto da due mani uscenti da nuvole [Fig.1-9] 842. A parte i suoi eredi, sembra che Vincenzo sia stato l’unico libraio italiano del Cinquecento ad aver usato una marca con quest’immagine, che rieccheggiava, per occhi ben abituati come quelli dei lettori del Cinquecento, diverse marche di editori di origine nordica, uno per tutti Froben, la cui impresa editoriale era “marcata” dall’invenzione holbeniana del caduceo su cui si attorcigliavano due serpenti.

Data l’importanza della rappresentazione del serpente sul Tau nell’iconografia riformata dell’Antico e del Nuovo Testamento e i “serpeggianti” - é il caso di dirlo - sospetti riguardo alle presunte simpatie eterodosse di Vincenzo, come interpretare la scelta di questa marca?843

L’interpretazione delle marche tipografiche, si sa, è delicata e si presta facilmente a generalizzazioni affrettate, ma da quando Aldo Manuzio scelse di contraddistinguere la sua produzione con il “Festina Lente” dell’ancora e il delfino - un’immagine enigmatica che alludeva a un universo aristocratico e a una cultura antichizzante in netto contrasto con le marche puramente commerciali usate fino a quel momento da stampatori e librai veneziani del ‘400 - la marca dev’essere considerata a tutti gli effetti quale parte integrante di una strategia di identificazione presso il pubblico e simbolo di una determinata proposta editoriale: entra a pieno titolo, insomma, in una “politica imprenditoriale” – si pensi alla marcoliniana “Veritas filia Temporis” - e non è mai indifferente844. Nella vera e propria “campagna pubblicitaria” orchestrata dal Manuzio, spiegava che essa doveva

‘“combinare alla perfezione slogan e immagine al servizio di un prodotto… per far sentire al lettore ordinario che comprava qualcosa di straordinario”845

Quali potevano essere, allora, le ragioni della scelta di Valgrisi ?

La ricca iconografia medievale derivata dal testo biblico, combina variamente le immagini del serpente, della colonna, della pertica e della croce. L’immagine del serpente di bronzo si trova descritta nel libro dei Numeri, 21, 8-9, che, se letto nella Vulgata di San Girolamo recita:

‘“8. Et locutus est Dominus ad eum fac serpentem et pone eum pro signo qui percussus aspexerit eum vivet. 9. Fecit ergo Moses serpentem aeneum et posuit pro signo quem cum percussi aspicerent sanabantur”.’

Le traduzioni in volgare basate sulla Vulgata non menzionano quindi nessun supporto specifico per il serpente. Ugualmente, nella versione giansenista di Isaac Lemaistre de Sacy alla fine del Seicento, si legge :

‘“Et le Seigneur lui dit : faites un serpent d’airain et mettez-le pour servir de signe…”’

Nella Historia scholastica di Petrus Comestor (+ 1179), invece, che fu utilizzata come testo di base per i volgarizzamenti tre-quattrocenteschi - tra i quali la “Bible historiale” francese - si indica chiaramente che il serpente è posto in cima a una colonna :

‘“Tu feras un serpent d’arain et le mettras sur une haulte coulonne si que le peuple le puisse veoir et ceulx qui seront mors du serpent ou ceulx qui mors en seront des qu’ilz le pourront veoir et regarder ilz seront guaris du mors du serpent venimeux ?”846

Cosi lo rappresentano due manoscritti di origine parigina datati della metà del Trecento conservati all’Aja, di cui il secondo dovuto al maestro della bibbia di Jean de Sy, commissionata dal re di Francia Giovanni il Buono847 . Il serpente di bronzo conservato nel Tempio fino all’epoca di Ezechias è nuovamente rappresentato in cima a una colonna in un manoscritto parigino della Bible historiale 848.

Il commento classico di Nicola da Lyra (+ 1340) spiega che il testo ebraico, contrariamente a quanto riportatato dalla Vulgata, precisa che il serpente “habetur in pertica”, chiarendo il senso mistico del passo, prefigurazione della crocefissione di Cristo :

‘“Ratio autem mystica est quoniam serpens ille figurabat Christum passurum in cruce” ’

secondo il Vangelo di Giovanni 3, 14-15 :

‘“14. Et sicut Moses exaltavit serpentem in deserto ita exaltari oportet Filium hominis 15 ut omnis qui credit in ipso non pereat sed habeat vitam aeternam” ’

la stessa citazione che compare nelle due varianti più “monumentali” della marca valgrisina, in cui Mosé é raffigurato quale guida (con tanto di bacchetta) del popolo eletto.

