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Mattioli, Pietro Andrea

I discorsi di M. Pietro Andrea Matthioli medico sanese, nei sei libri della materia medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo. Con i veri ritratti delle piante et degli animali, nuovamente aggiuntivi dal medesimo

In Vinegia : nella bottega d’Erasmo, appresso Vincenzo Valgrisi (In Venetia : stampato da Vincenzo Valgrisi, nella bottega d’Erasmo, 1555)

cc. α2r-β3r: Al Reverendissimo et illustrissimo signore, il signor Christofaro Madruccio, della S. R. C. Ampliss. Cardinale, Vescovo et Principe di Trento et di Priscianone, gratiosissimo Signor mio, di Goritia, 20 gennaio 1555, Pietro Andrea Mattioli :

“Tanta fu sempre la maestà, tanto il decoro, et tanta l’authorità della medicina, Reverendissimo Monsignore, et Principe Illustrissimo, che non solamente tutti gli antichissimi scrittori la celebrarono per scienza divina et scesa dal cielo ; ma anchora tutti gli altri, che di tempo in tempo hanno illustrato il mondo, hanno creduto et tenuto il medesimo. Onde meritatamente si può affermare, che sia questa cosi gloriosa scienza, celeberrima, et divina : et di questa spetialmente quella parte, che tratta l’historia, le facultà, et la dottrina de i semplici medicamenti. Percioche si reputa esser cosa impossibile, che gli huomini habbiano per se stessi potuto investigare l’innumerabili, et tanto diverse nature, virtù, et facultà, che si ritruovano nascoste nelle piante, ne gli animali, ne i metalli, nelle pietre, et in ogni altra cosa prodotta dalla terra et dal mare, se prima cio non sia stato insegnato per divina inspiratione. Il perche non mancano approvatissimi authori, i quali lasciando adietro le vanità de i poeti, et d’altri, che favolando scrissero de gl’inventori della medicina, credono, et provano con ragionevoli argumenti, che Iddio creatore del tutto cio infondesse, et collocasse nell’intelletto d’Adamo primo padre nostro in quel tanto misterioso punto, quando havendolo già formato di terra, gli diede, spirandogli nel viso il lume, lo splendore, et il spirito della vita. Dal primo padre Adamo havendo poscia (come dicono) imparato la posterità, pronta sempre naturalmente intorno all’ampliare le cose ritrovate, non vi mancarono elevatissimi ingegni : i quali investigando piu altamente i fondamenti, le circostanze, e’l valore di cosi gloriosa scienza la coltivarono, illustrarono, et aumentarono non poco. Al che havendo poi avertito infiniti sapienti del mondo, et conoscendo veramente quanta sia la grandezza, et l’utilità di questa facultà divina, invaghiti dell’amenità, et dolcezza sua, si posero a contemplare con continuo studio ogni bella parte di quella : et quella spetialmente, che narra, et insegna la facultà maravigliosa delle piante. Del che ce ne fanno fede Pithagora, Aristotele, Theophrasto, Democrito, Zoroastre, Xenophonte, Amphilocho, Atheneo, Philistene, Apollodoro, Aristandro, Hipparcho, Aristomacho, Bione, Agathocle, Diodoro, Diocle, Epigene, Euagora, Prassagora, Erasistrato, Metrodoro, Hicesio, Pamphilo, Mantia, herophilo, Hippocrate, Crateva, Dioscoride, Galeno, Plinio, et altri infiniti antichi, i nomi dei quali per brevità trapasso. Imperoche costoro accesi dalla giocondità, nobiltà, et grandezza di questa utilissima scienza, dall’ardore di giovare alla posterità unversale, et dal disio d’acquistarsi una fama perpetua et immortale, non si sgomentarono di porre la propria vita in molti et varii pericoli, mentre che facendo smisurati pellegrinaggi, et navigando lunghissimi mari, facevano ogni estrema fatica et diligenza di poter conseguire la vera et legitima cognitione de i semplici, et di farsi anchor essi ritrovatori di molti per avanti non conosciuti. Che senza dubbio sia vero, che la scienza, et la facultà delle piante, et parimente il ritrovarne di nuove, oltre all’utilità et piacer grande, che se ne prende l’animo, apportino lodi immortali, et perpetua fama, lo conobbero non solamente tutti i primi sapienti del mondo, diligentissimi investigatori delle cose ; ma anchora molti magnanimi, et potentissimi Re di corona. Percioche maravigliandosi della chiarezza del nome di coloro, che già fatti immortali da così pretiosa facultà, rilucevano al mondo a guisa di stelle, et considerando il grandissimo splendore, et parimente la singulare eccellenza, che risorge da lei, tanto studio, et tanta diligenza vi posero, et per impararla, et per illustrarla, che ve ne furono alcuni, che scrissero, et composero dell’historia, et virtù delle piante non piccioli volumi. Altri poi fatti di cio peritissimi, si diedero alle compositioni d’alcuni non meno valorosi, che utili antidoti, non solamente per uso proprio loro, et per conservarsi lungamente in vita ; ma per commodità, et beneficio di tutti. Altri furono anchora, i quali quantunque fusseno già famosi etillustri per i gran fatti, per le vittorie acquistate, et per la rarità della prudenza, et del giudicio loro, sapendo nondimeno di potersi far nome molto maggiore, se si fusser dati allo studio di questa facultà preclarissima, procurarono di farsi portare di lontanissime regioni molte rare, et pretiose piante acquistate con spesa di grandissima quantità d’oro, solamente per poterne scrivere la vera historia loro. Essendo certissimi, che se facendosi dotti in questa scienza, et vi ritrovassero qualche cosa nuova, overamente ne scrivessero qualche volume, durarebbe il loro nome in perpetuo immortale. Percioche le floridissime piante, le quali di tempo in tempo sempre si rinnovano, predicano senza fine le loro lodi immortali de i loro magnificatori. Nel che veramente non s’ingannarono punto, essendo già tante et tante centinaia d’anni noto a ciascuno, che non altro che la Gentiana valorosissima pianta fa nominare hora al mondo Gentio re dell’Illiria suo primo ritrovatore. Ne altro tiene, et terrà sempre vivo il nome di Lisimacho Re di Macedonia, che la Lisimachia herba ritrovata parimente da lui. Sarebbe veramente già fa gran tempo spenta ogni antica memoria