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Plutarchus; Sansovino, Francesco

Le Vite degli huomini illustri greci et romani di Plutarco Cheroneo sommo filosofo et historico, tradotte nuovamente da M. Francesco Sansovino. Con le tavole copiosissime delle cose notabili, che si contengono nella prima & seconda parte, poste nel fine. Con sommarii, & utili postille, che dichiarano i luoghi oscuri de’ testi per via di discorsi. Con una tavola di Monti, di Città, di Isole, di Fiumi, & di Mari, nella quale si dichiarano i nomi antichi co’ moderni, come si puo vedere nel fin delle tavole. Et con le figure de Capitani, & de Re de quali si tratta, poste in disegno, et cavate dalle medaglie antiche.

[II parte:] Delle vite de gli huomini illustri greci e romani, di Plutarcho cheroneo, Tradotte da M. Francesco Sansovino, parte seconda. Con due tavole, l’una delle cose notabili: l’altra de’ nomi delle città, de’ fiumi, de’ monti, et de mari; et d’altre cose che nell’opera si contengono. Con la dichiaratione di molti luoghi, che ne gli altri testi erano oscuri & corrotti, & hora si sono alla lor sana lettione restituiti.

In Venetia: appresso Vincenzo Valgrisi, 1564 (nella II parte: In Venetia: appresso Vincenzo Valgrisi, 1564)

[I parte :] cc. *2r*4v: Al clarissimo & prestantissimo signore il sig. Gio. Mattheo Bembo, senatore illustre Francesco Sansovino, Venezia, 22 ottobre 1563:

“Due cose mi hanno mosso a tradur le vite di Plutarco, l’una l’eccellenza dello scrittore, l’altra un’ardentissimo desiderio che io ho havuto sempre di migliorarlo in piu luoghi con questa mia traduttione. Quanto alla prima son certissimo che per dare utile et diletto all’animo dei leggenti, non si trova cosa piu atta della presente Historia, attento ch’in questo volume, come in larghissimo, et spatioso campo sono utilmente sparsi quei semi, che producendo poi frutti honorati ne gli ingegni de gli huomini, giovano et dilettano insieme a contemplativi, et a gli attivi. conciosia che questo Autore nel distender con tanta dottrina l’operationi eccellenti di tanti signalati Signori, ordinò la sua Historia di modo che è molto malagevole cosa a conoscere , se volle dichiarar la Filosofia morale con gli essempi Historici, o se pur volle ornar la narratione delle cose illustri fatte da i grandi con le disputationi Filosofiche. Et veramente se si considera la presente Historia, noi comprenderemo ch’ella ne mostra quanto la Fortuna habbia in ogni tempo variato i suoi effetti medesimi in diversi suggetti, et qual danno et quale utile habbia arrecato al Mondo il vitio et la virtù o de Principi o delle Repubbliche. Delle digressioni poi che sono sparse vagamente in diversi luoghi di questo libro, che si puo dire altro se non ch’elle non pur danno luce é splendore alle narrationi, ma ristorano l’animo de Lettori qualche volta stanco, per la lunghezza o per l’oscurità delle materie che ci si trattano, riducendolo alla consideratione della vera Filosofia ? le quali disputationi egli ha cavate non solamente dalla Morale, ma dalla Naturale ancora, con molta accortezza, ornando il suo honorato lavoro quasi con ricche gemme poste a bello studio et con eletto giuditio a lor luoghi. Et quale altro scrittore fuor dalla religion Christiana ha favellato più santamente della natura divina di questo nostro nella fine della vita di Pericle? Egli in Aristide ragiona dell’error commune delle genti intorno alle cose di Dio. In Camillo mette la materia de miracoli. In Romolo tratta l’immortalità dell’anima. In Coriolano disputa de moti della volontà nostra procedenti da Dio. In Dione ragiona de’prodigii. In Sertorio e in Focione la contesa della virtù con la Fortuna. In Numa la felicità della Rep. In Timoleone la costanza dell’animo per giugnere alla vera virtù. In Pelopida, la differenza ch’é tra la fortezza et l’audacia. Et cosi di mano in mano procedendo per tutte l’altre virtù, puo l’huomo di liberale ingegno sentire utilità grande, é servirsi nell’occorrenze sue di questa fioritiss. et nobilissima lettura. La onde a questo proposito non fu se non da commendar sommamente Thodoro Gaza scientiato huomo in scrittura, il qual domandato da suoi famigliari, se dovendosi per necessità abbruciare tutti i libri, et serbarne un solo tra tante migliaia, quale egli eleggerebbe tra gli altri rispose Plutarco. et certo ch’ei disse bene, perche niuno lasciò libri piu utili, ne piu dilettevoli, ne in piu copia di lui, havendo rispetto alla lor qualità. Quanto poi alla seconda parte che riguarda al mio desiderio, a me pareva pur troppo mal fatta cosa ch’uno Autore di tanta riputatione fosse cosi lacero, et guasto, et che leggendosi a tempi nostri il testo di Plutarco piu corretto che giamai fosse, volessimo riportarci alla traduttione del Guarrino, dell’Acciaiuolo, di Leonardo Aretino et di tanti altri che lo hanno tradotto in Latino. Mi disposi adunque di far questa nuova fatica, et di condurla a termine che stesse presso che bene, perche conferendo questo pensiero con diversi amici, tra quali un fu M. Paolo Manutio di quel nome honorato che fa il Mondo, et l’altro M. Girolamo Magi d’Anghiari huomo di molto giuditio et di grandiss. letteratura et Greca, et Latina, mi misi all’impresa con l’aiuto loro. Si dee bene avvertire che quest’opera di Plutarco chiamata da alcuni Paralleli, et da alcuni altri Vite de Greci et de Romani, non si trova ne si trovò giamai se non tronca et imperfetta, perché non pur vi mancano i Paragoni tra Themistocle et Camillo, tra Pirro et Mario, tra Alessandro et Cesare, tra Focione et Catone, ma non vi sono anco molte Vite che l’Autor medesimo dice di havere scritte, come di Epaminonda citata da lui nella Vita d’Agide, di Metello Numidico in Mario, di Scipione Emiliano in Tiberio Gracco, et di Hercole in Theseo, in luogo delle quali vi furono aggiunte quelle d’Annibale et di Scipione dall’Acciaiuoli, di Carlo Magno, di Pomponio Attico, et di Aristotele, da diversi altri scrittori moderni. Et ancora che con sollecito studio et con accurata diligenza io habbia atteso a drizzar diversi concetti che erano sconciamente contrarii al sentimento di tutta la vita dove essi erano posti, et ad illustrar molti luoghioscuri, restituendo una infinità di nomi di Provincie, di Città, et di huomini alla lor vera et sana lettura, conferendo con gli amici i miei dubbii, et i testi Latini co Greci, nondimeno non niegoch’in cosi largo et profondo Mare di cose, smarrendo qualche volta la via diritta, non habbia percosso talhora in qualche duro scoglio con la picciola navicella del mio debole ingegno. Ma mi contento di questo, che se io non ho potuto condurre interamente a fine il mio desiderio, ho almeno desiderato di farlo con grandiss. ardenza d’animo, quantunque il mio disegno non mi sia a pieno riuscito secondo la mia volontà. Ora tutta questa fatica quale ella si sia, ho havuto sempre nell’animo di presentare alla M. V. percio che sapendo io quali siano state et sieno tuttavia le sue honoratissime operationi per questa Rep. eterna, et ritrovando in gran parte gli essempi dell’attioni della M. V. in questi huomini illustri de quali Plutarco ha descritto le vite, ho pensato ch’ella si convenga meritamente a lei, si perche lo merita, si perche io le porto riverenza come a mio legittimo et solo Signore. Quanto al merito, le potrei dir molte cose per le quali ella é degna d’esser paragonata con molti Principi, ma l’altre due sole mi basterebbero, degne di vivere eternamente, l’una quando essendo ella al governo di Cattaro et circondato per terra, et per Mare dall’armata del Sig. Turco guidata dal Re d’Algieri, s’oppose con tanta grandezza al predetto Re, ch’egli stupì ch’in un gentilhuomo privato fosse tanta altezza di spirito, et quantunque egli richiedesse la M. V. che gli mandaste huomini per favellargli, ella non volse dargli orecchi se prima il Re non usciva del Colfo di Cattaro come ella gli impose, imitando in cio il Senato Romano che non volle ascoltar Pirro proponente la pace, se prima non usciva d’Italia. L’altra quando essendo ella a Zara soccorse con tanta secretezza et con si diligente prestezza l’armata di Papa Paolo Terzo et di Carlo quinto Imperatore gravissimamente afflitta dalla fame, che ne il Capitano di Zara, che non voleva per rispetto della prohibition del vostro Senato, ne il Senato medesimo s’avide o seppe della sua maravigliosa operatione, ricorrendo ella a Dio in quello animoso pensiero, poi che ella dava sollevamento a i due primi Principi del Mondo ne i lor bisogni maggiori. Non mi uscirebbe però di mente di dire, che havendo la M. V. maneggiato tante città, tanti popoli, et tanti governi cosi di Greci, come di Schiavoni et d’Italiani, non pure é stata giustissima come appare per le sentenze et per le deliberationi infinite fatte da lei et tutte approvate: ma partendosi, ella é rimasta impressa ne cuori et nella memoria delle genti con tanto loro affetto, che non é huomo che non la honori, che non l’essalti, et per via di dire non mettesse la vita per lei. percioche la M. V. come generosa et alta di cuore, ha sempre con l’animo retto proceduto nelle sue operationi, et stimando ogniuno secondo i suoi gradi, ha favorito et inalzato i meritevoli della sua gratia. Et per dire il vero qual Citta? qual Provincia? qual luogo di questa Rep. immortale non ha in se qualche illustre memoria della sua autorevolezza, et grandezza ? Quante honorate cose ha ella ordinate et fatte in Verona, essendovi Podesta? Quante in Brescia essendovi Capitano? Quante nella Dalmatia essendovi Rettore? Quante in Candia essendovi Capitano? et quante ultimamente nell’Isola di Cipri essendovi Capitano di Famagosta, et poi General Proveditore per questo Senato? Ella con le fatiche ha fatti i Palazzi, le piazze et i luoghi publici molto piu belli ne predetti regni, che prima: ma con la giustitia, con la liberalità, et con la humanità (che son cose molto maggiori de gli edifitii) ha confermato gli animi di quei Popoli in piu salda divotione verso questo Dominio, perché amando i nobili si come fanno ampia fede i Conti, et i Cavalieri di tutta Verona a quali ella conservò le loro giurisditioni, et honorando i virtuosi come fanno tutti i belli intelletti d’Italia, et accarezzando la plebe, come testificano tutte le genti dove ella é stata, ha fatto conoscere a ogniuno che anco le Republiche, hanno talhora de gli huomini che son degni di governar gli Imperii et i Regni. Direi ancora molte altre cose appresso togliendole dal Giovio, dal Mustoro dallo Sleidano, et da molti altri nobilissimi scrittori che hanno ampiamente ragionato delle sue cose, s’io non conoscessi la sua infinita modestia, et che ella piu tosto ha piacere d’operare, che d’udire le sue lodi. onde mettendo fine a questo poco, per non mi confonder nel molto che mi s’appresenta dinanzi gli occhi della mente, le dirò questo solo che io le sono obligato non pur di quanto io sono al presente, ma le sono anco tenuto di quanto io darò nell’avvenire: perche essendo io per natura inchinato a riverire i grandi, debbo, voglio, et posso per quanto le mie forze s’estendono, honorar le cose mie col suo nome illustre, accioche in ogni tempo, et quando ella fu Capo dell’Illustriss. Consiglio de Dieci, et hora ch’ella è Consigliero di quest’alma Città, resti sempiterna testimonianza presso al Mondo, dell’amor che ella mi porta, et della riverenza che io le ho sempre havuto. Accetti adunque con lieta fronte queste mie fatiche, et giudichi piu l’animo, che l’effetto. Intanto il Sig. Dio la conservi lungamente a benefitio commune di tuttii i suoi parenti, servidori, et amici. Di Venetia alli 22 ottobre 1563”.

