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Mattioli, Pietro Andrea

Il Dioscoride dell’eccellente dottor medico M. Andrea Matthioli da Siena; Con li suoi discorsi da esso la terza volta illustrati Et copiosamente ampliati. Co’l Sesto libro de gli Antidoti contra à tutti i veleni da lui tradotto, & con dottissimi discorsi per tutto commentato. Aggiuntevi due amplissime Tavole, nell’una delle quali con somma facilità si puo’ ritrouare cio, che in tutto’l volume si contiene; nell’altra poi tutti i Semplici medicamenti, per qual si voglia morbo adunati insieme. Sonovi anchora aggiunte tre Tavole poste in figura, lequali dichiarano tutti i pesi et le misure delle cose, di cui fa memoria Dioscoride; accomodate à i pesi & à le misure che hoggidi s’usano nelle speciarie. Vi é ancho aggiunta un’altra Tavola in figura, laqual brevemente dichiara ove si prendano i Semplici Medicamenti. Vi sono poi oltre molte altre aggiunte sparse per tutto ’l volume, due bellissimi discorsi aggiunti sopra i prologhi del Primo & del Quinto libro; ove si tratta in uno, cio che si puo desiderar intorno all’historia delle piante, & nell’altro, quel tutto, che alla generatione, materia, & causa delle cose minerali s’appartiene.

[con proprio frontespizio]: Il sesto libro di Pedacio Dioscoride Anazarbeo, in cui si tratta de i rimedi De i veleni mortiferi, tanto preservativi, quanto curativi; Tradotto, & commentato in lingua volgare Italiana da M. Pietro Andrea Matthiolo Sanese medico

In Vinegia : appresso Vincenzo Valgrisi alla bottega d’Erasmo, 1551

Cc. a2r-a6v: Al Reverendiss. et illustriss. suo signore, il S; Christofano Madruccio della S. R. C. Cardinale, Vescovo, & Prencipe di Trento, & di Priscianone, di Goritia, X Agosto 1548, P. Andrea Matthioli:

“Parevami veramente essere (Reverendissimo Monsignore, et Prencipe Illustrissimo) non é lungo tempo passato in uno ampio giardino, di cui per la maggior parte fussero le piu nobili, et virtuose piante, quali pasciute, et stirpate dalle fiere, quali sprezzate, et calpestate da gli huomini, quali imbrattate, et trasformate dal fango, quali oppresse da durissimi sassi, quali suffocate da folte, et acutissime spine, et quali da piu mortifere herbe per forza strangolate, ogni volta che, leggendo Dioscoride fedelissimo, et diligentissimo scrittore di Semplici, chiaramente conoscevo l’ampio campo della medicina; ove le piante piu pretiose nascono, et si ricolgono, essere insalvatichito, et per mera trascuraggine de gli ignoranti successori in assai mal termine ridotto. Imperò che pasciute, et disperse vi ritrovavo io da salvatichi animali fino all’ultime reliquie delle radici tutte quelle nobilissime piante, le quali essendo lungo tempo restate in dominio de’Mori, et de’Turchi, huomini veramente da ogni gentilezza, et politia alieni, per la ruvidezza della barbarica natura loro, si sono del tutto perdute. Del cui numero vedevo essere il Balsamo, gia tanto ampliato dalla Magnificenza, et grandezza Romana, il Malabathro, la Mirrha, l’Amomo, l’Asphalto, la Canna odorata, il Cinnamomo, il Carpesio, et altre pretiose piante calpestate, et vilipese da gli huomini conscevo essere quelle, che per negligenza, et ignoranza de’nostri antecessori poco veramente intenti alla dottrina, et scienza de’Semplici, non piu si riconoscevano per quelle, che per avanti i vecchi nostri padri hebbero in grande uso nella medicina trasformate dal fango, et non poco cambiate dalla lor vera, et natural figura vi scorgevo esser quelle, che in grandissimo numero si