di quel gran Mithridate Re di Ponto, et di tanti altri reami, se non havesse egli dimostrato lo Scordio, chiamato però da molti Mithridatio : et similmente l’Eupatorio nominato dal suo cognome : et se non fusse stato l’inventore di quel pretiosissimo et valorosissimo antidoto, in cui risplende et risplenderà sempre il suo glorioso nome. Il Climeno herba di non poco valore ha dato lodi perpetue a Climeno Re suo inventore, L’Euphorbio a Iuba Re di Mauritania, et il Telephio a Telepho Re di Misia ; come parimente l’Echio, et l’Anchusa hanno fatto eterna fama ad Alcibiade principe de gli Atheniesi. Di qui nasca anchora lo splendore d’Attalo re di Pergamo et d’Evace Re de gli Arabi, per haver questo scritto a Nerone Imperadore piu et piu volumi delle facultà nobilissime de semplici medicamenti : et quello per haver (come scrive Galeno) fatto lunghissime fatiche in raccogliere innumerabili piante elettissime, mentre che componeva egli stesso vatii et diversi antidoti contra i veleni. Questo medesimo interviene ad Archelao Re di Cappadocia, a Massinissa Re di Numidia, et ad Agamennone Re dei Greci : i nomi de i quali mai non saranno spenti del mondo, solamente per lo studio infinito, et per la molta cura et diligenza, che posero in conoscere le vere et legitime piante, et in dimostrarne le virtù al mondo. Lascierò di dire (per non esser tedioso) di Philometore, di Nichesso, di Hierone, et di molti altri Re potentissimi, vedendosi per ogni età divulgata la fama loro, per essersi non poco dilettati della facultà, et cognitione delle piante. Non mancano oltre di cio facondissimi poeti, che ne facciano conoscere con gli scritti loro, quanto sia antica la notitia della facultà, et con quante degne lodi sia sempre stata celebrata, dal che poi é successo anchora a loro fama, et gloria immortale. Di cio fanno tra i Greci veramente testimonio Orpheo, Museo, Hesiodo, Homero, Alceo, et Rufo Ephesio, il quale scrisse (come dice Galeno) ben cinque libri in versi dell’herbe, et delle facultà loro. Tra i Latini habbiamo poi Virgilio, Ovidio et Emilio Macro, da i quali in perpetua lor memoria sono state scritte delle herbe molte cose notabili. Che sieno state anchora alcune generose donne, che per farsi gloria infinita, si sono maravigliosamente dilettate nella scienza dell’herbe, ce ne fanno fede non solamente i poeti, ma anchora gli historici. Et però non per altro finsero favolando Vergilio, Ovidio, et gli altri, che Circe, da cui fu dato il nome all’herba Circea, fusse figliuola del Sole primo generatore di tutte le piante, che per essere ella stata peritissima nelle facultà dell’herbe. Ne per altro finsero, ch’ella trasformasse gli huomini in animali, se non perche tanto fu grande et profonda ma cognitione, che hebbe di questa facultà divina, che curando alle volte gli huomini da incurabili morbi, et facendogli gagliardi, pareca veramente, ch’ella li trasformasse in altri corpi. Ne manco perita di Circe in questa facultà ritrovo essere Medea, imperoche havendo con la cognitione infinita delle herbe, oltre a molti altri stupendi fatti, ritardato lungamente la vecchiezza in alcuni, diede bellissima materia di fingere a i poeti, che havesse ella fatto ritornar giovine Esone suo suocero già pervenuto alla ultima decrepità del corpo. A Helena diede nome infinito l’Helenio, et l’Artemisia nobilissima pianta ad Artemisia preclarissima Regina di Caria. Dovrebbe oltre a cio invitare a tanta bella et utilissima scienza, il sapersi per certo, che tanto é l’utile grande, che se ne conseguisse, che conoscendolo per grandissimo instinto di natura gli animali, et le fiere salvatiche, si sono anchor essi fatti ritrovatori delle virtù di molte nobilissime piante. Imperoche non d’altronde fu conosciuto, che il dittamo valesse nelle ferite per cavarne fuori i ferri de i dardi et delle saette, se non da quello che ne dimostrarono i cervi nell’isola di Candia. Le cerve poi dimostrarono il seseli, le testuggini la cunila, le donnole la ruta, gli sparvieri ilhieracio, le colombe il peristereo, le rondini la chelidonia, le cicogne l’origano, et altri animali altre pur assai piante, come per tutto si legge nell’antiche historie. Et però se con attentione si considerasse intorno alle cose predette, et parimente all’origine di questa tanto util parte della medicina che tratta dell’herbe, et delle piante nate, et prodotte dal principio del mondo insieme con gli elementi, sarebbe veramente chiarissimo a ciascuno, che questa facultà de semplici sia la più antica, la piu nobile, la piu utile, la piu pretiosa, la piu divina, et la piu gloriosa d’ogni altra facultà et scienza mondana. Ne però se le danno cosi maravigliose lordi, per essere solamente cosa dilettevolissima et d’infinito piacere ; ma per esser anchor utile, giovevole, et necessaria. Percioche con questa sola si conserva la sanità piu chara et piu pretiosa cosa, che desiderare si possa : con questa si cacciano l’infermità pericolose, che ne molestano : con questa si supera la malvagità crudelissima de i veleni, et domansi i morsi, et le punture de gli animali mortiferi : con questa si prolunga la vita degli huomini : et finalmente con questa cosa spesse volte si richiamano in vita molti di coloro, la cui salute già sia disperata da tutti. Il che stimando molto alcuni Impertori Romani (come nel primo de gli antidoti scrive Galeno) quantunque fussero in continue occupationi per il governo et carico grande, che tenevano della republica, et di tutto l’imperio loro ; nondimeno tanto fu loro a cuore questa facultà maravigliosa, che non posero poco studio per accrescerla et illustrarla. Imperoche per haver le pinate forestiere legitime et vere, et per acquistar gli aromati pretiosissimi, eletti et sinceri, tenevano provisionati in varie lunginque parti del mondo non pochi valentissimi semplicisti con grandissima spesa, per la cupidità della gloria infinita, che di quindi loro risultava, et parimenti per universal beneficio degli huomini. Havevano certamente questi tali benissimo a memoria i chiari