[II parte :] c. A2r: Francesco Sansovino Ai lettori (v. Appendice 6.36):

“In questa seconda parte si contengono le vite de gli huomini illustri piu vicini a tempi di Plutarco, tra le quali alcune son lunghissime, et quella di Pompeo é spetialmente notabile: percioche essendoPlutarco Pompeiano la scrisse con ogni studio, artificiosamente et piena di belle cose. Et non vi maravigliate punto, se voi non vedrete l’ordine delle Vite in questo nostro Plutarco, che voi vedete ne gli altri: percioche gli espositori le hanno collocate secondo la lor fantasia, attento che ne testi Greci si trova anco la diversità medesima di mettere una vita innanzi all’altra. Oltre a ciò si vede, che la lunghezza del tempo, et la poca cura de gli huomini ha dato altra forma al libro di quel che gli diede Plutarco, conciosia che egli cita in piu luoghi i libri chiamandoli, hor quinto, hor decimo, et nondimeno in questa parte ci si vede una maravigliosa confusione. Cita parimente la Vita di Hercole, et di qualch’un’altro, et tuttavia non si ritrovando le sue, ne sono state aggiunte dell’altre a questo honorato volume; come é la Vita di Scipione et di Annibale, le quali furono scritte dall’Acciaiuolo, et da lui dedicate al Sig. Lorenzo de Medici: della qual cosa io ne son certo, et per la voce comune di tutti gli huomini dotti, et in particolare per la testimonianza che io ne ho, fattami dell’honorato M. Donato Giannotti, dal dottissimo M. Girolamo Maggi d’Anghiari, et dall’eccellentiss. Robotello, che ha le predette vite a penna scritte di mano dell’Acciaiuolo, le quali gli furon date in Fiorenza. Lascio poi star quella di Carlo Magno, quell’altra di Aristotele et di Platone, et cotali cosi fatte, di modo che voi potete esser certi, che quanto all’ordine non vi havete a guidar piu all’un modo che all’altro. Il quale ordine però non importa punto alla sostanza del libro: conciosiacosa che essendo le vite accompagnate a due a due non intaccano, ne hanno che far punto con l’altre che seguitano. Questo vi ho voluto dire, accioche siate avisati che non per errore, ne poca diligenza si ha dato altro modo a queste vite: ma che habbiamo minutament veduto et discorso il tutto, come si dee in cosi fatte materie”.