ci portano non solamente falsificate dall’India orientale, d’Egitto, di Libia, d’Arabia, et da molte Isole famose, tanto di qua, quanto di là dall’Equinottiale, ma che anchora si imbastardiscono, et si contrafanno in Italia. Et parevami ultimamente suffocate dalle spine, oppresse dalle pietre, et strangolate da piu herbe pestifere, quelle a cui molte altre dalle specie loro di gran lunga differenti, havevano gia per molte centinaia d’anni usurpato l’Imperio, svanite le forze, sepolta la fama, et tolto il proprio nome. Al che piu, et piu volte considerando io, cominciai non senza ragione a pensare, come potesse in un cosimal coltivato terreno divenire rilevatore di tanti, et tanti contra ogni ragione oltraggiati, dispregiati, et mal trattati Semplici, le cui gloriose virtudi, dalle quali dipendono la vita, et la salute de gli huomini, sono veramente da anteporre a tutti i thesori, et ricchezze del mondo. Ma non però quantunque molti partiti nel mio lungo pensiero mi si ravvolgessero nell’animo, ritrovai io tra tutti gli altri il migliore, che torre sopra le spalle mie (come che deboli a cosi fatto peso le conoscessi) il carico d’interpretare in lingua volgare Italiana i cinque libri della historia, et facoltà dei Semplici d’esso Dioscoride, et mettere poscia di propria mia industria sotto ogni capitolo un mio discorso in modo di commento, ove con misurate ragioni, et fedeli auttorità si dimostrassero, et con debita censura si correggessero gli errori, non solamente de’ passati secoli, ma quegli anchora, che alla cieca del continuo si fanno. Dal che quantunque mi disviasse non poco il sapere io quanta calunnia, et quanto biasimo per la varietà grande de’cervelli humani, di cui sono molti, che dilettandosi sempre di dir male, et non considerando quanto, oltre all’havere i testi scorretti, et d’amendui questi al volgare, patisca à tempi nostri ciascuno interprete, et parimente il sapere io dovermi agevolmente acquistare nome di maldicente, se apertamente manifestassi gli errori di ciascuno, nondimeno é stata la compassione, che ho havuto alla vita de gli huomini, che piu presto ho voluto sottogiacere a tutte queste calunnie, che mancar di charità, et di conferire un tanto beneficio non solamente a tutta la gloriosa Italia, ma forse per avventura all’altre circonvicine nationi, a cui é oggi la lingua nostra in pregio, confidandomi che da i detrattori m’habbia a difendere valorosamente la R.ma et Ill.ma S.V. et parimente ogni virtuoso, et gentile spirito, che conoscerà la bontà, et chiarezza del mio cuore. Et benche molti dotti, et eccellenti ingegni de’ tempi nostri habbiano assai d questi errori corretti, come si vede con lunghe fatiche haver fatto Hermolao Barbaro, il Leoniceno, il Manardo da Ferrara, il Ruellio, il Secretario Fiorentino, il Brasavola, il Mondella, il Fuchsio, il Brunsfelio, Euritio Cordo, et altri, che per avanti tutti hanno scritto Latino, non però mi pareva questo bastare al soccorso della coltura di cosi floride piante. Imperò che essendo dato l’amenissimo campo loro per particolar privilegio in governo a gli Spetiali, de i quali a i tempi nostri pochissimi si ritrovano che intendano la lingua Latina, non che la Greca, non erano sufficienti i volumi loro, non essendo intesi, a riparare a i continui errori, che si commettono. Il che fa manifesta fede essermi stato necessario lo scriverne in lingua volgare, la qual potrà agevolmente servire anchora a i medici, che saranno desiderosi d’intendere qualche cosa da me ritrovata, et parimente a