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Ariosto, Ludovico; Ruscelli, Girolamo / Pigna, Giovanbattista / Fornari, Simone / Rota, Giovanbattista

Orlando furioso. Di M. Lodovico Ariosto, tutto ricorretto, & di nuove figure adornato. Alquale di nuovo sono aggiunte Le Annotationi, gli Avvertimenti, & le Dichiarationi di Girolamo Ruscelli, La Vita dell’Autore decritta dal signor Giovambattista Pigna, gli Scontri de’ luoghi mutati dall’Autore doppo la sua prima impressione, La Dichiaratione di tutte le favole, il Vocabolario di tutte le parole oscure, Et altre cose utili & necessarie.

[con proprio frontespizio :] Annotatoni et avvertimenti, di Girolamo Ruscelli, sopra i luoghi difficili, et importanti del Furioso. Con l’Espositione di tutte le favole, & di tutti i nomi proprii de i Luoghi, Et con tutti i passi dall’Autore imitati, o tradotti, o tolti da altri famosi scrittori. Con un pieno Vocabolario per quei che non sanno lettere Latine, o Toscane

In Venetia : appresso Vicenzo Valgrisi nella bottega d’Erasmo, 1556

Cc*2r-*4v: All’Illustrissimo et eccellentissimo signore, il signor Donn’Alfonso da Este principe di Ferrara. Girolamo Ruscelli, Di Venetia il di xii d'Aprile 1556 :

“Quando, questi mesi adietro, io diedi all’onorato M. Vincenzo Valgrisio questo Furioso, che egli con le bellissime sue figure volea dare in luce, come ora fa, io et per mia particolare elettione, et per conforti et consegli, quasi universalmente di ciascuno con chi ne parlai, feci ferma risolutione di farlo andar felicemente fuori sotto il glorioso nome di vostra Eccellentia. Onde nel raccorre nella mente mia il soggetto della epistola, mi si pararon subito avanti quei tre capi, che debbon’esser sempre come principali in soggetto tale; cioè, il discorrere intorno alle lodi di questo, che io sempre come obligatamente chiamo divino scrittore, intorno a quelle cose, ch’io vi ho fatte sopra, et intorno a i meriti di vostra Illustrissima, et eccellentissima Signoria; per giustificarmi con queste tre cose, ce il dono sia degno di lei, che ella sia degna del dono, et che a me s’appartenga di doverlo fare. Et inquanto al primo, cioè, al ragionar delle lodi di questo felicissimo poema, io me ne trovava d’haver già da allora come preparato, et in punto il prato, et la selva con molta cura già molto tempo. Percioche essendomi più di XV anni continui fatto intender dal mondo essere in pensiero, et in opera di voler pienamente descrivere a i presenti, et a i posteri l’eccellenza della nostra Italia, et non volendo con le sopr’eccedenze, et con le cose in aria mostrar di fare panegirici, o di prendere a sostener paradossi, mi disposi di far vedere, et come sicuramente toccar con le mani, non che le ragioni manifeste et chiare, tutto quello ch’io n’ho da dire, in tre volumi particolari. Nell’uno de’queli si descriva con parole, et con figurepienamente tutto il sito dell’Italia in universale, et poi nelle parti, o provincie principali tutte, et poi nelle città, et luoghi particolari di ciascuna parte. Il qual volume con la gratia di Dio sarà in punto fra non molto, con un gran numero di figure con tai descrittioni di paesi, et luoghi, che ho già havute, et tuttavia vengo havendo dalla bontà di molti Principi, che benignissimamente, et volentieri, et con mostrar di riceverlo in servigio singolare, mi mandano in figura le descrittioni de gli stati, et paesi loro, come spero che farà parimente vostra Eccellentia. Lequai figure io con l’aiuto di molti amici et signori miei fo qui intagliare in rame, con tutte quelle bellezze, et perfettioni, che possa desiderarvisi, non che porsi in opra. Nell’altro volume poi han da essere gli essempi veri, et l’istorie del valore delle persone chiare, così in arme, come in lettere da dugento anni a dietro della nostra Italia, con le genealogie di tutte le famiglie illustri. Et nel terzo, la perfettione della nostra lingua. Et questo ha da essere il primo che si dia in luce, et già ne sono stampati tanti fogli, che, con la gratia di Dio, spero, che fra non molti giorni sarà finito. In questo stesso volume, ch’io ho intitolato Commentarii della lingua Italiana, si dimostra con molte ragioni l’eccellenza del parlar’umano, et come per esso solo può l’huomo farsi conoscere per animal rationale, dotato d’intelletto, et superiore a tutti gli altri. Onde per esser la favella in noi di molta importanza, pare che imperfettamente con ogn’altra cosa si fosse descritta l’eccellenza di questa nostra felicissima Provincia, se non si mostrava, che ancora in questa parte ella non vada inferiore ad alcun’altra, come con l’aiuto di Dio io penso d’haver pienamente fatto nel già detto libro. Et perche in queste essaminationi, et in queste pruove m’é convenuto presupporre, et proporre insieme, di poter mostrar con gli essempi, che