essempi de i suoi antichi padri : i quali non solamente si dilettavano di portare ne i triomphi le spoglie de i reami acquistati, et parimente i Re prigoni avanti a loro ; ma anchora, havendole poi a Roma ne i giardini, che si prendessero de i trophei, delle marmoree et metalliche statue, et de gli archi superbissimi triomphali, che in perpetua memoria loro si gli dirizzavano dal popolo et Senato Romano. Ne minor stima ritruovo, che fusse fatta da costoro, di tutti gli huomini eccellentissimi, che scrissero in questa facultà delle piante, percioche havendo già presa Carthagine, donarono via al altri Re amici lor tutte le librarie, che vi si ritrovarono : ne altro di quelle riportarono a Roma, per far tradurre in lingua Latina, se non trentadue libri delle facultà delle piante et della agricoltura di Magone Carthaginese : tanto fu riputato egli degno dal Senato Romano di eterna memoria. Ma quantunque per lo passato sia sempre stata per lunghi secoli questa facultà celeberrima et infinitamente appregiata, coltivata, et illustrata da tali et tanti sapientissimi philosophi, et potentissimi principi ; é poscia nondimeno accaduto, o per distruttione di provincie o di regni, o per guerre civili o forestiere, o per incendii, o per pestilenze universali, o per negligenza et dapocaggine de i medici nostri predecessori, che se n’era quasi persa del tutto, non é gran tempo passato, la vera notitia : di modo che questa cosi preclara, anzi divina facultà era talmente restata abbandonata, et tralasciata da tutti senza veruna coltura, che pochissimi medici si ritrovavano, che conoscessero altre herbe, che quelle de cibi cotidiani. Al che havendo pur finalmente avertito alcuni preclarissimi ingegni de i tempi nostri diligentissimi investigatori della materia medicinale, et parimente peritissimi tanto nella lingua Greca, quanto nella Latina, dico Hermolao Barbaro, il Leoniceno, il Manardo da Ferrara, il Ruellio, Marcello Vergilio, il Brunfelsio, il Brasavola, il Fuchsio, il Silvio, il Mondella, et l’uno, et l’altro Cordo, insieme con alcuni altri, che per brevità trapasso, fecero infinita fatica et diligenza intorno alla coltura delle piante già trasformate et insalvatichite del tutto, sforzandosi con ogni prova di ridurre questa facultà pretiosa nella sua pristina et propria candidezza. Al che havendo poscia anchor io considerato non poco, mi posi con ogni industria, con ogni studio, et con ogni fervore a seguitare il camino di questi preclarissimi scrittori. Imperoche havendo già per avanti avertito a i grandi, infiniti, et vituperosi errori, che si facevano in Italia nelle spetiarie, et da i medici mal periti in questa materia, et parimente da gli spetiali, in danno et pericolo grande della vita degli huomini, desideroso di far prova, se co’l mio studio potessi soccorrere a cotali et cotanti errori, et considerando, che nelle spetiarie nostre d’Italia poche veramente sono gli spetiali, che intendono Latino, presi la cura d’interpretare in lingua volgare Italiana Dioscoride Anarzabeo Greco, et antichissimo scrittore, et nel trattare l’historia et le facultà de i semplici facilmente principe di tutti gli altri. Et perche cio non mi pareva bastare per dar lume all’Italia de suoi, et de gli altrui errori, ne di poter dimostrare quali fussero i veri et legitimi semplici, et quali i bastardi, vi scrissi sopra (come é noto a ciascuno) lunghi discorsi et commenti. Ne i quali posi veramente tutto quel buono, che con ogni cura, con ogni fatica, et con ogni mio giudicio potei ritrovare, per far conoscere (come ho detto) quali, per mia opinione accompagnata sempre da qualche ragione, sieno le vere et legitime piante, et parimente per dire anchora il parer mio intorno alla consideratione di tutti gli altri semplici medicamenti. Nel che fare fui costretto non solamente di manifestare et di correggere per tutto gli errori de gli spetiali, et dei medici dell’ultime età passate, i quali mi paiono essersi nienti o ben poco curati di questa tanto bella parte di medicina ; ma anchora gli errori, et l’eronee opinioni di molti moderni scrittori, quantunque diligentissimamente habbiano scritto et trattato questa materia. Ne parmi maraviglia, che cotali huomini altrimenti dottissimi, et degni veramente d’infinite lodi, habbiano alle volte non volendo errato in così faticosa, difficile, et intricata materia, sapendo esser cio alle volte anchora a me accaduto. Cosi adunque narrai io ne miei discorsi, quanto mi pase bastare intorno all’historia di tutti i semplici medicamenti, et scrissi delle virtù, et facultà di tutti quasi sempre nel fine d’ogni mio discorso, tutto quello che ne scrive Galeno. Oltre a ciò ritrovandosi non poc numero di piante, d’aromati, et di varie altre spetie de semplici, che continuamente s’usano in medicina, parte ritrovate da gli Arabi, et parte da altri, che d’età in età si sono di cio dilettati, de i quali (per quanto se ne vede) non scrissero Dioscoride, Galeno, ne veruno altro de gli antichi Greci, li messi tutti o la maggior parte ne i predetti discorsi, et descrissivene l’historiz, et le facultà loro con quella diligenza, che maggiore potei. Havendo adunque cosi messo fine all’opera, et al mio proponimento, non senza maturo giudico, et persuasioni di piu huomini clarissimi miei singulari amici, diedi il volume publicamente in stampa, con animo di giovare in qualche parte con l’industria mia alla vita de gli huomini, et di far si che da me particolarmente sentisse l’Italia alcun beneficio. Ma se cio habbia poscia conseguito, o no, non si richiede a me di farne giudicio, come che potessi io però far testimonio, quando non mi si riputasse a vitio, d’haver conosciuto, che le mie lunghe fatiche non sieno state a gl’Italiani ingrate : sapendo che nel corso de pochi anni é stata stampata, ristampata, et venduta l’opera, fino a cinque volte senza l’ultima fatta Latina a beneficio de gli oltramontani, et senza la presente, et nuova impressione di questo volume. Il che dimostra, che vi sia pure ritrovato qualche cosa di