ciascun’altro gentile ingegno, che di tal facoltà si diletti in Italia. Nel cui amenissimo, gloriosissimo, et serenissimo seno hora per ombrosissimi, et foltissimi boschi, hora per altissimi, et precipitosi monti, hora per vaghi, et ameni colli, hora per opache, et frigide valli, hora per occulte spelonche, hora per fangose, et humide paludi, hora intorno a chiarissimi fonti, hora per gli herbosi, et fioriti prati, hora per fruttifere campagne, et hora per le rive de i fiumi, et de gli amplissimi mari, et hora nelle piu chiare, et principali città, per privati giardini, ho con non poca fatica vagato, per ritrovare (se ben deboli a tanta grande impresa fussero le forze mie) il mal coltivato giardino nella sua prima natia, et vera candidezza. Al che non poco m’ha favorito il cielo, per havermi dato lungamente in habitatione la floridissima Valle Anania del distretto della vaga, et molto magnifica città di Trento, di cui ha l’imperio V. Rma et Ill.ma S. per essere quivi (come piu ampiamente nel processo di queste mie fatiche si vede) i suoi altissimi monti di gloriose piante dotati dalla natura. Et perche vedevo accadere il medesimo anchora ne i Semplici minerali, a cui diede Dioscoride la maggior parte del Quinto libro, non ho mancato, andando per infinite cave di metalli in alcuni luoghi d’Alamagna, et in su’l distretto di Trento, et per diverse focine, ove s’arrostiscono, si lavano, s’abbrusciano, et si colano le vene loro, di fare ogni possibil fatica, et diligenza di ritrovare i veri. Ne mi sarebbe paruto fatica, imitando il magno Galeno, navigare fino nell’isola di Cipro, per ritrovare quivi i Misi, il Chalciti, e’l Sori, di cui siamo privi noi Italiani; l’andare in Lenno, per rintracciar la vera terra Lennia, in Palestina di Soria, per riportarne il Balsamo, e’l vero Bitume, et in altre longinque regioni, se le molte cure domestiche non havessro impedito la buona volontà mia. Al che fare, oltre a tutte le cose gia dette, m’ha stimolato non poco il conoscere io, che non solamente facendo questo verrò a correggere gli errori, che si commettono attorno alle piante, ma a racogliere (come fanno le Api da vari, et diversi fiori il dolcissimo mele) in un molto bel fascio le virtu gloriose, che in esse si ritrovano, con le quali non solamente preservar si possano gli huomini, ma curar parimente da tutti i mali: da i quali non manco del continuo è questa vita nostra in ogni parte afflitta, et laceratan che si sia ogni sfortunata nave dall’onde, et da venti battuta in mezo al tempestoso mare. Aggiugnesi a questo anchora il piacere grandissimo dell’animo, che risulta dall’aspetto delle piante, imperò che non poco gioisce ogni gentile spirto ne i tempi della Primavera, et della State, quando per sua ricreatione, o ne i privati giardini, o ne i prati, o nelle campagne, o ne i monti, o nelle selve se ne va sollazzando tra le verdeggianti herbette, et tra i soavissimi, et vaghi fiori. Il che tanto piu accresce contento all’animo, quanto piu sono periti questi tali della cognitione, et vera dottrina de i Semplici. Imperò che non si potrebbe con la lingua esplicare il piacere, et la giocondità, che ne risulta all’animo, quando una pianta lungamente ricercata, si ritrova, et quando i naturali lineamenti, et le vivide frondi delle già conosciute per mezo dell’occhio, le riducono a memoria. Dalla cui dolcezza invaghiti