ella sia attissima a ricevere ogni ornamento, et a tenere il colmo d’ogni eccellenza nell’esprimer qual si voglia cosa, et in qual si voglia soggetto, io in essi inquanto alla poesia (che é la più importante per dimostrar la perfettion d’una lingua) ho proposto, et nominato sempre il Petrarca, et il Furioso; et questo poi tanto più, quanto é più importante in se stesso il poema eroico, che il lirico. Et di qui s’é fatto, che in questi 15 o 16 anni, io son venuto di continuo leggendo, et rileggendo questo poema, et diligentissimamente considerando così nelle voci, come nelle cose, ogni minima parte sua, et haverne ad ogn’hora lunghissimi ragionamenti, et discorsi, quasi con quanti begli ingegni, et persone dotte ha havuto l’Italia ne’ tempi miei. Onde più di una volta ho inteso da questo e da quello tutte le accuse, o riprensioni, che gli si fanno; che però sono tutte o di persone poco dotte, o maligne, o che in ultimo m’hanno confessato ingenuamente di non haver da questo veduto se non alcune poche cose quà et là, come fuggitivamente, o a caso. Nè ho in somma trovata persona veramente dotta et giudiciosa, che non sia efficacissimamente concorsa nel parer, non dico mio solo, ma universalmente di tutti i dotti, che questo scrittore sia per certo stato dato in questa età nostra da Dio benignissimo alla nostra Italia per un vero Sole di questi secoli, et per un glorioso annuntio d’esser vicino il tempo, che la divina Maestà sua la vogli afinire di tener nel colmo d’ogni sua gloria, sì come nel secondo de’detti volumi io dimostro a pieno, se non m’inganno. Questo lungo essercitio adunque, che io ho già detto d’haver fatto con gli occhi, con l’orecchie, et con la mente, nell’investigar le bellezze, et le perfettioni di questo felicissimo scrittore, m’haveano tanto assicurato, che come cominciai a dire nel principio di questa lettera, io nel propormi raccoltamente nell’animo il soggetto d’essa, giudicai inquanto a questa parte delle lodi sue, d’haverlo tutto come in un glomero, ove non havessi da patir’altra fatica, che di prenderlo da un capo, et distenderlo a voglia mia. Ma prendendo dapoi la penna per cominciar’a farlo, et procurando di proceder sempre ordinatamente come si conviene, mi ritrovai d’havere a poco a poco pieni molti fogli et molti, senz’haver’ancor detta la ventesima parte di quello, che mi restava a dire. Et m’avidi d’havere in quel capo trasceso soverchiamente ogni convenevome d’una epistola dedicatoria, che a voler finirla havria contenuto i tre quarti di tutto queto stesso poema, del qual ragiono. Là onde se ne fecero nella mente mia due cose di non poca importanza alla contentezza, et alla gloria mia. L’una delle quali é una ferma speranza, et un come sicurissimo augurio, che l’ombra, et il nome di vostra Eccellenza habbia virtù produttrice, et aumentatrice di valore, et di felicità ne gli animi, et ne gli ingegni di chi santamente l’osserva, et la riverisce. L’altra é stata una risolutione di mutare a quel soggetto, nome et luogo; et in vece di parte d’una epistola dedicatoria, che io l’havea destinata nel principio di questo libro, farne un libro per se solo, et intitolarlo, Le Bellezze del Furioso. Et già l’ho condotto tant’oltre, che se nonn m’inganna il giudicio non men d’altri che mio, spero di far’in brieve veder’al mondo quello, che già molt’anni soglio con voce, et con penna confermare sempre, cioè, che la Lingua nostra habbia molto più largamente da dare, che da havere invidia alla Greca, et alla Latina della gloria, et dello splendore de’poemi loro. In quanto poi al secondo capo, ch’io proposi di questa epistola, che é quello, ove si convenisse qpiegar le lodi di vostra Illustrissima, et eccellentissima signoria, io, sì come mi proposi nell’animo da principio, così ora puntualmente esseguisco, che é di passarmente con silentio. Et questo non per quella bella sentenza, che in ogni cosa grande può havere luogo, cio, che sia meglio il tacerne, che il dirne poco; nè perché elle sieno per se stesse notissime al mondo. Percioche se queste due ragioni valessero molto o poco, non sarebbe chi a Dio stesso cantasse mai alcuna delle lodi del sommo Iddio, infinite, et notissime non solo a gli huomini, ma ancora a gli animali bruti, et a tutte quelle cose insensate, che la santa chiesa quasi ogni giorno invita a cantarle seco. Ma la cagione perche io mi sia posto in animo di non volere in questa epistola entrare in alcun modo nelle lodi di vostra Eccellenza, é stata solo, perche essendo ella ancor ne’ primi anni della sua gioventù, o per dir forse meglio, ne gli ultimi della sua fanciullezza, non mi parea di poter fondarmi, né stendermi altrove, che nelle lodi de’ suoi antecessori, da i primi giorni della lor nobiltà, insimi a questi, ov’ora siamo. Et dall’entrar, non che allargarmi anco in