Le illustrazioni del commento rappresentano in effetti il serpente su una pertica biforcuta, come nel manoscritto della biblioteca municipale di Tours, realizzato verso il 1500 a Parigi849.

Le traduzioni riformate in volgare, redatte nel Cinquecento a partire dalla veritas Hebraica,menzionano naturalmente la presenza della pertica. Così si legge, ad esempio, nella versione in francese pubblicata a Lione da Jean de Tournes nel 1561, che segue il testo della cosidetta “Versione di Ginevra”, stampata da Jean Girard nel 1546:

‘“8. Et le Seigneur dit à Moyse fay un serpent ardent et le mets sur une perche et aviendra quiconque sera mors et le verra, il vivra. 9. Moyse donc fit un serpent d’airain et le meit sur une perche & avint quand quelque serpent avoit mors un homme, il regardoit le serpent d’airain, & estoit gueri” ’

All’inizio del Cinquecento il parallelo tra il serpente di bronzo in cima alla pertica e Cristo crocefisso entra a far parte dell’iconografia classica dei libri d’ore, come avviene nelle Heures all’uso di Roma della biblioteca municipale di Rouen, le cui miniature sono opera del fiammingo Simon Bening e datano al 1525850 .

Il tema iconografico del serpente su una croce a forma di Thau, che dunque allude visualmente alla crocefissione, é in realtà ben più antico, come dimostra una vetrata della catedrale di Chartres..

Nelle Bibbie a stampa del Quattrocento e del primo Cinquecento, l’iconografia è ripresa nelle vignette che illustrano il capitolo 21 dei Numeri, come accade, ad esempio, nell’edizione della Vulgata con i commenti di Alberto Castellano (Lyon, Etienne Gueynard, 1512)851.

Il simbolismo cristico del Thau, particolarmente diffuso dal Duecento in poi in ambito francescano, è basato su un passagio di Ezechiele 9,4 : “Signa thau super frontes virorum gementium”. San Girolamo, nel suo commento a Ezechiele, indica in effetti che la croce di Cristo era in forma di T, cioè il Thau dei samaritani che assomigliava al tau greco e non all’ultima lettera dael’alfabeto ebraico. Questa lettera era però assimilata all’omega greco e dunque alla croce di Cristo come immagine del compimento delle promesse dell’Antico testamento: il thau diventava così la marca dei cristiani, la “marca sulla fronte” evocata nell’Apocalisse, 7, 2-3, che rimandava a Ezechiele : 

‘“2 Et vidi alterum a,gelum ascendentem ab ortu solis habentem signum Dei vivi et clamavit voce magna quattuor angelis quibus datum est nocere terrae et mari 3 dicens nolite nocere terrae neque mari neque arboribus quoadusque signemus servos Dei nostri in frontibus eorum”’

Nella scelta della sua marca Valgrisi riprende dunque un’iconografia radicata nella più antica tradizione cristiana. Due le varianti principali: la prima, declinata a sua volta in diverse dimensioni, per adattarsi ai diversi formati di stampa, é, appunto, il serpente sul bastone a forma di Tau sostenuto da mani uscenti da nuvole; nella seconda, la stessa immagine è accompagnata, in basso, da una rappresentazione del popolo ebraico nel deserto guidato da Mosé, con il motto tratto dal Vangelo di Giovanni già citato poco sopra : “Sicut Moses exaltavit serpentem in deserto ita exaltari oportet filium hominis”, Di per sé, dunque, non si può certo affermare che questa iconografia abbia alcunché di riformato, di “mal sentant”. In realtà, il rifiuto dell’originalità era alla base del rapporto luterano con le immagini: Jean Wirth concludeva infatti in maniera convincente che

‘“à la limite il n’y a pas de thématique luthérienne car on n’invente pas d’images”852

insistendo invece sull’analisi della “posizione strategica” che queste immagini occupano nella propaganda riformata, e dunque sull’importanza del loro uso e del loro contesto.