Hesiodo, Theophrasto, Aristotile, Democrito, Archita, Zoroastre, Xenophonte, Amphiloco, Timaristo, Atheneo, Callimaco, Anassipolo, Philistene, Apollodoro, Aristophane, Harpalo, Agatone, Hecateo, Apollonio, Aristandro, Hipparco, Bacchio, Aristomacho, Bione, Agatocle, Cherea, Diocle, cheristo, Diodoro, Dione, Epigene, Euagora, Euphrone, Androtio, Eschirone, Prassagora, Dionisio, Diophane, Asclepiade, Phania, Heraclide, Iola, Andrea medico, Crateua Herbario, Erasistrato, Metrodoro, Hicesio, Themisone, Pamphilo, Mantia, Euphonte, Dieuche, Plistonico, Herophilo, Ruffo, Hippocrate, Dioscoride, galeno, Plinio, et molti altri de gli antichiesposero la vita loro per farsi fama immortale a molti pericoli, mentre che in piu diverse, et longique parti del mondo per rintracciare la verità delle cose, che scrissero, se n’andarono vagando. Conobbero, oltre a costoro, risultare dalla facoltà delle piante, oltre al piacere dell’animo, fama immortale molti Re potentissimi, et altri gloriosi Prencipi, sapendo che se in tal facoltà lasciassero di se memoria alcuna, vivrebbe in eterno il nome loro. Percioche le floridissime piante, le quali di tempo in tempo sempre si rinnovano, predicano senza fine le lodi immortali de’ suoi magnificatori, nel che veramente punto non s’ingannarono. Perciò che veggiamo la Gentiana haver fatto chiarissimo, et immortale Gentio Re d’Illiria, la Lisimachia, Lisimaco Re di Macedonia; l’Eupatorio, Eupatorio Re di Thracia, l’Euphorbio, Iuba Re di Mauritania, la Centaurea, Chirone Centauro, maestro d’Esculapio, l’Achillea, Achille fortissimo Greco, il Climeno, il Re Climeno, la Teucria, Teucro, L’Artemisia, Artemisia, moglie di Mausolo; et il dilettarsi di scrivere in questa cosa cosi utile, et necessaria, ha fatto parimente immortali Hierone, Philometro, Attalo, et Archelao potentissimi Re di diversi reami. Et chi piu si dilettò mai di questa facoltà divina, che quel gran Mitridate Re di Ponto, di Parthia, et di tante altre Provincie ? a cui non parendo bastare, per acquistarsi gloria, et fama immortale, l’haver la scienza di ventidue linguaggi, in cui (come scrive Plinio) udive, et rispondeva a molte nationi, nelle quali molte vittorie acquistate in varie, et diverse battaglie, volse finalmente, per esser celebrato con maggior memoria, farsi peritissimo Semplicista, di modo che con tal scienza compose quel suo valorosissimo antidoto, che fino all’età nostra gli conserva la fama, et parimente il nome. Devrebbe, oltre a questo, invitar ciascuno a tanto bella, et utilissima scienza il sapersi per certo, che tanto é l’utile grqnde, che se ne conseguisce, che conoscendolo per grandissimo istinto di natura gli animali, et le fiere salvatiche, si sono anchor’essi fatti ritrovatori di molte virtuose piante. Percio che il Dittamo nella selva Ida di Candia ritrovarono i Cervi, il Seseli, le Cerve, la Cunila, le Testuggini, la Ruta, le Donnole, lo Hieracio, gli Sparvieri, la Chelidonia, le Rondini, l’Origano, le Cicogne, et altre assai altri diversi animali, tanto inferiori a gli huomini, quanto importa l’eccellenza, et grandezza della ragione. Et però rimirando a tutte queste cose, et parimente all’origine di cotal gloriosissima facoltà, principiata quasi insieme (come nelle sacre lettere scrive il gran Mosé) co i quattro primi elementi, è senza alcun dubbio da credere, che la sia la piu nobile, la piu pretiosa, la piu lodevole, la piu gloriosa, la piu splendida, la piu utile, la piu necessaria, et la piu da essere stimata facoltà, che sia stata creata da Dio per bneficio degli huomini. Ne però è da maravigliarsi, se (secondo che scrive Galeno al primo de gli Antidoti) gli Imperadori Romani tenevano provisionati con grandissima