queste non mi ritraeva alcuna delle qui poco avanti ricordate ragioni, ma solamente perche nel secondo volume de’ tre che ho detti, dell’eccellenza d’Italia, parlando di Ferrara, mi convien far compendiosa descrittione delle istorie di quella nobilissima, et feliccissima Città, et seco de’ fatti dell’Illustrissima casata da Este. Il che fo poi tanto più et volentieri, et ho come obligatamente, quanto che havendo io tolto a dichiarare non meno il sentimento delle cose, et delle parole, che le bellezze, et l’ornamento di questo Autore, mi conviene distesamente esporre tutte quelle istorie, et quei fatti di detta Illsutrissima casa Estense, che in questo poema sono solamente toccate, et accennate, come in corso. Et per far questo non poteva offerirmisi luogo più comodo, nè più convenevole, che quel secondo volume dell’eccellenza d’Italia, ove si comprendono l’istorie in compendio, et i fatti gloriosi de’Signori di tutta Italia. Poi che già universalmente si sa, et si vede, che cotesta nobilissima Città vostra, et la vostra Eccellentissima casa, é stato sempre così chiaro, et così caro splendor dell’Italia, che communemente godono al suono del nome suo tutti i buoni, et ne fa continuata testimnianza Iddio col venirla di continuo conservando, et di tempo in tempo augumentando in vera felicità, et in vera gloria. Ora inquanto finalmente a quel terzo capo, che io proposi nel principio di questa epistola, cioé di mostrar quelle cose, ch’io ho fatte a beneficio, et splendor di questo poema, parmi che possa per se stesso veder ciascuno, come oltre all’haverlo io ridotto alla vera, et perfettissima ortografia, sì come conviene a libro tale, che habbia da essere essempio, et guida a tutti gli studiosi, et amatori di questa bellissima lingua nostra, et oltre all’haverlo illlustrato con argomenti, con la vita dell’Autore, con gli scontri de’luoghi da lui medesimo mutati doppo le prime impressioni, et con molt’altre cose di diversi begli ingegni, son venuto di Canto in Canto, et di luogo in luogo essaminando tutte quelle cose, che da chi si voglia, o per ignoranza, o per malignità, o per curiosità, o per dottrina potessero, o imputarsi per non ben dette, o esser dubbiose, et desiderar d’intenderne le ragioni. Nella quale impresa io mi rendo sicurissimo (di che a Dio solo si dia ogni gloria) non solamente d’haver liberato l’Autore dalle molte, et importune accuse, o cavillationi di questo et quello, ma ancora d’haver fatta cosa gratissima, et utilissima a gli studiosi, con l’essersi venuto in quelle ad aprir loro la via, et a fargli attenti, et avvertiti a scriver giudiciosamente. Il che pare, che da quasi tutti coloro, che fin qui s’han tolto ad esporre, o dichiarare gli scritti altrui, non si sia in qual si voglia lingua curato, o voluto far da molti, per non dir da niuno ristrettamente. Ma quantunque tutte queste cose, che io ho fatte a beneficio, et splendor di questo poema, sieno pur tali, che da tutte le persone fuor d’invidia, et di malignità si speri, che habbiano eternamente a vivere insieme con esso, et a venirlo a far’ogni di più caro, et riverito dal mondo, nientedimeno un’altra cosa io vi ho poi fatta di maggiore importanza che tutte l’altre, et quella che da ogni sublime ingegno si sarebbe di tempo in tempo potuta o desiderare in questo poema, o haversen’esso per men perfetto, et men glorioso, non vi essendo. Et questo é stato il sopplir’io ora a quello, che il corso de’cieli, et della Natura, o per cagioni a loro ordinarie, o per altre incognite a noi, havea mancato di dare all’Ariosto per intera perfettione di questo suo libro, cioè, o di far nascere vostra Eccellenza tanti anni prima, o di far sopravviver lui tant’altri appresso, che egli havese potuto illustrar detto suo poema col nome di lei, e con descrivervi felicemente quelle rare, et ammirande qualità sue, per le quali già in questi primi anni della sua prima gioventù sua, la nostra Italia si comincia ad augurare un così chiaro lume, che sia, non diceo per offuscare, ma per rallustrare, et riaccendere con lo splendor suo la memoria di tanti altri gloriosi lumi, ch’ella ha havuti per ogni tempo. Molto maggiore adunque, che d’haverlo purgato da gli errori altrui, d’haverlo adornato con tanti frutti di si begli ingegni, d’haverlo difeso da ogni calunnia, d’haverlo dichiarato per tante vie, et d’haver poi in particolar volume descritte a pieno le bellezze sue, sarà il beneficio, et lo splendore che io ho dato a questo poema, con farlo da qui inanti andare attorno, et vivere eternamente con la felicissima scorta di V. Illustrissima S. Et veramente a niuno più convenevolmente si dovea questo libro dedicar che a lei. Percioche essendo stata manifesta intentione dell’Autore di cominciar dalle lodi della persona di Ruggiero, come da antico, et primo ceppo