buono. Del che m’ha dato parimente indicio l’havere io ritrovato alcuni moderni preclari scrittori Oltramontani, Alemani dico, et Francesi, i quali hanno messo ne i loro volumi Latini, ove hanno trattato questa istessa materia, non poche delle mie opinioni interpretate dall’Italiano : et quivi non solamente hannoconfessato haverle cavate da questi miei discorsi ; ma hanno anchora con assai lodi (per cortesia et humanità loro) fatta mentione d’ardore di giovare molto maggiormente al mondo, é stato veramente cagione, che io mi sia di nuovo messo ad arricchire et illustrare questo volume in diversi modi. Imperoche oltre all’haverlo di nuovo per tutto ripolito, oltre all’havervi fatto gran numero di aggiunte, et oltre all’havervi posto nel fine d’ogni discorso tutti i nomi de i semplici Italiani, Greci, Latini, Arabici, Tedeschi, Spagnoli, et Francesi, v’ho nuovamente aggiunto le figure vive et naturali di tutte le piante, et de gli animali, di cui trattò, et scrisse Dioscoride con grandissime spese, et fatiche, aiutato però non poco da Giorgio Liberale da Udene gentilissimo dipintore : il quale con arte, ingegno, et patientia inestimabile ha disegnato il tutto dalle vive piante, et parimente dai vivi animali. Et questo habbiamo fatto, accio che coloro, che non possono andare per lo mondo alla cognitione de semplici, nè hanno huomini periti, che glieli dimostrino, habbiano da me un giardino, ove possano in qual si voglia tempo dell’anno senza veruna coltura vederle e conoscerle bene. Il che tutto agevolmente farà parere alla Reverendiss. et Illustriss. S. V. che l’opera non sia piu quella, che già dieci anni passati le consecrai. Tanto veramente, Reverendissimo, et Illustrissimo Signor mio, é stato sempre il desiderio, che m’ha acceso il cuore di pervenire alla vera cognitione delle piante, et di giovare con questa a i posteri, che agevolmente mi son lasciato spingere dalla volontà a cercar aspri, solitarii, et horridi luoghi, oltre a gli ameni, per poter vedere et conoscere con l’occhio le vere et legitime piante, le quali sono andato cercando non senza pericoli grandi della propria vita : come parimente ho fatto con i semplici minerali, entrando nelle spilonche, nelle caverne, et in lunghissime cave sotto terra, per vederne l’origine [...] mente per conseguir maggior fama et nome immortale, farsi peritissimo nella cognitione et virtù delle piante et d’ogni altro semplice medicamento. Et essendo desideroso di saperne non solamnte la virtù ; ma anchora di vederne gli effetti, per venire particolarmente in cognitione di tutte quelle cose, che superano i veleni et i morsi velenosi de i serpenti, et d’ogni altro mortifero animale, fatta hor di questo, et hor di quell’altro semplice la prova, hor in questo et hor in quell’altro di qual si voglia sorte veleno in molti malvagi huomini, che per i misfatti loro erano condennati alla morte, ne conseguì con l’isperienza il suo glorioso, et alto concetto. Imperoche componendo poi di tutti quei semplici sperimentati quel pretioso et nobile antidoto illustrato dal suo istesso nome, preservava et liberava ciascuno da i veleni, quando per avanti, over dopo se ne mangiava una certa quantità determinata. Et però non é maraviglia, se quando per non cascare nelle forze de i Romani si volse dar la morte, non gli nocesse punto il veleno tolto per ammazzarsi, per essersi lungamente assuefatto all’uso di cotal antidoto. Dopo Miithridate fiorì al mondo Andromacho dottissimo, et celeberrimo medico di Nerone Imperatore, il qual ritrovò et compose la theriaca molto più valorosa in ogni sua operatione d’ogni altro qual si voglia antidoto, et massimamente ne i morsi delle vipere et di tutte l’altre mortifere fiere. Con la quale (come scrive Galeno) non solamente si preservarono tutti gli Imperatori romani et altri potentissimi principi dell’età sua ; ma ciascuno altro che a tempo laprendesse. Et però piu et piu volte con le proprie mani la preparò Galeno con grandissima magnificenza et splendidissimo apparato a compiacenza de piu Imperatori che al suo tempo regnarono. Attese parimente a questa salutifera facoltà Attalo Re di Pergamo, di cui fu parimente detto di sopra, non meno celebrato da Galenoche Mithridate, per haver egli lasciato in sua eterna memoria non solamente uno antidoto, ma varie et diverse compositioni di medicamenti, et per veleni et per altri morbi pericolosi. Ma non però ci possiamo prevalere noi in questa nostra florida età con la medesima utilità, come ci prevalsero gli antichi dell’antidoto di Mithridate tella theriaca d’Andromacho et di ciascuno altro ritrovato da i prescritti sapienti, imperoche quantunque non ne manchino del nome, et si ritrovino fatti et preparati per tutto ; ne siamo però quasi come senza, per non ritrovarvisi quelli effetti gloriosi et miracolosi, che ne descrive Galeno et tutti i suoi successori. Ne per altro questo intervien, che per mancare gran parte de gli aromati pretiosi, che vi mettevano veri scelti et valorosi Mithridate, Andromacho, Attalo, Galeno, et tutti gli altri, i quali con grandissima fatica et spesa facevano portare gli Imperatori di quella età floridissima d’India, d’Ethiopia, dalla regione Trogloditica, d’Egitto, et d’altre piu lunginque regioni a Roma : dove altri medici, che gli imperiali nonpotevano compiutamente fino a quel tempo far la theriaca ; se già non si servivano gli altri di cosi rare cose dalle conserve Cesaree, co’l favore, et co’l mezo di coloro, che rano grandi et potenti con gli Imperatori. Il che n’avisa che non ci dobbiamo maravigliare, se le nostre theriache et Mithridati non si possano compiutamente preparare, et non corrispondonano con la virtù a gli effetti, che ne promettono i nomi loro et gli scritti de gli antichi : cosa veramente dannevole et perdita piu che grande della humana vita. Il perche parmi che glorioso tra tutti gli altri in questa nostra florida età, in cui veggiamo hormai ritornare tutte le cose nella pristina candidezza loro, et parimente bene aventurato si potrà chiamare quel