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Tasso, Bernardo

Le lettere di M. Bernardo Tasso. Intitolate a Mons.or d’Aras

In Vinegia : nella bottega d’Erasmo di Vincenzo Valgrisi, 1549

Cc.a2r-a5v: Al reverendissimo et illustre Monsignor d’Aras, di Salerno & c. :

“[...] Et perché, Signor mio, spinto io da la povertà de lo stato mio, come nave, che senza anchore, prima che porto securo possa ritrovare, questo, et quel pelago di mare va ricercando, di servir varii Signori m’é stato di mestieri; et io ufficio giudico d’huomo prudente, et virtuoso, mentre che al servitio d’un padrone si vive, correr con quella medesima fortuna, et per quella medesima strada co’l suo desiderio caminare, che egli camina; se ella troverà alcune lettere a Papa Clemente, al Conte Guido Rangone, o al altri Signori indirizzate et d’Italia, et da la corte di Francia, ne le quali la fortuna del Christianissimo piu tosto, che quella di Cesare io mostri di desiderare, consideri che ho avuto per costume di fare del desiderio de Signori, a cui m’ho proposto di servire, legge a la mia volontà; et in questo ho fatta forza a la natura mia. onde io non dubito preso di voi, et d’ogni prudente giudicio, piu tosto loda, che riprensione di non doverne meritare. Et pregovi, che vi diate a credere, che, posto che io vassallo di sua Maestà nato non sia, a ciò, che non m’ha obligato l’affettione, et l’inchinatione de la mia propria natura, di che i miei scritti fedele testimonio ne fanno, et ne faranno sempre. E chi non sa, la casa mia essere stata sempre, et hora piu che mai devotissima de Serenissimi suoi predecessori, et di sua Maestà specialmente ? Questo tanto ho voluto dirvi, per levarvi ogni ombra che ne l’animo mio vi potessero quelle lettere portare de la mia affettione, et de la mia fede [...].

Cc. a6r-b3r: Al Signor prencipe di Salerno, di Salerno :

“Ma che scudo potreste ritrovare, che da l’armi de la verità, et da le giuste riprensioni mi possa schermire ? Et che potrete voi a quelli rispondere, che diranno, che queste lettere mie povere sono d’inventione ? et quella povertà etiandio con perfetto artificio ben’ordinare, et disporre non ho saputo ? che io non havrò secondo la varietà de le materie variato gli stili; et quelle con parole, con locutioni, con figure, con numeri, et con altri ornamenti del dire di maniera vestite, che non paiano una vecchia rimbambita, inghirlandata, et con la gonna fregiata di più colori ? Come da quegli altri mi difenderete, che diranno, che non hanno ne elettione, ne copia di belle parole, che non hanno gravità, piacevolezza ne argutia ? che talhora senza metaphore, senza comparationi, senza sententie, et senza l’altre varie figure del parlare, quasi ne sia la primavera sterile, et nel nudo prato si dimostrano ? [...] Ohime, Signor mio, che io mi veggio bersaglio a tutti gli strali de le riprensioni, non de gli huomini dotti, et giudiciosi; ma de gli invidiosi, de gli ignoranti, et de maligni: ne so se la vostra virtù a potermene difendere sarà bastante [...]”.