dell’Illustrissima, et eccellentissima casa Estense, si conviene a questo libro portarsi sempre in fronte l’onoratissimo nome di vostra Eccellenza, come per additare al mondo un vero, et chiarissimo essempio, et come una efficacissima pruova, che per somme, et admirabili che sieno le cose, che in queto poema si scrivono di Ruggiero, non sono però nè impossibili, nè fuor di credito, poi che molto maggiori ne vien di continuo vedendo il mondo ne i rami, che doppo tanti anni germogliano da quella pianta. Et ho detto molto maggiori, per quel sicurissimo giudicio, che a paragone può farene da quel saggio, che se n’é havuto fin qui da V. S. Illustrissima. Percioche primieramente sappiamo, che Ruggiero nacque come miseramente, in tanto disagio, et in tanta estrema povertà, é miseria della madre; et fu poi da Atlante raccolto, et nodrito nella asprissima montagna di Carena, con vita così rigida et rusticale, sotto la durissima cura di esso Atlante. Là ove, Vostra Eccellentia, nata fra tante ricchezze, fra tanti agi, fra tante glorie, et nodrita poi con tante delicatezze, tosto che fu uscita delle braccia della madre, et delle nodrici, fece conoscere il valore dell’animo suo, et si faceva in fronte legger da ciascuno d’esser nata alle grandezze, sì come ha poi continuatamente mostrato sempre. Onde oltra a gli studii delle lettere, a i quali soli per quei primi anni teneri l’havean destinata gl’Illustrissimi suoi genitori, ella da se stessa si diede all’essercitio del cavalcare, et dell’armeggiare, et con tanta cura, et con tanta assiduità, che a chi le diceva, che era troppo alla tenerezza de’ membri suoi, si sparse grata voce per tutta Italia, che ella con faccia, et con voce fanciullesca solea rispondere con molta vaghezza, che volea più tosto morir fanciullo, che viver poi huomo o vecchio, con membri, et con robustezza da fanciullo. Ruggiero in età giovenile corse il mondo, parte guidato da Agramante, et parte sù’l cavallo alato, tratto da gl’incanti del suo maestro per condurlo poi ad effeminarsi in India al Castello d’Alcina, onde convenne poi ancor trarlo come a forza, con le riprensioni, et aiuto di Melissa Maga. Là ove vostra Eccellenza in quegli anni stessi, ne’ quali si cominciano a gustare, et a conoscere, et come sfrenatamente abbracciare i piaceri del mondo, da se stessa, et con tanto contrasto, et tanto dispiacer del signor suo padre, et di tutti i suoi, lasciò le morbidezze, come infiniti della casa, et della patria sua, et andossene (userò le parole, che con molto piacere, et ammirationi allora n’usò tutta Italia) come fuggitivamente in Francia, ove subito giunta, et conosciuta da quel giudiciosissimo, et prudentissimo Re, per così vecchia di senno, et di virile d’animo, et di valore, come giovenetta d’anni, non le fu assegnato luogo di solo, et semplice Cavaliero, ma datole carico di cento huomini d’arme, et fatta Cavalier dell’ordine Regio, intervenne sempre nel conseglio di tutte le cose importantissime di quella guerra, che era in punto. Et indi a non molti mesi e n’andò in Edino, et volendo essa restarvi, riconobbe, et riconoscerà sempre la nostra Italia per grande, et segnalatissima gratia dalla bontà infinita di Dio, che havendola anco il Re Cristianissimo deputata per uno de’Capi di quel luogo, la rivocasse poi, per cose di maggiore importantia, et con più felice occasione, et più a tempo, che quell’altro chiarissimo lume, et raro splendor d’Italia, l’Illustrissimo Signor Duca Oratio Farnese, del qual poi il corpo vi rimase estinto, con rimanerne eternamente accesa, et viva la gloria, et la memoria del valor suo. Et in tutte quelle fattioni, che si fecero in quella guerra, vostra Eccellentia volle ritrovarsi sempre. Onde si ritrovò principale a quella sì grossa scaramuccia quattro leghe presso ad Amians, che nel darsene avisi con lettere all’una, et dall’altra parte, fu battezata più tosto battaglia, che scaramuccia. Si ritrovò in tutte quelle scorrerie, et guasti che si fecero nei borghi d’Aràs. Fu con la persona stessa del Cristianissimo Re Enrico, quando s’appresentò a battaglia con l’Illistrissimo Signor Duca di Savoia sotto Valentiniana, con la persona dell’eccellentissimo Granc Contestabile, quando prese Mariamburgo. All’espugnatione di Bovines. All’assalto, onde poi si rese, di Dinan, et alla presa di Bins. Et tanto più gioiva, et tanto si confidava quel Cristianissimo Re nel valore, et nella sofficientia di lei, che essendosi la Maestà dell’Imperator Carlo Quinto fatta forte di là dalla Mosa, sua Maestà Cristianissima mandò vostra Eccellentia a presentarle la battaglia. Et indi a non molti giorni essendo tutto l’essercito Francese sotto Rentì, et essendo da gl’Imperiali stata presa valorosamente una collina, che era tra l’uno et l’altro essercito, fu vostra Eccellenza quella, che insieme con