Pontefice, quello Imperatore, quel Re, quel gran Principe, quella Repubblica, a cui non rincresca per propria generosità d’animo di esporre ogni gran facultà, et ogni thesoro, ad imitatione de gli antichi Romani Imperatori, et d’altri gran Re potentissimi, in far ritrovare tutte quelle pretiose cose, che per far tali antidoti, et spetialmente la theriaca, già tanti et tanti anni ci mancano. Percioche oltre alla sempiterna fama, di cui splendono i nomi de gli antichi, che s’acquisteranno, conferiranno appresso un tale et tanto beneficio a tutta l’humana natura, che con tutti i thesori del mondo non si potrebbe ricompensare. Ma se ciò, per esser a me impossibile, non m’é stato lecito di poter conseguire, mi son sforzato almeno con ogni mio possibile studio et industria, di far tutto quello in beneficio del mondo, che ho potuto fare. Et però considerando io di quanto danno sia a gli huomini dell’età nostra il non ritrovarsi hoggi gli antidoti de gli antichi legitimi et veri, per mancarne piu et piu valorosi semplici medicamenti, che vi si convengono, et a quanto maggiori pericoli siamo noi sottoposti, che non furono quelli dell’etadi passate ; ho voluto tentare se de semplici medicamenti, che habbiamo noi veri, et di quelli che si ci portano forestieri, si potessero comporre antidoti nuovi, che di valore corrispondessero a gli antichi. IL che parmi finalmente di haver fatto, quantunque non senza fatica grande et lunga isperienza delle cose, come si legge nel mio lungo discorso fatto sopra al prologo del sesto libro, ma non so però se tanto habbia io conseguito, quanto desideravo. Questo posso ben io veramente affermare che l’uso dei miei antidoti habbia per mio giudicio molto più felicemente operato, ove sia stato bisogno, che la theriaca, e’l mithridato, che si fanno a i tempi nostri in alcuni luoghi d’Italia. In alcuni luoghi dico, et non in tutti, per saper io che per diligenza grandissima d’alcuni spetiali, et per la peritia et notitia grande de semplici, che hoggi si ritruova in molti eccellentissimi medici, sono state fatte gli anni passati alcune theriache dinon poco valore, per quanto n’han fatto fede infiniti isperimenti fatti di loro. Tale veramente (non facendo però ingiuria ad alcuno) ho ritrovato io essere quella fatta in pochi anni piu volte in Bologna dal Pepoli diligentissimo et isperimentatissimo spetiale alla spetiaria dell’Agnello, nella cui compositione già dissi anchor io il mio parere intorno al supplimento de gli aromati, che ne mancano, come vi dissero anchora il suo con ogni possibile consideratione infiniti medici clarissimi, et nelle facultà de semplici dottissimi. Ma quanto possano et vagliano i miei antidoti ne i veleni et ne i morsi velenosi, lascerò giudicare a coloro, che li porranno in uso, contentandosi piu dell’altrui giudicio che del mio. Ne credo che passerà gran tempo, che si ritroveranno composti in piu luoghi d’Italia : percioche già sono spetiali diligentissimi, che gli hanno preparati con ogni possibile diligenza. Fra i quali é stato il primo il peritissimo semplicista M. Giulio Moderato spetiale all’Agnus dei nella città di Rimino : il quale hormai confessa quanto valore et presentaneo giovamento vi si ritrovi. L’animo adunque grande, e’l non picciolo ardore di giovare alla presente etade et alla posterità futura, m’ha indotto a cosi dolci fatiche di tradurre et di commentare anchora il sesto libro : dove ho ritrovato ampio campo di poter scrivere et narrare varii et diversi medicamenti a commodo et beneficio universale. Quali et quante poi sieno state le fatiche et le viglilie di tradurre et di commentare gli altri cinque libri, et quanto il travaglio, e’l pensiero di porvi le figure naturalissime delle piante et degli animali, et l’aggiungere tante altre cose nuove, l’opera istessa senza che dir di cio più m’affatichi, ne farà fede a chi sinceramente considererà il tutto : percioche a gli individui, et a i malevoli quanto piu sono le cose candide, utili, et belle ; tanto piu loro dicpiacciono, et fanno stomacho ? Ma se da costoro m’ha sempre difeso l’authorità grande della Reverendiss. et Illustriss. S. V. a cui già fa dieci anni dedicai queste istesse fatiche come all’hora potei migliori, ben posso hora maggiormente sperare, che vedendole molto piu illustrate et rimbellite, s’accenderà del suo cuore : in cui si discernono tutte le gloriose et rare doti, che ad ogni ottimo et virtuoso principe si convengono. Del che non solamente fanno testimonio i suoi preclarissimi fatti, et i maggiori principi del mondo, che con quella nelle maggiori importanze loro conferiscono et si consegliano, et parimente infiniti nobili et gentili spiriti di tutta Italia et d’altre nationi, che invitati da suo buon nome et dalla infinita liberalità sua, con non poca maraviglia la corteggiano, la servono, et l’honorano ; ma molto piu ce lo dimostra il cielo, il qual oltre all’haverle dato gloriosa origine da nobilissimo et antichissimo lignaggio, tenendosi obligato alla grandezza del suo cuore, l’ha fatta in brevissimo tempo aggiungere a quelli alti gradi, a quelle glorie, a quelli imperii, a quali non poterono se non rari de i suoi predecessori senza le lunghe fatiche, et numero d’assai anni arrivare. Del che non contentandosi egli anchora con serenissima et lieta fronte le accenna di maggior imperio. Con questo adunque supplico la Reverendiss. et Illustriss. S. V. che accetti hora da me le nuove fatiche fatte nel suo Dioscoride, in memoria dell’antica osservanza et servitù mia verso di lei ardentissima fautrice, a cui conceda Iddio il fine d’ogni suo concetto prospero et felice. Di Goritia alli XX di Gennaio 1555. D. V. Reverendiss. et Illustriss. S. Perpetuo servitore Pietro Andrea Matthioli”

cc. β3v- β4v: Il Matthioli a gli studiosi Lettori :

