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Demosthenes; Figliucci, Felice

Le undici Filippiche di Demosthene con una lettera di Filippo a gl’Atheniesi. Dichiarate in lingua Toscana per M. Felice Figliucci Senese

In Roma : appresso Vincenzo Valgrisi 1550

Cc. *3v-*4v: Giordano Ziletti al magnif. M. Bernardino Vaneti romano suo honorando :

“Le undici Filippiche di Demosthene con la lettera di Filippo a gl’Atheniesi da voi tanto desiderate, e dimandate vengono pure a ritrovarvi magnifico M. Bernardino, le quali il vostro M. Felice Figliucci, come da voi, e da molti altri vostri pari ho inteso, si leggiadramente ha non pur tradotte, ma ancora dichiarate. E dico dichiarate, perche questa non é pura e stretta traduzzione, come l’altre, la quale si oblighi a la favela greca, ma con gentile, e moderata licenza si va allargando, di modo che a Demosthene dia chiarezza , e a’ lingua Toscana grazia. Io veramente m’intendo più di vendere i libri, che di giudicarli, nondimeno accioché stampando questa operetta non perdessi la spesa, e la riputazione mi son voluto informare non pure da voi, che forse dall’amore, che portate al Figliuccio ingannato hareste potuto tortamente da lui giudicare, ma da molti altri dottissimi huomini tra i quali il dottissimo M. Niccolo Maiorano, che queste Orazioni publicamente espone ne lo studio di Roma, e’l dottissimo M. Augusto Cocceano, m’hanno fatto chiara testimonianza, e fede de la perfezzione di quest’opera, e finalmente tutti mi hanno lodata questa felice fatica del vostro M. Felice, e mi hanno affermato havere in essa ritrovati infiniti luoghi oscuri appresso Demosthene fatti facili, e chiari in questa lingua, e si maravigliano in che modo habbia in un tempo espressi propriamente, e dichiarati i concetti, e modi di dire di quell’autore, e insieme servata la leggiadria de la lingua Toscana. Io non dubito punto che non habbia a’havere questa lodevole opera più biasimatori, che defensori, nondimeno se de i par vostri la torranno a lodare (benche pochi) mi rendo certo, che l’infinita turba de i maldicenti, e ignoranti non vi potrà stare incontro, e alfine si darà per vinta a la verità. Peroche secondo ch’io ho inteso, se ben forse é stato egli il primo, che in questo modo le cose greche ha ridotte in toscano allontanandosi tanto dal filo de la oratione di Demosthene, merita pero esserne lodato, essendo impossibile a proceder bene ne la nostra lingua se si seguita a puntino la greca in mille modi di dire da la nostra lontana, e diversa. Si che havendo egli espresse tutte le vive sentenze, che a guisa di fulmini avventava Demosthene, e dichiarate tutte le oscurità che si ritrovavano in queste orazioni, e insieme servato il decoro de la lingua Toscana, più ne doveria esser ringraziato, che biasimato. Vi ho voluto dire queste cose, accioche ritrovandovi mai tra questi linguacciuti, che apporrebbono (come si suol dire) al sale, mostriate loro quanto siano in errore. Ma io spero, che fra poco tempo si chiariranno, perche mi pare intendere, che egli habbia in animo di dichiarare tutta la scienza di Aristotile in questa lingua, e già n’é stato tanto pregato da molti (a li quali penso, che non potrà mancare) che per saggio darà i ragionamenti, che ha fatto sopra i libri morali d’Aristotile. Si che sperate che in breve la nostra lingua habbia da arricchire da dovero. In tanto godetevi con la piacevole lezzione di queste orazioni, e amatemi”.