l’illustrissimo Monsignor di Guisa, suo cognato, riacquistarono il luogo perduto, il quale per commun giudicio era atto a dar la vittoria in quella giornata, se fosse seguita. Et essendo poi gran parte de’ Francesi rivolti in fuga, ella si spinse inanti, et con tanto essemplar valore si fece strada tra i nemici, et con tanto efficace maniera riprese, et cofortò i suoi, che rivocò il solito ardire nel petto di quei soldati Francesi, et si fece seguir da tutti animosamente, et dato tra i vincitori, gli disturbò in modo, che tolse lor 22 insegne di fanteria, due stendardi d’huomini d’arme, quattro cornette di cavai leggieri et sei pezzi d’artiglieria. Onde s’intese per tutto universalmente, che tutte quelle fattioni non solamente il Cristianissimo Re Enrico, con tutta la Francia, ma ancora il veramente Magno, et non mai a pienp essaltato Imperato Carlo Quinto, et l’eccellentiss. Principe di Piemonte con tutta la nobiltà dell’essercito, et della Corte Imperiale gioivano lietamente, et stupivano di vedere, et d’udir le cose così gloriosamente fatte da un fanciullo, come par che in quell’essercito nominasser sempre vostra Eccellentia. Ora in questo così sommario ricordo, ch’io fo come per un parallelo della convenienza tra V.S. Illustrissima, et Ruggiero, io lascio mettere in conto, che l’uno et l’altro fosse di sangue Regio, ma tanto più di lui vostra Eccellenza, quanto ella é ora doppiamente, prima per la descendenza d’esso Ruggiero, et di Bradamante nella linea paterna, et poi fratello cugino del Cristianissimo Re Enrico per sangue materno. Et così tacerò la bellezza, et la maestà del sembiante, con la quale, secondo le ragioni naturali, et communissimamente ricevute, fa tanto pù chiare, et più care quelle dell’animo. Et così tacendo ogn’altra cosa, che potesse in tutto, o in parte riconoscersi dalla Natura, o dalla Fortuna, dirò solamente, che o per la qualità di quei tempi, ne’ quai fu Ruggiero, o per altra cagione, egli non havesse o occasione, o modo, o fors’anco pensiero, et animo di mostrar la grandezza dell’animo suo, et l’affettione a gli studii, et alle lettere, come in tutte insieme si veggono esser’ora in V. S. la quale s’ha partorito nome in universale (et il mondo sa ch’io non adulo, né trascendo il vero) di haver’animo d’Alessandro, et d’Augusto, et che crescendo gli anni ella habbia da finir di ridur l’Italia in quello splendor delle lettere, nel quale i suoi antecessori la cominciarono a ritornar doppo le rovine, et distruttioni de’Barbari. Essendo cosa certa, che l’Illustriss. case da Este, de’ Medici, et la Montefeltria sono state quelle, alle quali l’Italia riconosce tutta la restitutione delle belle lettere, et già gode il mondo di veder che oggi più che mai vive in loro quella nobilissima concorrenza d’avanzar l’un l’altro in venirle di continuo rimettendo in seggio. Nel qual glorioso certame pare che V. Eccellenza habbia dato saggio fin qui di aspirare a precorrer tutti. Onde fin dalla tenera sua fanciullezza s’è fatta sempre conoscere di non haver sorte di persone più care, che i virtuosi, et gli studiosi in ogni bella professione. Et fu ella che da prima col suo favore eccittò la Musica Cromatica, della quale é intendentissima, et che con la sua munificenza diede al mondo la Musica d’Adriano, ch’era ancor nascosta. Et finalmente oltre alla naturale, et ereditaria intentione dell’Illustrissima casa sua, in esser sempre albergo, et come madre, et produttrice de’ begli ingegni, si vede che vostra Eccellentia è ora circondata di tante dottissime, et virtuosissime persone, che forse Ferrara sola contrappesa in questo in numero, et in valore a tutto il rimanenete di tutta Italia, per non dir più oltre. Senza che già s’intende per tutto universalmente, ch’ella ha due bellissime, et gratiosissime sorelle Vergini, l’Illustrissime Signore Principesse Lucretia, et Eleonora, le quali in sì tenera età sono così profondamente dotte in ogni scienza, et principalmente nelle lettere Greche, Latine, et Volgari, che di quanti grandi huomini concorrono a visitarle, non se ne parta alcuno, che non ne rimanga attonito, et non ne goda di gridarle al mondo per un raro miracolo dell’età nostra. Per tutte adunque queste convenevolezze, et ragioni ch’io ho già dette, oltre a molt’altre che potrei soggiungerne, si degnerà vostra Eccellentia d’aggradir con somma benignità dell’animo suo, che sì come da lei ha da conservarsi, et ridursi in colmo d’ogni sua gloria, non solo quella nobilissima casa, che da Ruggiero hebbe origine, ma ancora tutta l’Italia, così sotto il nome suo si conservi, et finisca di condur nel colmo d’ogni splendore questo divino poema, nel quale si narra il principio di detta sua casa, et si rende gloriosa la felicissima nostra Italia nel cospetto di tutti i secoli. Di Vene. Il dì 12 d’Aprile 1556”.