spesa in diverse parti del mondo non pochi valenti Semplicisti, per la cupidità della gloria infinita, che di quindi loro risultava, et parimente per universal beneficio de gli huomini, havendo veduto, che prima di loro gli antichi lor padri non solamente si dilettavano di riportare ne i trionphi le spoglie de i reami da loro acquistati, et parimente i Re prigioni avanti a loro, ma anchora diverse virtuose et rare piante forestiere, delle quali non prendevano men gloria, havendole poi a Roma ne i giardini, che si prendessero de i trophei, delle marmoree, et metalliche statue, et de gli archi superbissimi trionphali, che in perpetua memoria si gli dirizzavano. Ne manco stima ritrovo, che fusse fatto da costoro di tutti gli huomini eccellentissimi, che scrissero in questa facoltà maravigliosa; percioche havendo gia presa, et espuganta Carthagine, donarono via a diversi Re tutte le librarie, che vi si ritrovarono, ne altro di quelle riportarono a Roma per far tradurre in lingua Latina, se non trentadue libri di questa facoltà de’ Semplici, et parimente d’Agricoltura, di Magone Carthaginese, tanto fu riputato egli degno dal senato Romano di eterna memoria, dalla cui grandezza conoscendo io non punto digenerare la Rma et Illma S.V. non ho saputo in qual’altro luogo mettere al sicuro queste mie utilissime fatiche, che, nel serenissimo, et gloriosissimo seno di quella, in cui chiaramente si discernono tutte le principali, et rare doti, che ad ogni ottimo, et vero Prencipe si convengono. Del che fanno manifesta fede la grandezza dell’animo, la liberialità del cuore, la cordiale charità, la gioconda humanità, la prontezza dell’ingegno, la prudenza del governo, la facondia del parlare, la gratia del proferire, la memoria del recitare, la cognitione delle scienze, il patrocinio de’virtuosi, et ogni altra ottima parte, che lodare si possa, tutte veramente cose, che naturalmente si ritrovano in lei, del che non solamente fanno testimonio i maggiori Prencipi del mondo, che con quella nelle maggiori importanze loro conferiscono, et si consigliano, et i piu tersi, et gentili spiriti di tutta Italia, che invitati dal suo buon nome, con non poca maraviglia la corteggiano, et l’honorano, ma molto piu ce lo dimostra il cielo, ilquale, oltre all’havergli dato gloriosa origine da nobilissimo, et antichissimo lignaggio, tenendosi obligato alla grandezza del suo cuore, l’ha fatta in brevissimi anni aggiugnere a quagli alti gradi, a quelle glorie, a quegli imperii, a i quali non poterono, se non rari de i suoi predecessori senza lunghe fatiche, et numero d’assai anni arrivare. Del che non contentandosi egli anchora, con serenissima, et lieta fronte gli accenna di maggiore imperio. Et però, essendo io certissimo, che fra tante sue maravigliose virtudi ritrovaranno le fatiche di questo mio nuovo giardino la loro desiderata quiete, le dedico, dono, et presento nelle sue gloriosissime, et sacratissime mani, pregandola, che humanamente (come sempre suole) si degni riceverle, accettarle, favorirle, et difenderle in memoria della servitu, et osservanza mia verso di lei, con quella gratiosa, et lieta vista, con cui s’ha ella fatta propitia tutta la Republica christiana; certificandola, che se ben tal’opera mia non corrisponde alla grandezza di quella, non resta però, che il cuore, et l’animo mio non sieno desiderosi d’haversi con molto maggior donopotuti gratificare alla Reverendissima, et Illustrissima S. V. la qual conservi lungamente Iddio secondo il fine de’ suoi gloriosi desideri”.