In una città come Venezia, cosi legata al mondo germanico, così attenta alle novità e alle notizie provenienti dal Nord, specialmente in campo librario, la presenza di una marca con una tale iconografia non poteva poi non riecheggiare le xilografie che avevano diffuso in tutta l’Europa i famosi dipinti di Lucas Cranach del 1529 sul tema della Caduta e della Redenzione, secondo i due tipi conosciuti come il tipo “di Gotha” e il tipo “di Praga”, ampiamente diffusi tramite xilografie di mano del maestro e della sua fiorente bottega e ripresi almeno una volta dallo stesso Holbein [Fig. 10]853.

In tali immagini, Cranach opponeva la Legge, che comportava il peccato e la morte, raffigurati a sinistra, al Vangelo, a destra, dove solo la fede può offrire protezione contro il peccato e la morte. In tali composizioni, il serpente di bronzo occupava un posto di tutto rilievo: lo troviamo alternativamente nella parte destra, dal lato del Vangelo (tavola di Gotha), o nella sinistra, dal lato della Legge (tavola di Praga). La posizione stessa acquista un alto valore teologico: nella versione di Gotha corrispondente a una contrapposizione netta tra il peccatore, irrimediabilmente dannato, e il credente, miracolosamente salvato – il serpente, immagine della fede, si trova allora da questo lato -, in quella di Praga, più sincretica, dove l’immagine si deve leggere come un percorso continuo dalla legge alla grazia – il serpente si trova a sinistra per valorizzare invece l’Antico Testamento.

E questa versione che ritroviamo in una splendida xilografia parigina anonima, tradizionalmente attribuita (ma a torto) a Geoffroy Tory [Fig.11] 854.

La posizione centrale che la marca di Valgrisi attribuisce per forza al serpente al tau, come nel disegno originale di Cranach, evocava necessariamente, ad un lettore o semplicemente ad un acquirente che si aggirava tra i banchi della “bottega alla testa di Erasmo” i due mondi opposti della grazia e del peccato e la centralità, appunto, della fede salvifica.

Figura 1
Figura 1
Figura 2
Figura 2
Figura 3
Figura 3
Figura 4
Figura 4
Figura 5
Figura 5
Figura 6
Figura 6
Figura 7
Figura 7
Figura 8
Figura 8
Figura 9
Figura 9
Figura 10 – H. Holbein (attr.),
Figura 10 – H. Holbein (attr.), Allegoria dell’Antico e Nuovo Testamento, Edinburgo, 1535 circa
Figura 11 – Anonimo,
Figura 11 – Anonimo, Allegoria dell’Antico e Nuovo Testamento, xilografia.
Notes
842.

Si veda oltre il sito web di EDIT 16 il recente volume Inter omnes : contributo allo studio delle marche dei tipografi e degli editori italiani del XVI secolo, Roma, ICCU, 2006.

843.

Una recente sintesi del problema si trova nel capitolo Lucas Cranach the Elder : a Reformation artist in Dilleberger 1999, p. 96-107. Ringrazio François Dupuigrenet Desroussilles per le preziose indicazioni riguardanti i testi biblici.

844.

Per una discussione ampia del problema, che fuoriesce dall’ambito puramente monografico, si veda M. Simonin, Peut-on parler de politique éditoriale au XVIe siècle ? Le cas de Vincent Sertenas, libraire du palais, nella raccolta postuma L’encre & la lumière. Quarante-sept articles (1976-2000), Genève, Librairie Droz, 2004, p. 761-782

845.

M. Lowry, The Manutius Publicity Campaign, in Aldus Manutius and Renaissance Cuture. Essays in Memory of Franklin D. Murphy. Acts of an International Conference Venice and Florence, 14-17 June 1994, edited by David S. Zeidberg, Firenze, Leo S. Olschki, 1998, p. 45.

846.

Bible historiale, Paris, Antoine Vérard, ca 1498-1499, f. XLIV r. e v.

847.

Biblioteca reale dell’Aia, KB 78 D 38 f. 103 e MMW 10 B 23 f. 90 r

848.

Parigi, BnF, Fr. 9, f. 179

849.

ms. 52 f. 106

850.

ms. 3028 f. 69

851.

f. e3 v

852.

Wirth 1961, p. 17

853.

Per una analisi dettagliata si rimanda a Dillenberger 1999., p. 97-100 e Wirth 1961, p. 17-18, per il dipinto di Holbein, cfr. BÄtschmann-Griener 1997, p. 119.

854.

Gravure française 1994, p. 193-196.