c. **3v-**4r: Ai lettori, Girolamo Ruscelli :

“Quel sacro scrittore, il qual disse, che in Virgilio i fanciulli nuotano, e i vecchi vi si sommergono, é da credere che volesse con questa così leggiadramente presa translatione avvertire gli studiosi, che ne gli autori, et principalmente poeti, di gran valore, i piu deboli d’ingegno, et di giudicio, et ancora di tenero nodrimento ne gli studii, attendono solamente ad intender tanto il significato delle parola, che basti loro a fargli con esse intender tanto il significato delle parole, che basti loro a fargli con esse intendere il sentimento di quelle, o favolose, o vere, o verisimili cose, che in detti Autori si leggono. Ma le persone poi di più saldo giudicio, et già confermate, et cresciute ne gli studii, vanno profondamente penetrando nella consideratione, et essaminatione di tutti gli ornamenti, di tutte le bellezze, et di tutte le perfettioni, che in essi veggono, et così all’incontro se alcuna cosa pur vi si trovi, che sia degna di riprendersi, et d’accusarsi per non ben posta, Non potendo qual si voglia Autore haversi acquistato nome di buono, d’eccellente, o di perfetto, se non per testimonianza, et giudicio di coloro che da principio, et di mano in mano han saputo conoscere le bellezze, et le perfettioni sue, con le ragioni, et l’arte di dimostrarle altrui; et con questa stessa norma discernere i buoni da i cattivi, et riconoscere i gradi de’ meriti, et del valore in ciascun libro qual’egli sia. Et di qui si vede, che molti, et ancor de’ dotti, se o tentivamente, o per intendere, et imparar da vero, lor sono poste in giudicio le cose di qualche Autore in se tutto, o in qualche sua parte, et che chi domanda dubiti, o mostri di dubitare, se quelle cose sieno ben poste, o no, essi rispondono più da religiosi, che da intendenti, cioé, che sia temeraria cosa il riprendere, o l’accusare alcuna cosa che gli Autori antichi, et approbati habbian detto, quasi che le bellezze, et le perfettioni d’un’Autor profano, s’habbiano da credere in fide parentum, o in obedienza di religione, non a conoscer, et a giudicar con le ragioni, et con la dottrina. La qual religione, et la qual fede, se pur apportasse salute alcuna a i suoi devoti, et osservatori, non sarebbe se non da lodar sommamente. Ma se ne vede avenir tutto il contrario, cioé che, più tosto gli manda in perditione. Percioche dato che si truovino molti, che perfettamente intendano un Autore nel sentimento, et nelle parole, et che l’adorino, et riveriscano come loro Idolo, se poi non sanno, come é detto, minutissimamente conoscere, et giudicare le perfettioni, et i vitii, o discerner l’une de gli altri, non sanno mai essi nello scrivere valersi di quegli ornamenti, et di quelle perfettioni, nè fuggir quei vitii. Onde per questa sola cagione in ogni tempo sono stati ben molti gli scrittori di mezana, ma pochissimi, et rarissimi d’intera, et di somma perfettione. Per la qual cosa vedendo io, che se mai quel verso di quel giudicioso poeta, “Scribimus indocti, doctique poemata passim” hebbe luogo di cantarsi, l’ha ora in questa età nostra, per più rispetti, che io spiego altrove, cominciai questi anni a dietro sopra il Decamerone del Boccaccio a venir facendo di luogo in luogo l’annotationi, et avvertimenti, et il giudicio delle cose. Et benche da principio molti maligni, molti invidiosi, et ancor molti sciocchi, ne facessero gran romore, et paresse loro gran sicurezza la mia, s’é tuttavia dapoi per gratia sola di Dio benedetto, veduta, et quanto da tutti i migliori ingegni sieno state, et sieno abbracciate, et seguite di giorno in giorno. Dalla qual certezza, che io ho per lettere, et per relationi d’infiniti per tutta Italia et fuori, io che non ho maggior pensiero, che d’impiegar ogni mia fatica a beneficio de gli studiosi, mi misi a voler far il medesimo sopra il Furioso. Ma tanto più copiosamente, quanto che questo per esser poema vero, et nel maggior genere, si vede havere in se tutte le bellezze, che in un vero et nobilissimo poema possono desiderarsi da tutto il mondo. Per voler adunque far tutto questo, é convenuto primieramente procurare, che l’Autor s’habbia corretto nell’esser suo, così nell’ortografia, come nelle parole. Il che penso con gratoa di Dio, che si sia felicemente fatto in questo, che ora esce fuori per opera dell’onorato M. Vincenzo Valgrisio, il quale, come é cosa già notissima, non perdona ad alcuna spesa di figure ove bisognino, nè di bontà di carta, nè d’altra cosa per adornamento de’ libri, et per utilità, et contentezza de gli studiosi. Ho poi atteso principalmente a venir per tutto di luogo in luogo essaminando tutte quelle cose, che principalmente importano al giudicio della perfettione in uno scrittore, et con queste considerationi, et annotationi si viene ad haver pienamente difeso l’Autore da tutte quelle cose nelle quali é, o potrebbe essere in quelche parte ripreso, o da i maligni, o da gl’ignoranti, o ancora da i curiosi, et speculativi lettori. Et oltre a ciò si viene con tali essaminationi, et avvertimenti a risvegliare i begli ingegni, et a raffinare i giudicii de gl studiosi, onde si tengano per se stessi solleciti, et essercitati nello scrivere perfettamente. Il qual modo di riconoscere, et essaminar le cose severamnte, et con giudicio, quanto meno si vede esser tenuto fin qui da coloro che tolgono ad esporre qual si voglia autore, tanto più mi rendo sicuro che sarà gratissimo a gli studiosi universalmente, et