Cc. a7r-a8r: Al molto Mag.co et eccellente dottore M. P. Andrea Matthioli medico Sanese Giovanni Odorico Melchiori Trentino, di Padova alli XX d’Ottobre 1549:

“Sarei certissimo d’incorrere in grandissimo biasimo, ogni volta, che si sapesse (che ben lo sanno molti, et molti piu lo saperanno, non passerà gran tempo) che io m’intertenessi, mercé gran parte della cortesia vostra, ne gl’honoratissimi studi di Padova, ne mai v’avisassi quello, che m’oda o bene o male del vostro Dioscoride: cosi lo voglio chiamare, perche mi pare, che non solamente ve lo habbiate fatto vostro con haverlo recato nella vostra lingua natia, come forse fecero molti de’latini con l’opere de’Greci, che non si trovano, ma con haverlo con amplissimi discorsi fatto chiaro a tutta Italia, come che quivi fusse prima da pochi conosciuto. Et tanto piu cio mi riputarei a maggior biasimo, quanto so, che a guisa di quello Eccellentissimo dipintore desiderate per molte cagioni d’havere sopra le fatiche vostre il saggio di ciascuno. Onde quantunque io mi conoscessi di non poter mancare a cotal obligo, se non volea esser ingrato, et havessi in animo di farlo gia lungo tempo, non però m’ha lasciato sodisfargli un desiderio di volere udir molti, piu tosto, che hora, che havendo considerato, che infinite sono le opinioni, essendo gli homini infiniti, mi é paruto di scieglierne alcune principali, et quelle mandarvi. Ma perche cosi mi parea appagar poco, o niente i meriti vostri et mi tenea anzi a vergogna che no, che essendo stato con voi quasi da fanciullo, et havendo poscia con diligentia letto, et riletto il vostro Dioscoride, non v’havessi ancho difeso, senza passione alcuna, da chi sentiva contradirvi, et parimente lodato con chi lodar v’udiva, ho voluto insieme con le accuse inviarvi le difese fatte sol con le vostre armi, accio che vediate se per voi ho saputo quelle ben adoperare; Molti adunque sono, per quel che m’oda, et quelli massimamente, che con Galeno tengono, che senza la vera cognitione de semplici mal si possa medicare, che non picciole lodi danno a gli scritti vostri, come a quelli, che oltra la dottrina, che mostrano dell’isperienza delle cose, tutto il bel, che in tal materia scrissero si i latini, come i Greci, et Arabi, hanno in se raccolto. Altri poi sono, che non vi negono questo, ne lo possono negare, ma da una certa loro nuova religione mossi, dicono, che voi troppo agramente dannate gl’altrui errori. A’ questi ho risposo io, che il primo intento vostro fu (come dichiarate in più luoghi del vostro libro) di non avvilire gli scrittori, ma ben di scoprire gli errori, et di palesare il vero. Che se pur tal volta passate il termine, lo fate piu tosto spento dal zelo della verità, che da altro. Et questo piu contra loro, che non volsero stare nella sua professione, come doveano, et contra quelli, che piu aspramente ripresero gli altri, di che anchor Galeno si fa lecito contra Archigene al secondo delle compositioni de medicamenti secondo i luoghi. Perche quando di pur di troppo riprendere (come dicono) fuste degno di riprensione, nel medesimo fallo sarebbe Aristotele, et Galeno anchora, conciosia che l’uno biasima spesso l’opinioni de gli antichi, et l’altro tratta molto male tutti quelli, che avanti li haveano scritto de semplici eccetto Dioscoride, il quale ebbe sempre in grandissima riverenza et di che sorte gli tratta egli chiamandogli bugiardi, cianciatori, sognatori, et con altri nomi si fatti di non poca infamia? Ne mancano alcuni di dire, che sia quasi un paradosso il voler tenere contra l’opinione de nostri vecchi, et il commune uso, come fate voi, che alcuni de primi, et piu importanti semplici delle speciarie, come l’Acoro, il Cinnamomo, il Calamo aromatico, et altri, non sieno i veri, quantunque l’habbiate loro fatto toccar con mano, et n’habbiate oltra cio scoperti alcuni che se ne stavano sotto altri nomi nascosi. Al che non ho voluto altro rispondere, non provando essi nulla, se non che mostrino con ragioni che siano i veri, che allhora voi o gli cederete, o con altri piu efficaci argomenti vi sforzerete di ostentare la vostra opinione, et la verità insieme. Di questo io son chiaro percio che m’havete gia mandato per vostra humanità piu lettere in risposta d’alcune obiettioni fattevi