“Parmi veramente, che intervenga a i tempi nostri quel medesimo, che interveniva al tempo di Dioscoride preclarissimo medico, et diligentissimo scrittore de semplici, intorno alla notitia di tutte quelle cose, che s’appartengono alla materia medicinale. Percioche come egli gravemente biasima tutti i seguaci d’Asclepiade, et particolarmente Negro, per haver quel tanto che scrissero, tolto dalle altrui historie poco degne degne di fede, senza haverne voluto cercare la verità con l’esperienza vero testimonio di tutte le cose, così parimente in questa nostra florida età veggio meritamente biasimare da chi ha preso nuovamente cura di scrivere l’historia et la dottrina de semplici, molti de nostri antecessori, i quali per non essersi punto dilettati di questa cosi nobile et necessaria facultà, et havendosi quasi del tutto dati in preda alle dottrine Arabice piene per tutto d’infiniti errori, et di false interpretazioni, erano stati cagione, che la candidezza della materia medicinale si fusse quali del tutto spenta, et conseguentemente persa la cognitione d’infiniti semplici medicamenti. Onde poscia sono seguiti infinitissimi errori nella medicina: i quali (per la Dio mercè) ci sono stati in questi nostri tempi fatti palesi per mezo di alcuni nobilissimi ingegni, i quali con infinita fatica et diligenza non solamente hanno introdotte le buone lettere nella medicina; ma l’hanno anchora purgata per tutto dalle barbariche mende, et da infinitissmi errori. Percioche lasciando da parte le confusioni Arabiche, et accostandosi al fonte vivo de i Greci authori, di tal sorte ci hanno di nuovo interpretato et dilucidato Hippocrate, Galeno, Dioscoride, et altri loro successori, che finalmente hanno cavata la gloriosa scienza della medicina dalle tenebre infernali, et fattala hoggidì risplendere nel mondo del suo proprio splendore, come nella più bella serenità del cielo risplende de suoi raggi il Sole. Del cui numero all’età nostra sono stati et sono il Leoniceno, il Manardo da Ferrara, il Ruellio, il Corte, il Friggimelica, il Montano Veronese, il Trincavela, il Linacro, Il Cornario, il Coppo, il Fuchsio, il Silvio, l’Alessandrino da Trento, il Silvano, l’Andernaco, il Bellisario, il Polito, il Gaudano, il Leonico, il Crasso, il Vesalio anatomista singularissimo, il Vasseo, il Tagaultio, il Lacuna Spagnuolo, il Mutone, il Gesnero, et molti altri, che per brevità di tempo trapasso, tutti degni di lodi immortali: perché tutti chi in un modo, chi in un altro si sono affaticati d’interpretare fedelmente, et di esporre, et dilucidare (come sopra ho detto) Hippocrate, Dioscoride, Galeno, et altri approvati loro successori, con il cui nome glorioso possono meritamente congiungersi il Ricco Lucchese, et parimente il Gadaldino Modenese, per havere amendue corretto et racconcio in infiniti luoghi tutte le opere di Galeno, che fin’hora si sono stampate. Et però non solo dovrebbe a costoro veri lumi di tutta la medicina rendere infinite gratie tutto il mondo; ma nelle piu celebrate città drizzargli le statue non solamnte di marmo et di bronzo: ma d’argento et d’oro, come al grande Hippocrate fecero gli Atheniesi, per haver eglino assicurata l’humana natura da tanti et tanti pericoli, per li quali le centinaia de gli anni sono alla cieca trascorse molte et molte etadi. Ma parendomi che le tanto lunghe fatiche fatte da costoro non fussero del tutto bastanti per correggere tutti gli errori, vedendo che gli spetiali, sopra le cui spalle di quanto ministra il florido giardino di tutta la medicina, si riposano i medici, per la piu parte per non intendere i volumi Greci, et Latini de buoni authori, si governano all’antica, et malamente si lasciano dare ad intendere i grandi errori, che nel seguitare i loro Luminari, et le lor Pandette ogni giorno commettono, ho preso, accioche si conosca il vero dal falso, et parimente gli errori d’alcuni, che scrivendo in questa facultà hanno non volendo errato, la fatica prima d’interpretare in lingua volgare Italiana tutto il volume, che dell’historia et facultà de i semplici medicamenti, et de i rimedii contra i veleni scrisse nella sua Greca lingua il famosissimo et copiosissimo Dioscoride Anazarbeo. Et accioche megli sia questo celeberrimo authore da tutti inteso, v’ho aggiunto sotto ogni capitolo un mio particolar discorso in modo di commento: dove ho messo tutto quello studio, di fatica, et diligenza, che m’é stato possibile, per dare a conoscere al mondo i veri et legitimi semplici medicamenti. Ne ho mancato veramente di sollecitudine in manifestare fedelmente quelli, che a molti forse di questi tempi sono incogniti: ne di verificare quelli, che scambievolmente del continuo l’un per l’altro si prendono: scusandomi però che se ancuno ve n’é rimaso, o in dubbio, o non conosciuto, non si debba imputare a me, ma solamente alla difficultà della cosa. Oltre a ciò perché meglio si possa sodisfare ciascuno compiutamente del tutto, v’ho hora nuovamente aggiunte le figure ritratte delle vive piante, eccetto alcune poche, come verbi gratia il sicomoro, la persea, et la fava d’Egitto, che sono state ricavate da alcuni ritratti posrtati da Damasco, dal Cairo, et d’Alessandria già piu di venti anni dall’eccellentissimo medico M. Odoardo Polacco. Questo adunque farà veramente cagione che nel comporre tutto quello, che si richiede, nons’anderà piu atentone cespitando nelle tenebre, ma si caminerà sicuramente nella luce. E’ cosa veramente da ridere et vergognosa anchora a ciascuno artefice il non conoscere la materia, et parimente gli instromenti, che si convengono nell’arte della profession sua. Et però non senza grande ignominia puo essere quel medico, che non si cura di sapere la materia, che spetta alla medicina, et gli instromenti principali con cui si curano i morbi: cose che tutte finalmente dependono dalla vera cognitione de i semplici, et dalle gloriose facultà loro: senza il che non si può se non giocare a indovinare, et medicare alla cieca, come apertamente ne fa testimonio Geleno. Percioche se senza la notitia et vera dottrina de i semplici si fusse potuto essercitare la medicina, non gli sarebbe stato bisogno di trattare cotal facultà per undici libri continui, ne d’andare cosi diligentemente investigando per gli odori et per li sapori le facultà