non meno a i dotti, che a i mediocri, et etiandio a quei che non sanno lettere, per essere il giudiocio naturalmente inestato dalla Natura nelle menti umane, et dalla perfettione di quello son poi nate le regole, et le leggi in ciascuna cosa. Et oltre a ciò, io a beneficio, et contentezza de gli studiosi, ho posti nel fine di questo libro, gli Scontri dell’eccellente S. Giovan Battista Pigna, Segretario dell’Illustrissimo, et eccellentissimo Signor Principe di Ferrara, et Lettor publico di quella nobilissima Città. I quali Scontri si son tolti da i Romanzi del detto Pigna, ne i quai Romanzi, et principalmente in quegli Scontri, egli veramente é stato il primo, che ha aperta questa bellissima, et utilissima via ch’io dico, di venir giudiciosamente essaminando i luoghi così delle cose, come della purità, de i precetti, et dell’ornamento della lingua ne gli Autori illustri. In quanto poi all’intendimento di tutto questo bellissimo libro, non si é lasciata cosa indietro, che da persona senza lettere, da principiante, da mezanamente, et ancor da sopra il mediocre et il molto, intendente, et dotta, si possa in alcun modo desiderare. Et tutto si é venuto mettendo ordinatamente, et secondo la natura di quello che s’é esposto. Percioche nelle annotationi, oltre alle essaminationi, et considerationi de’ passi importanti alle leggi dell’arte, et del giudicio, io son venuto dichiarando tutti quei pasi, che ho conosciuto haverne bisogno. I quali sono stati molti, et molti, et non di poca importanza, come ciascuno potrà vedere. Ho poste tutte quelle cose che appartengono a le regole della lingua. Et quello, ch’io tengo per certo dover’esser sommamente caro a tutti i begli ingegni, é un raccolto di molte cose, et molti versi, che l’Autore stesso havea già rimutati, et migliorati per metter la prima volta che si ristampasse in questo divino, et miracolosissimo libro suo. Oltre a ciò si son posti con qualche miglioramento quei muoghi stessi, che erano ne gli altri di tutti i luoghi dall’Ariosto imitati, o tolti in altri Autori famosi. Una brieve dichiaratione di tutte le favole toccate in questo libro, fatta da M. Nicolò Eugenico. Et un mio compendioso vocabolario, di tutte le voci bisognose di dichiaratione, d’avvertimento, et di regola per coloro, che non sanno Lettere Italiane, o Toscane. Con due utilissime tavole, et con tant’altre cose non meno utili, che necessarie, che ciascuno potrà venir vedendo et conoscendo da se medesimo. Gli argomenti in ottava rima, che habbiamo posti in questo libro di Canto in Canto, sono del S. Scipione Ammirato, giovene di belle lettere di felicissima vena, et di molti studii. Ove nel margine si veggono i nomi scritti con le lettere grandi, conosceranno i lettori, che quella é la prima volta, che quella persona o cosa, con tai lettere scritta, sia nominata in questo libro. Che poi quando sono con lettere minori, mostra che per adietro sieno state nominate altre volte. Nelle figure, avvertano ancor quei che non sanno le regole della pittura, ch’elle son fatte con molta ragione di perspettiva, et che da piede di tutto il quadro le figure de gli huomini, de’ cavalli, et dell’altre cose sono fatte più grandi, et poi quanto più vanno verso l’alto, più si vengono diminuendo. Et questo perché quelle figure che nel foglio stanno così colcate, si imaginano nelle perspettiva che stiano in piedi, et chi tiene il libro in mano viene ad haver le più basse per più vicine a lui, et così a dilungarsegli di mano in mano. Onde la ragione della perspettiva le fa così sfuggendo, et diminuendo, a poco a poco per rappresentare quello, che in una campagna elle farebbero effettualmente se fosser vive, cioè, che le più vicine a noi, ci paiono più grandi, et le più lontane, paion minori per la debilitatione de rai visivi nostri, et per la moltiplicatione dell’aere, che si interpone tra la vista et l’oggetto. Di che nel mio libro, detto le Bellezze del Furioso, ove mostro la gran perfettione di questo divino poema ancora in questa parte, io discorro a lungo molte cose, non forse da esser poco care a gli studiosi”.

Cc. **4v-***1r: Dei cinque canti nuovamente aggiunti negli altri Furiosi stampati :

“Tutti coloro, che domesticamente conservando con la fe. Me. Di M. Lodovico Ariosto, hebbero occasione di ragionar con lui sopra le cose del suo Furioso, con molti de’ quali ho ragionato io più volte, (et principalmente con la buo. Me. di M. Galasso suo fratello) havranno potuto intendere per pocca sua, come egli era in animo, che il Furioso si contenesse in cinquanta Canti. Ove voleva haver trattata la morte di Ruggiero, et poi l’ultima rotta de’ Paladini in Roncisvalle. Et già n’havea fatti fino al detto numero di cinquanta. Ma havendo da principio mostrato il detto libro al Bembo, et altri amici suoi, gli fu ricordato, che per niente non dovesse lasciarlo così. Percioche primieramente il libro veniva ad essere sconvenevolissimamente lungo. Oltre a ciò veniva a far quello, che studiosamente si vede haver fuggioto Omero, et Virgilio, cioé, di non lasciare i Lettori sconsolati, col tristo fine delle perone che sono principali nel soggetto, et nell’intentione del poema loro. Et quello che più importava era, che egli veniva a trattar cosa già trattata da altri, vedendo che il Pulci nel Morgante tratta quella rotta di Roncisvalle. Le quai tre ragioni insieme, che ciascuna in se stessa era potentissima, fecero che il giudiciosissimo scrittore, risecò via