sopra diversi Semplici alle quali ho veduto, che havete con tanta leggiadria, et con si vive ragioni risposto, che quei tali appagati dalle vostre vi hanno meritamente ceduto. La onde vorrei eshortarvi, che di esse lettere teneste non poco conto, accioche essendo stampate con tempo (come alcuni desiderano) oltra l’utilità, che daranno a gli altri per le cose meglio essaminatevi dentro, facciano tacere quelli, che diparlano ne i cantoni, ne mai si mettono a scrivere. Sono dopo questi alcuni, che dicono, il Matthioli dice, che molte herbe non si trovano in Italia, et noi le troviamo. A cui ho risposto io, che voi non intendete cosi: ma ben, che non le havete fin’hora ritrovate, ne che alcuno ve le ha ancora dimostrate. Le quali parole usate in molti luoghi, se ben essi non gli hanno avertiti, o non hanno voluto. Ma sappiate certo, che tali procedono molto diversamente da voi, percio che voi non si tosto havete rintracciato alcuno semplice, che subbito l’insegnate a tutto il mondo. Et essi se hanno notitia d’alcuna particular herba, o se si credono d’haverla, non solamente non ne lasciano dopo loro memoria alcuna, ma vivendo non vogliono farne altrui partecipe, ove doveriano per commune beneficio, non dando loro l’animo di scrivere, avisare voi, et altri, che scrivono in tal materia, che non ne sareste cosi avari, come essi sono. Restano alcuni altri alli quali pare mal fatto, che in alcuni semplici crediate, che siano quelli solamente per l’altrui relatione. Ma questi non s’avveggono (come io gli ho ben detto) che cosi riprendono prima Dioscoride, che voi, ilquale nel suo Prologo diceva, che assaissime cose havea egli conosciute con gli occhi proprii, altre cavate dall’historie vere, et altre intese da altri ricercando ciascun delle sue proprie. Queste sono le riprensioni, che fin qi ho sentito dare da diversi al vostro Dioscoride, alle quali se ben so io, che meglio di me havrete fatto in varii luoghi del libro, et tuttavia lo facciate con le vostre lettere: nondimeno per mostrarvi, che io ho a cuore (come debbo) l’honor vostro, et che non sono ingrato alle fatiche vostre, havendo da voi prese l’armi, v’ho difeso, come ho potuto il meglio perche so, che essendo voi occupato in maggior studii vi curate poco di rispondere a cosi fatte cavillationi, se particolarmente non ne sete stimolato con lettere. Di nuovo qui mi sono stati alcuni de i vostri Dioscoridi con le figure stampati in Mantova. Del che veramente mi sono non poco maravigliato, prima vedendo (per quello che à me paia) che le figure non corrispondono alle naturali piante, et che i charatteri non sono da essere à gran prezzo agguagliati à quelli della prima, et seconda stampa di Vinegia, et che (che é il peggio) vi si scorgono per entro infiniti errori, et in somma l’ho veduto cosi spogliato dal suo primiero abito, che vedendomi alle mani credo non lo conoscerete piu per vostro. Io so ben certo, che non fu mai vostro, che ivi si stampasse o con figure, o senza, per saper io che senza figure di vostro ordine hora lo ristampa in Vinegia M. Vincenzo Valgrisi. Et per questo so, che oltra le molte agiunte fatte di nuovo in tutto’l volume, v’havete fatto un bellissimo discorso sopra il Prologo, ove tra le belle materie disputate da voi, mostrate con fortissimi argomenti, che le figure delle piante ne i libri siano di pochissimo momento. Unoaltro similmente intendo che havete fatto nel Quinto intorno alla materia de minerali, il quale con gran desiderio attendo di leggere, si che stiate sicuro, essendo quello cosi trasfo rmato, che appena si conoschi, et quello si ornato, che quasi di nuove gemme risplendi, che da quello non vi risulti biasimo alcuno ma ben danno, et vergogna forse al Libraro, che senza vostra saputa cosi goffamente l’ha fatto stampare, et per lo contrario per questo altro s’habbiano à dare à voi gran lodi, et allo stampatore gran guadagno. Il Dioscoride vostro Latino quanto piu tardi si farà leggere dall’altre Nationi anchora oltra l’Italiana, tanto meglio sia per lui, percioche avendo egli in se tutte l’aggiunte fatte da voi alle passate stampe del volgare, tanto piu bello, et piu compiuto comparirà in luce la prima volta. In tanto state sano et amatemi, che Iddio vi prosperi in tutte le cose vostre”.