et i temperamenti di tutti i semplici medicamenti, ne di scrivere intorno a cio cosi bello et utile methodo di curare i morbi con essi soli. Al che attendendo principalmente con ogni sua solita prudenza l’Illustrissimo et serenissimo Senato Vinitiano, a persuasione del sapientissimo collegio de i medici Padovani, et d’altri nobilissimi et divini dottori, che del continuo leggono et insegnano la medicina in quel glorioso studio ha, già sono più anni, fatto fabricare et edificare nella floridissima città di Padova uno amplissimo giardino per commodo publico, et ornamento della medicina: dove già si veggono verdeggiare infinite rare piante, di cui si ricercala cognitione a ciascuno, che si diletti haver nome di medico: di modo che senza andar vagando molti et molti anni per diverse parti del mondo, potranno con comodo grandissimo farsi dotti et periti nella cognitione de i semplici tutti li scholari di medicina, et parimenti i medici, che quivi se ne verranno, in brevissimo tempo. Del che risulterà veramente gloria immortale a quel serenissimo Senato vero imitatore della grandezza di quello antico Romano, et vero essempio di quelli Imperatori commendati per tanto magnanimi, et tanto virtuosi da Galeno, che con non poca cura attesero a cotal facultà gloriosa. Ne meritano perciò poche lodi il Bonafede et il Novale clarissimi medici primi ritrovatori di cosi util parte di quel famosissimo studio, ne parimente sia degno di minori lodi il molto magnifico et dotto M. Daniele Barbaro ardentissimo promotore d’ogni opera virtuosa, per haver egli a questa impresa gloriosa lungamente favorito et dato ogni possibile aiuto. Dal che eccitato l’eccellentissimo Cosmo Duca di Fiorenza, a persuasione principalmente del clarissimo medico M. Luca Ghini, ha anchor egli fatto fabricare nell’antichissima città di Pisa uno simile giardino, dove per opera del suo promotore verdeggiano hoggi molte rare piante, che altrove non si sono in Italia fin hora vedute, a commodo et ornamento publico de i medici, de gli scholari, et d’ogni altro, che di questa facultà si diletti. Ne mancano alcuni particulari huomini, che desiderosi di giovare al mondo, hanno fabricato in Italia a lor propria borsa cosi fatti giardini. Tra questi é quello in Padova del magnifico M. Philippo Pasqualigo: quello in Vinegia dell’eccellentissimo nedico M. Mapheo de Maphei: quelli in Ferrara di bellissime piante adornati, l’uno cio è dell’Acciaiuolo primo cancilliere dell’Illustrissimo Duca, et l’altro del Nigresolo: quello anchora del facondissimo poeta Fiorentino M. Fabio Segno: et altri in altre diverse città d’Italia d’altre persone virtuose et gentili i quali per brevità trapasso. Ma che dirò io di quello fabricato nella città di Rimini da M. Giulio Moderato spetiale all’insegna dell’Agnusdei ? non altro veramente, se non che sia uno delli primi d’Italia: imperoche per quanto veggio nel catalogo delle piante, che vi si ritrovano, parmi che si possa connumerare honoratissimamente tra tutti gli altri. Di modo che di non poche lodi é degno questo gentile intelletto: et tanto piu, quanto intendo per certo che egli é liberalissimo non solamente di dimostrare il tutto a ciascuno, che v’arrivi, et che si diletti della facultà de semplici; ma anchora di participare con tutti delle piante rare, che vi si ritrovano: a confusione d’alcuni altri invidiosi et avari, che hanno fatto giardini: ne i quali non solamente non lasciano entrare i virtuosi, dubitandosi che con gli occhi non gli involino, overamente non gli affascinino le piante; ma non ne darebbono pure una foglia ad alcuno per ogni gran premio, non che per gentilezza et cortesia, per potersi vantare che essi soli hanno questa et quella altra rara pianta in prigione. Et perche la natura di tutte le cose vituose é d’andarsene sempre dilatando, et crescendo in infinito, dobbiamo senza alcun dubbio sperare, che intendendo lo Illustrissimo et Serenissimo Senato Vinitiano le lodi immortali, che se gli danno da tutto il mondo, per l’utilità grande et per l’ornamento, che risulta del suo giardino a quella dottissima academia di Padova, procurerà di far portare da diverse parti del mondo, dove hor le navi, et hor le galee loro navigano a mercantia, tutti i legitimi et veri aromati, liquori, et minerali, che ne mancano. Et perche a me é stato cosa veramente impossibile di dare et d’insegnare la vera notitia de semplici medicamenti senza manifestare infiniti errori tanto de gli antichi, quanto de i moderni scrittori, sappia ingenuamente ogni candido lettore, che contra questi non ho mai scritto io per avilire et biasimare le fatiche et le facultà loro, degne veramente di lodi immortali; ma solamente per dire la verità in beneficio della vita de gli huomini, la quale si debbe sinceramente anteporre a tutti i thesori et altre cose mondane. Del che mi sarà sempre testimonio appresso al grande Iddio la conscienza mia, et apresso al mondo il sostener io con vive et vere ragioni, et non con sophistiche la verità delle cose, che scrivo, et il non mi curare io (da che humana cosa é pure l’errare) d’esser da ciascuno altro con la verità corretto, ove ragionevolmente lo meritino le mie scritture, percioche tale debbe esser sempre l’animo mio non solamente del medico Christiano, ma anchora d’ogni altro, che piu si diletti d’imparare, et di venire alla perfettione delle cose, che vi voler sostenere, per parer d’essere irreprehensibile, il bianco per lo nero. Il che ritrovo haver sempre osservato gli antichi et dottissimi philosophi, i quali non solamente non si vergognavano d’essere corretti con verità nelle cose, ma s’allegravano d’essersi sciolti da gli errori, et d’havere riconosciuto il vero. Et però non é maraviglia, se la maggior parte di loro pervennero alla perfettione delle cose, che cercarono. Hor se adunque costoro, i quali non volsero, o non seppero conoscere gli altrui errori, si godevano d’essere giustamente puntati da ciascuno per imparare, manco veramente si doveranno dolere alcuni de i moderni d’essere da me stati