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Oliviero, Antonio

La Alamanna

In Venetia: appresso Vincentio Valgrisi, 1567 (In Venetia: appresso Vincenzo Valgrisi, 1567)

[I parte:] Cc. A2r-A3r: Al sacratissimo et serenissimo Filippo II. d’Austria, re catolico di Spagna, et altri regni, Antonio Francesco Oliviero, di Vicenza, I aprile 1567:

“I gran fatti di carlo Quinto Massimo vostro padre, eccelso et invitto Re, sono tali, che non solamente meritano esser scritti da eloquentissimi Historici, ma da buoni et illustri Poeti anchora cantati et espressi: anzi piacesse a Dio che si buono lo scrittore fosse, come atta è la materia ad esser perfettamente composta et formata. Onde vedendo io questo esser vero, mi ho sempre sentito da si gran desiderio spinto, che se bene a si alta impresa poco atto mi conoscesse, non ho però potuto trattenermi, che hor questa attione considerando, hor quell’altra ammirando, tutte da lui con sommo sapere et felicità governate, che al fine non ne habbia voluto scegliere una della guerra fatta in Alamagna contra la Lega Smelcadica, la piu illustre (per mio giudicio) et mirabile di tutte le altre: tal che d’intorno a lei esercitandomi posato mai non mi sono sin che tirato da si forte voglia non ne ho (con assai lunga fatica) un Poema Heroico composto; ornamento veramente conveniente a l’altezza di tanta Impresa, quando per corrisponder sia l’opera alla dignità del suggetto. Bene é vero che posso giustamente affermare di non haver fatica o diligenza alcuna pretermessa per osservar quello che a tal compositione si appartiene: ma se stato sia da me secondo il disegno al desiderio satisfatto altri giudici ne saranno. Solo dunque mi restava di fare, che havendo egli ad uscir in pubblico fosse a voi prima indirizzato, non mi parendo che ad alcuno piu si convenisse, anzi piu debita fosse la sua dedicatione, che a Filippo figliuolo et successore cosi ne’Regni et amplisimi stati di Carlo, come nel valore et nella fama di ogni sua virtuosa operatione. Confidato dunque nella natural clemenza, et ineffabile humanità, ho preso tanto di ardire, che assicurato mi sono di ponerlo a piedi di cosi alto Prencipe, ilqual prego che si degni benignamente di accettarlo, non havendo a schifo la debil qualità et bassezza de l’ingegno mio, ma solamente mirando a l’altezza del desiderio, quale et stato di non mancare (quanto sia per me) in far nota a posteri la grandezza e’l valore di Carlo Quinto Massimo, et porger qualche delettatione et utilitade nel mondo. Di Vicenza il giorno primo di Aprile 1567”.

Cc.A4rA8r: Vicenzo Valgrisi a’ lettori, di Venetia 27 aprile 1567:

“Varie sono le discipline et industrie de gli huomini, che ogni dì sono a beneficio, et commodità del mondo adoperate : ma non credo io che altra si trovi così importante giamai, come quella de le Stampe : nè ciò dico perche mi sia sempre di tal arte dilettato, come nel vero mi sono, ma perche ne veggio verissimi argumenti, che a questo creder necessariamente m’induceno. Quanti Poeti, quanti Historici, quanti Filosofi, et finalmente quanti eccellentissimi scrittori in qual si voglia sorte di professione crediamo per lo adietro essersi insieme con le etadi consumati et perduti : ove se a tempi loro stata fosse in uso questa divinissima inventione de le Stampe non sariano adesso in vano desiderati dal mondo. Possiamo dunque giustamente affermare, che si mantenga per quelle il modo di reggere i populi con giustitia, poi che de le leggi ci fanno copia ; per quelle sana si mantenga la vita nostra mortale, poi che la medicina ci fanno palese ; et per quelle i costumi, le scienze, et le arti siano al mondo scoperte, poi che la Filosofia non solamente ci insegnano, la Cosmografia, l’Astrologia, et tutte l’altre scienze ci dimostrano, ma i buoni Poeti anchora ci conservano, da quali con piaceri non finti apprender possiamo la vera et lodata vita, ce se ne sta sotto i loro figmenti nascosta. Et nel vero io per me affaticato sempre mi sono di imprimer varie maniere di libri, ma non già tanto in alcuna insudato, quanto in stampar con ogni diligenza le opere de’ Poeti, le quali nel vero parmi che come sacre et divine meritamente debbano a ciascun’altra inventione di scrivere anteporsi, così per l’arte et difficultà che in componerle si dura grandissima, come perche si puo con verità affermare, che in quelle tutte le scienze divine et humane siano sparse et raccolte. Havendo io dunque usata sempre familiarissimamente l’amicitia de l’Eccellentissimo M. Antonio Francesco Oliviero gentilhuomo Vicentino, et sapendo esser stato da lui con lunghissimo studio composto un Poema Heroico d’intorno a l’attione già fatta da Carlo Quinto Imperadore in Alamagna contra la Lega Smelcadica, ho tanto al fine operato, che non sapendo egli opporsi al mio giustissimo desiderio s é contentato di pubblicarlo, et per consequente di concederlo a me, che per via de le stampe lo facessi nel mondo vedere, di che non mi poteva esser data cosa maggiore o più gioconda, poi che sapeva ben’io, che da le sue mani non poteva uscir opera se non buona et perfetta. Ne punto ingannato mi sono, perche oltre a le scienze et arti che sotto velami Poetici tutte quasi vi si scorgeno variamente inserte, ho ritrovato come egli non solamente cosi bene, et con tal ordine questo Poema disposto, et accomodato, che ne osservar meglio si poteva l’arte d’Aristotile, da Horatio, et altri insegnata, né più leggiadramente caminar dietro a le pedate di Homero et Virgilio accomodandosi d’intorno a l’imitatione di quelli talmente, che havendoseli per scorta eletti, non si é dimenticato pero de la diversa facultà de le lingue, et varietà di costumi. Poi proponendosi una sola attione, anzi parte di una solamente, di che tanto é lodato Homero da Aristotile, terminar gli é piaciuto non nel fine di tutta la guerra ; il che fu in Sassogna et in Boemia, né cominciar nel principio di essa, che fu ne la deliberazione fatta in Anversa ; ma dopo la preparatione de gli esserciti, et poi finir de la vittoria che hebbe l’Imperadore contra la Lega Smelcadica : accio volendo tutta la serie de la pigliata materia poeticamente dipingere, infinito non fosse il volume : ovvero ristringendola non ne succedesse per tanti diversi fatti difficultà et tedio gravissimo a gli ascoltanti. Tolta ne ha egli dunque sola una parte, servendosi del resto per digressioni et epissodi, acciò in tal modo il desideroso lettore quando con diffusa et efficace enargia guidato, quando con silentio trasportato, et quando per relatione d’altri intorno a le tralasciate cose instrutto : pian piano sia con piacevol brevità di parte in parte artificiosamente condutto a perfetta et integra cognitione de l’historia. Essendo massimamente questi epissodi cosi ordinati, che da la principale sola attione dependono in modo, che non si scostando come rami dal tronco insieme tendeno ad uno istesso fine. Tal che possiamo ne l’animo commodamente rappresentarci il corpo, et serie di tutta la favola, non altrimenti che soglia farsi di alcuna forma, le cui parti se con arte siano congiunte, rende cosi integra a giudiciosi riguardanti bella et perfettissima vista. Et però veggiamo non esser questo come hanno alcuni fatto, una confusione di molte attioni diverse, ma un sol corpo tutto insieme raccolto, il quale ha principio, mezo et fine, et in cui parte alcuna separata non si trova dal soggetto nel quale é formato. Corrispondendo in se talmente, che sempre fra bellissimi ordini passando sveller non si può nulla senza sturbar la serie et dispositione di tutta l’opera. Oltre di questo é stato tal ordine abbracciato, che nel mezo de l’attione (come veramente intervenne) restar si vede Carlo vicino ad esser vinto, sin che a poco a poco rifacendosi ne rimane poi con sua maggior gloria vincitore. Il che con ragione artificiosamente fatto si vede, imperò che questa é la principal parte di essa favola, che a la revolutione over peripetia si appartiene. Né altrimenti quasi ordinar si debbe il Poema Epico di quello che al Tragico si convenga, et chiaramente si vede questo haver fatto cosi Homero d’intorno a l’esercito de Greci riducendolo sino a l’estremo, et facendolo poi al fine vittorioso : come anchora Virgilio, il quale Enea costringe tutto travagliato chieder soccorso per non conosciuti paesi a stranieri Signori antichi nimici del nome Troiano, mentre che erano i suoi da Turno assediati con lor gravissimo danno, et dubbio di esser malamente trattati et oppressi, traendo al fine poi et li Troiani di pericolo, et facendo Enea vittorioso con la morte del suo nimico Turno. Poi affaticato medesmamente si é che vario sia questo Poema asperso hor di battaglie, hor di esortazioni militari, di determinationi et parlamenti, di provisioni et governi, così humani come celesti, et a le volte anchora di amori, di duelli, quando casuali, quando preparati, di ordinanze, di discipline, di esercitij di guerra, di discrittioni di luoghi et tempi, di naufragi, di horrori, di compassioni, di perturbationi, di allegorie, et alre varietadi, che allettar sogliono et dilettare l’animo di chi legge. Interserendovi medesimamente molti ammaestrevoli costumi, et abominevoli vitij quando scoperti, quando sotto varie fittioni avolti, per la imitatione hor di boni hor di vitiosi huomini, et spargendo per tutta l’opera molti giusti avenimenti, molti prudenti detti, et notabili sentenze, acciò oltre a la dilettatione de la varietà de le cose pigliar ne possano i lettori alcun fruttuoso costume, et ammaestramento di virtù insieme con li notabilissimi esempi di fortezza et prudenza, che da le divine operationi di Carlo splender chiaramente si vedeno. Nè ha mancato di attender talmente a l’altezza de’ versi, che stata ne sia la facilità et efficacia de l’esprimer tralasciata, quando con proprie et accomodatecomparationi, quando con traslati, et altri assai figurati parlari. Né tanto si é da l’altra parte in questo adoperato, che di quell’altro scordarsi habbia voluto, sapendo non meno esser deforme a l’Heroica altezza il basso et languido stile, di quello che disdica l’oscurità et durezza ; così però, che sempre più tosto li sia piaciuta la facondia et fluente dolcezza di Homero, che la turgida et difficile rigidezza di Silio Italico et Statio, eleggendosi questa maniera di versi quasi simili a gli Endecasillabi de Latini, come piu recetti in questa lingua da nstri Poeti, che gli Esametri, et ciò senza ordine alcuno di rime, parendoli tal schiettezza piu atta a l’Heroica gravità, di quello che siano esse rime, le quali per la dolcezza de le lor desinenze piu nel vero si convengono a le compositioni Liriche et piacevoli, che a magnanimi et bellicosi fatti de gli Heroi. Et io per me (creda ognuno come gli pare) non penso che cosa piu deforma et incompatibile si possa fare, che un Poema Heroico pieno di battaglie, di morti, di horrori, di determinazioni importanti, et poi sentir risonar di dentro a la grandezza di cosi grave e nobil compositione quelle dolci cantilene et affettuose corrispondenze, che a la leggiadria et mollitie de l’armonia lirica si convengono. Nè veramente giudico che ciò altro sia, che giunger (come dice Horatio) ad un capo humano coda di pesce, o d’altro animal bruto, inducendo varie forme strane et horribili da esser vedute. Oltre che descritto in stanze certo non piu sarà lodevole, che se fosse di sonetti composto, poiché é ciascuna stanza a guisa di ode da per se un Poema integro, si come il sonetto. Nè parimente ammetter possiamo anchora i terzetti, per il riposo over cadenza che in ciascuno di quelli si sente ; cosa in tutto da l’Heroico diversa, il qual stabile esser debbe col dir suo unito et continuo, non interrotto et diviso, come ne le stanze si vede, et in tutte le altre rime si scorge, così adimandate da Rithmo, il che altro non é appresso gli antichi, che misura e riposo, poi che esse sempre al suo luogo cadendo a guisa di termini et misure par che si fermino. Onde i Latini l’Esametro solamente in tal compositione accettarono, rifiutando gli Elegi, che in se a doi a doi par che habbino simil riposo : et ogni altra maiera di versi dissimile da la gravità et magnificienza de l’Heroica proportione, che in se grandezza desidera solamente, et nuda schiettezza di versi, simile quasi a le prose, et aliena in tutto da simil concordanze di rime, et melodia lirica, poi che la propria sua immitazioneesser debbe da l’armonia e Rithmo lontana, come ci insegna Aristotile, et hanno osservato i Poeti Greci e Latini, che in ciò stati sono degni di loda. Si vede dunque per tante inventioni, tenti avertimenti et osservationi, quanto degno et nobile sia questo Poema, il quale hora benignissimi lettori vi si appresenta inante guernito di quelli piu nobili ornamenti, che per me stato é possibile, perche veramente ho sempre avuto per certo di non potermi tanto ne le stampe di quello affaticare, nè tanta spesa con si gran numero di figure ponervi, ch’egli non fosse anchora di assai maggior cosa degno. Et tanto piu, perche ciò mi pare molto in un Poema al proposito, anzi necessario, essendo che nel leggere si viene quasi ad un certo modo anche a rappresentar l’attione per via di esse figure, quando massimamente sono fatte con giudicio, et accomodate a la materia e suggetto de l’opera. Pigliatelo dunque con quella sincerità di animo, con che et l’autore, et da me vi si porge purissima, dimostrandovi come solete anzi humani, che fieri et rigorosi, acciò altri anchora ne l’avenire non si spaventino in cosi alte et difficili imprese, anzi da la benignità et piacevolezza vostra invitati, ardiscano essercitar le dottrine et ingegni loro, a ornamento del presente seculo, et riputatione egrandezza di questa nostra lingua italiana. Di Venetia il dì XXVII Aprile MDDLXVII”.