tutto quello, che era doppo la vittoria del suo Enea contro Turno, et quasi con le stesse parole sue, “Vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras” et egli “Bestemmiando fuggì l’alma sdegnosa, / Che fu sì altera al mondo, e si orgogliosa”. Et così venne a lasciare i Lettori, et gli ascoltanti lieti, sereni, et ogni cosa de’ Cristiani in festa, et in gioia. La ove col far morir Ruggiero, et poi tutti i Paladini, verrebbe ad haver cominciato con tristo principio, et tenuti quasi sempre i Cristiani in guerre, et in travagli, et farli poi finiti di distruggere, et disfare affatto; che saria stata cosa troppo sconvenevole, et fatta senza veruna imitatione, o ragion buona, che per certo niuno si dee prendere a scriver poema senza proporsi una persona, o una parte da favorire, et con la quale accompagnar le affettioni, i pensieri, i desiderii, et l’inclinationi de’ Lettori, o de gli ascoltanti. Nella qual parte viene pienamente biasimato il Pulci, che prendendosi a scrivere come poeta, usasse questa sconvenevolezza si grande, se ben’in effetto si ha che quella rotta di Roncisvallefu quasi tutta così veramente istoria com’ei la scrisse, il qual dicono, che dicendoglisi da non so chi, che egli in ciò non s’era portato da buon poeta, sorrise, et disse: “Canam igitur, et ipse apud aliquem, sicut et apud Martialem Lucanus / Sunt quidam qui me dicunt non esse poetam”. Et così per tutte queste ragioni il prudentissimo Ariosto tolse via, come é detto tutto quello che era nel primo suo Furioso doppo quello che é ora ultimo in questi che egli poi diede fuori. Ove non solamente dalla prima sbozzatura avanti che si stampasse, ma ancora doppo le prime impressioni si vede che mutò l’ordine de’Canti in alcuni luoghi, et per questo si truovano 46 gli stampati, et cinque quei risecati. Perché dunque dapoi ch’egli hebbe finito di comporre tutto questo bellissimo libro suo, lo tenne molti anni per polirlo, et adornarlo in quella perfettione, nella quale lo veggiamo, egli havendo già risecati, et come gittati via quegli altri Canti di soverchio, attese a polire, correggere, et coltivar solamente gli eletti, senza pensar più in alcun modo a i reprobati. Et di qui si vede, che questi che chiamano cinque Canti sono tutti tronchi, rotti, confusi, et quello che più importa, tanto pieni di errori di lingua, et d’ogn’altra cosa, che ben si potrebbe credere, che l’Autore se tornasse vivo, si sdegneria grandemente, che doppo la morte sue, si sien dati fuori per sui, contra ogni sua voglia et intentione. Quello che il Pigna dice nella vita dell’Ariosto, che egli havea cominciato un’altro poema, il qual volea che andasse appresso al Furioso, come l’Odissea d’omero all’Iliada, che di tal libro se ne sono stampati cinque Canti, senza il volere dell’Autore, che sono questi, de’ quali noi qui diciamo, non é punto contrario da questo, che io qui sopra ho detto. Percioche é cosa possibile, et ancor’io l’ho inteso da M. Galasso, et da altri, che ritrovandosi M. Lodovico haver composti quei tanti Canti, et poi risecatili via per le ragioni qui poco di sopra dette, egli poù di una volta disegnasse di non volerli haver fatti invano, ma di seguirli oltre, et farne un’altra opera separatamente, et più volte lo disse ad amici suoi. Et forse se vivea l’havrebbe fatto, et fors’anco che no. Percioche il soggetto del suo Furioso, non havea lasciato a lui quel luogo di fare un altro poema, cha havesse per principal soggetto l’attioni d’un solo, che egli intendesse di lodare, come lasciò la sua Iliade ad Omero di far d’Ulisse. Et quando anco dal Furioso si fosse potuto trarre un soggetto tale, si vede, che quei Cinque Canti non l’haveano nè l’hanno in alcun modo. Onde é da credere, che poi esso M. Lodovico considerate più maturamente questen et altre ragioni, et veduto principalmente che il suo Furioso era di soggetto finito molto più, che l’Iliade d’Omero, nè ancor l’Eneide di Virgilio, che lascia Enea senz’haverlo condutto lla fine del matrimonio, et non così quieto, et sicuro, come Ruggiero nella Francia, già tutta quieta, et vittoriosa, et oltre a ciò perché guerre, et attioni meste contiene il Furioso, et guerre, et attioni meste contenevano quei principii di quell’altra opera, che egli di quei Canti risecati del Furioso volesse finire. Onde in una stessa guisa di poema, et di soggetto veniva a far poco felice concorrenza a se stesso, et a lasciar che o il primo il secondo, o il secondo oscurasse il primo, poiché, come é detto, erano ambedue d’un andare stesso. Et per questo si astenne tanto da tal pensiero, che mentre ei visse, non mise mai mano a riveder tai risecamenti, o stanze da lui rigettate via, nè mai le mostrò, o le lasciò vedere ad alcuno come se mai non l’havesse fatte. Havendo adunque l’Autore stesso ricercate, et tolte via quelle stanze, o quei Canti, come non buoni, et essendo senza soggetto finito, non essendo in essi alcuno ornamento di lingua, nè di sentenze, et finalmente essendo più tosto dannosi che utili, è stato da moltissime persone prudenti consigliato M. Vincenzo a non permetter mai, che tai Canti si stampino per opera sua appresso al Furioso, per non corrompere, o alterar con la compagnia, o aggiunta di quelli, quella serenità, et quella gioia, et contentezza come infinita, che con le sue perfettioni l’Autore ha uoluto lasciare ne gli animi de’Lettori, et de gli ascoltanti, con questo, ch’io sempre come obligatamente chiamo diuino, et miracoloso poema suo”.