avvertiti et corretti in qualche cosa in tutto il volume di questi miei discorsi. Percioche essendosi anchor essi dilettati di far palesi con gli scritti loro gli errori de gli altri, é veramente lecita cosa, che anchor essi sotto giacciano (come anchor io non ricuso) alla medesima censura, ove gli scritti lorolecitamente lo meritino, come determina per sentenza Galeno al secondo libro delle compositioni de medicamenti secondo i luoghi contra Archigene. Il che parmi, che piu prudentemente si governino coloro, i quali havendo scritto et composto in qual si voglia facultà, overamente scienza, lasciano andare in luce i volumi delle fatiche loro, mentre che vivono, che quelli che non vogliono lasciarli nel giudicio di tutti, se non dopo la morte. Imperoche dubitandosi costoro di non esser tassati de gli errori, che essi non conobbero, si riserbano per non patire questa vergogna in vita a dar fuore al mondo le cose sue infelicemente dopo la morte: non accorgendosi, che cosi facendo, dove credono di farsi fama immortale di sapienti, se la fanno il piu delle volte d’ignoranti. Ma altrimenti accade a coloro, i quali mentre che sono in vita, lasciano andare nel cospetto di tutti intrepidamente per le publiche stamparie me fabriche de loro volumi. Imperoche sapendosi che gli huomini agevolmente possono errare, et che solamente le cose celesti sono senza veruna riprensione, si godono di vedere et udire tutte le censure giuste et ingiuste, che si gli danno: accioche dalle giuste si possano conoscendole per se stessi correggere, et dall’ingiuste animosamente difendere. Il che é poscia cagione che restino gli scritti loro netti et purgati da tutte le mende. Questa adunque tanto manifesta utilità ha indotto me parimenti a mettere al cimento di tutto il mondo queste mie cosi fatte fatiche. Del che veramente prendo ogni giorno non poca consolatione, per haver havuto largo campo di tempo nella prima impressione fino a questa settima, et d’emendare assai cose, che non del tutto mi contentavano (come che forse paressero ad altri perfette) et di farvi dentro in varii et diversi luoghi di tutto il volume gran numero di non manco utili, che necessarie aggiunte, et di semplici nuovi et delle figura. Et accioche meglio mi possa io chiarire se habbia o non in qualche cosa non volendo errato, sapendo che fuor d’Italia si ritruovano felicissimi ingegni infiniti, et huomini dottissimi innumerabili, non solamente mi son voluto contentare, che restino queste mie fatiche in lingua sola Italiana; ma ho voluto che anchora s’habbiano in lingua Latina, accioche pervenendo (come son certo che già sono pervenute) alle altre nationi, possano anchor eelle servirsi delle mie fatiche chenti et quali si sieno, et io possa udire da loro che giudicio ne faccciano. Veramente in queste mie due nuove fatiche (come sempre per avanti ho fatto) non ho lasciato, che in quello, che ho potuto conferire al ben commune, anchora che io sappia che egli é poco, ache alcuno di voi studiosi di questa facultà possa deiderare maggior mio studio, ne mia maggiore diligenza. Ma quanto profitto in cio habbia fatto, non lo so io, voi ne sareti giudici”.

cc. β5r-v: Allo Eccellentissimo Dottore M. Pietro Andrea Matthioli Medico Sanese, mio signore, G. O. Melchiori (v. Appendice 6.14) / Al medesimo :

“Per quella istessa cagione, et dell’istessa materia, per la quale et di cui già gran tempo io vi scrissi di Padova, hora vi scriverei di qui: percioche non manco vive in me qui in Vinegia il desiderio di mostrarmevi in qualche conto grato, che sia stato altrove; poscia che per vostra sola boltà et cortesia non havete mancato di aiutarmi qui tanto alla prattica, quanto la a gli studii, come veggio che non mancate tutta via di promuovermi a miglior fortuna, di che tutto non mi vedrò mai stanco in rendervi, cose de fatti, come di parole, quelle gratie che potrò maggiori. Ma a me pare, che piu non faccia bisogno, che io vi scriva intorno a quello che all’hora vi scrissi, se ben so che voi sempre desiderate di havere per piu rispetti il giudicio altrui sopra le cose vostre. Percioche elle hormai tanto piacciono a i buoni et dotti, che non havete a temere il morso de malevoli et ignoranti: et massimamente che grande è il numero di quelli che vi amano, et hanno chari gli scritti vostri, et pochi sono quelli che gli odiano et biasimano, et come quelli vi favoriscono et dicono liberamente il suo parere nelle vostre lodevoli imprese, cosi questi all’incontro tacciono et se stessi rodendo si pascono del proprio veleno. Et però dovete fare pochissima, anzi nessuna stima del giudicio di questi tali, perche egli é infettato: ma ben ne farete grandissima di quello de buoni, perche egli sarà sincero et sano. Vi do questa buona nuova, che nel Dioscoride volstro Latino che si stampò l’anno passato, havete di gran lunga superata l’aspettatione non di malevoli, da i quali non voglio che mai pigliate giudicio, perché non é fedele, ma di vostri sinceri amici: i quali non sperando che cosi bene riuscisse la cosa, non meno temevano, che gl’invidi gioissero credendo di trovar occasione, dove potessero allungare i denti. Onde havete assai che rallegrarvi insieme con tutti quelli che vi amano. Ne meno vi dovete rallegrare del vostro Dioscoride volgare Italiano: perche uscendo hora in luce (come uscità in breve) tutto riformato, et tutto rimbellito, et ornato de i ritratti delle piante et degli animali, non solamente mantenerete con questo la fama, che già vi havere honorevolmente acquistata, ma anchora l’accrescerete molto maggiormente. Io so bene, che nelle figure non havete per piu cagioni potuto del tutto contentar voi stesso, non che sodisfare al gusto de tanti et varii cervelli. Nondimeno ho tanta buona fede ne i buoni, che credo che voi sarete iscusato da loro, come da quelli, che considereranno la grandezza e la diffiultà della cosa. Ho sentito grandissimo contento della buona elettione che meritatamente ha fatto di voi il serenissimo Re di romani, costituendoci medico in Bohemia [Testo tronco]”.