[II parte:] Cc.a2rv: Vicenzo Valgrisi a’ lettori:

“Molti forse si maraviglieranno, che non siano questi ultimi dodici libri ornati de le loro figure come li primi : ma il desiderio quale era in me di dar et quelli et questi unitamente alle stampe é stato cagione che non havendosi potuto per diversi impedimenti cosi presto intagliare tante figure, come al tirar delle stampe si ricercava : non ho però voluto restar di farli vedere, acciò possa ognuno a suo modo considerar la forma di tutto il Poema integro et compiuto, et gustar l’artificio che in quello si scorge, mentre é con tal ordine disposto, che se ben tratta una sola materia, non resta però d’esser vario : et se bene é vario, tutto in se nondimeno corrisponde : come veggiamo che i membri ciascuno da per se, in un corpo sono membri, ma tutto insieme il corpo. Spero dunque di trovar perdono appresso di ognuno, poi che nel vero porta anche seco il formar cosi gran numero di figure gran tempo et travaglio, con promissione che dati in breve li fiano compiutamente figurati come gli altri primi dodeci si veggiono. Laqual divisione é stata fatta ne la revolutione de la favola, per esserci paruto ciò il mezzo di essa attione, non perche sia il Poema in se partito, ma per commodità solamente di quelli, che troppo discomodo giudicassero tutto il volume insieme legato, non essendo però levata ad alcuno la libertà di poner le due parti unite, overo disgiunte, come meglio li parerà. Di Venetia a li XXVII di Aprile, MDLXVII”.